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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

Le donne arrampicatrici ed ostinate ed il valore oggettivo della Resistenza

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Nell'inserto domenicale de Il sole 24 ore dedicato ai libri del 10 febbraio 2008, c'è un articolo antipaticissimo e reazionario di Giuseppe Scaraffia, in altre occasioni decisamente più signorile, sulle così dette "arrampicatrici". Un vero e proprio catalogo di donne belle e affascinanti e determinate a sedurre i potenti: da madame de Maintenant che sedusse il Re Sole alla pittrice polacca Tamara de Lempicka fino, ça va sans dire (e l'uso del francese è decisamente appropriato), alla Carla Bruni "spudorata" dama di compagnia del presidente Sarcozy.

Mi pare evidente che, pur trattandosi di una carrellata rapida ed indolore, produce una sorta di prurito fastidioso (ma non mi meraviglierei se alcune donne, visti i tempi, si indignassero!). L'articolo suddivide le "meschine" in categorie illuminate. Vi sono le Arrampicatrici appunto, poi le Fulminee, le Tempiste, le Spudorate (tiè!), le Trasformiste, le Ostinate (bontà loro), le Determinate, le Collezioniste e le Infedeli.

Basterebbe questo per capire come l'improvvido estensore dell'articolo (l'ho detto, persona di cultura e in altre occasioni decisamente più "saggio") abbia rimestato nel torbido del qualunquismo antifemminista più bieco. Ci piace pensare, nel tentativo di salvare il salvabile, che sia il solito riempitivo "culturale" che vorrebbe fare da contraltare alle dissennate incursioni gossip dei nostri giorni. Tant'è: il pezzo è stupido e poco gratificante, intriso poi di bacchettonismo nascosto tra le pieghe di una narrazione che si bea di inciuci e tendenze lesbo che vorrebbero rendere la materia più scottante, ma immorale e deviante.

Su Il domani di Bologna del 6 gennaio scorso, sempre a proposito di donne legate a uomini di potere, leggo invece altro: nella cittadina di Castel San Pietro vi è stata una proposta per dedicare l'Arena all'attrice Luisa Ferida, giustiziata dai partigiani nel 1945 insieme al suo compagno Osvaldo Valenti, anche lui famoso attore. Il capogruppo di Rifondazione Comunista del posto ha dichiarato che non vuole ammettere nemmeno l'ipotesi dal momento che ...l'arena è un simbolo per tutti i castellani, quindi il nome che le verrà dato deve essere condiviso da tutti e questo non mi sembra proprio il più appetibile.

Torniamo allora sulla vicenda Valenti/Ferida. Già c'eravamo interessati al libro di Italo Moscati Gioco perverso (Lindau), peraltro ben fatto e a tratti anche "ironico e gossip" nonostante la tematica drammatica. Le edizioni Spirali ripropongono invece, ampliato, il saggio di Odoardo Reggiani Luisa Ferida Osvaldo Valenti: ascesa e caduta di due stelle del cinema (1) che si distanza dall'altro per un'impalcatura più sentitamente agitata ed innocentista.

Per chi non conoscesse la vicenda un breve riepilogo: Luisa Ferida e Osvaldo Valenti furono gli attori italiani più famosi (e pagati) del cinema italiano sotto il fascismo soprattutto negli anni 1939-1943. Il 30 aprile del 1945 furono uccisi dai partigiani, mediante fucilazione, su ordine, pare, di Sandro Pertini, perché accusati di collaborazionismo coi nazifascisti.

Se la chiave di lettura del libro di Moscati era quella di un tentativo di riabilitare le figure di questi due artisti "vittime" della sporca guerra civile che insanguinò l'Italia fin dall'8 settembre del '43, quella di Reggiani, avvalendosi di una minuziosa ricerca ricca di particolari spesso ignorati, appare come un tentativo di revisione dell'intero movimento partigiano e di denuncia di quello che lui definisce "versipellismo" poltico.

E la cosa appare ancor più strana considerando la base su cui l'autore parte per avviare la ricerca: la dichiarazione del padre (Fu mio padre a indirizzarmi su una strada più giusta...) che ad una domanda sul perché i due attori furono uccisi, rispose senza mezzi termini: Perché in ogni guerra civile, queste cose succedono.

La mia considerazione non vuole essere assolutoria nei confronti di chi decise l'eliminazione dei due: Osvaldo Valenti, sì collaborazionista dei nazifascisti e frequentatore (ma mai partecipe, stando alle prove riportate dal Reggiani) del covo Villa Triste, sede del torturatore Pietro Koch, e tenente della Decima Mas, fu pedina assai meno importante di quella, per esempio, di Junio Valerio Borghese, vero e proprio ideatore della formazione militare, che riuscì, nonostante un processo sacrosanto, ad avere una pena minore. Luisa Ferida fu, invece, una attrice di buon talento, ma una donna sfortunata, trovatasi nel bel mezzo delle intemperie a correre dietro all'uomo di cui si era innamorata (in quale categoria la collocherebbe Scaraffia, in quella delle Ostinate?).

Perché dico che Reggiani procede ad un tentativo (pansiano?) di revisione dell'intero movimento partigiano? Perché nell'esaminare i reati "indifendibili" di cui si macchiarono molti partigiani di rilievo, sembra presentare un quadro pressoché unitario del versipellismo tutto italiano, elencando una serie impressionante di nomi (soprattutto politici, ma anche attori, registi, artisti in genere) atta a rafforzare la sua tesi. Una vera e propria caccia alle streghe che se a volte può anche destare interesse, alla fine ammorba.

Reggiani non ha scoperto l'acqua calda: la responsabilità del movimento partigiano e della sua azione non sempre nobile e cristallina, è ormai un dato di fatto (basterebbe per questo leggere il ponderoso contributo di Pavone Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della resistenza [Bollati Boringhieri] e l'agile volumetto di Guido Crainz L'ombra della guerra. 1945, l'Italia [Donzelli] per farsi un'idea precisa e attendibile del problema). Quello che a volte infastidisce è appunto l'insistenza con cui l'autore procede a scoperchiare la pentola degli orrori e ad una sorta poi di pacificazione indiretta delle due parti (i fascisti e chi li combatteva) per suddivisione ugualitaria di responsabilità.

Certo una cosa va detta e lascia pensare: quando fu chiesto a Pertini di leggere il memoriale di Valenti, una sorta di autodifesa dalle accuse che gli venivano addebitate, il futuro presidente della Repubblica rifiutò di farlo perché l'affaire dei due attori prigionieri non aveva più valore giurisdizionale, ma politico. Considerazione questa "pericolosa" che fu adottata in seguito da forze che lo stesso Pertini, in tempi di democrazia, si trovò a combattere.

Il libro di Reggiani getta una luce definitiva sulla vicenda. La tesi innocentista oltre che adottata è resa concreta da una serie interminabile di testimonianze (spesso ignorate da una vulgata preconfezionata) che convincono. Il contorno, che troppo spesso contorno non è, non ci piace. Perché riteniamo che la Resistenza sia comunque un valore oggettivo. Ma il libro va letto comunque.





Odoardo Reggiani

Luisa Ferida Osvaldo Valenti: ascesa e caduta di due stelle del cinema

Spirali

Pag. 357 Euro 30,00







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