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Il Paradiso degli Orchi
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Alfredo Ronci

Le marchette e il futuro che non c'è. Levi, Matheson e la nuova, inutile, letteratura giovanile.

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Scrive Pier Paolo Di Mino sulla riproposizione a fumetti del capolavoro di Bulgakov Il Maestro e Margherita (la recensione intera la potete leggere, ovvio, sulle colonne del Paradiso) E forse il segreto dell'obsolescenza della nostra letteratura, e in particolare dell'obsolescenza assoluta di quella italiana, è proprio in questa modestia da ragionieri del medio termine (da serve a fare i conti), con l'attenzione alla notizia, al reale, con le fiere annuali della rinascita del realismo e il suo superamento nell'intimismo (genere, e questo è l'aspetto che francamente mi ha sempre più divertito, frequentato da scrittori sufficientemente giovani per scrivere male di una vita in cui ancora non è successo nulla): l'apoteosi, è vero inevitabile, di Marx nel Grande Fratello della Bignardi.

Non perché sia un 'orco', ma una rappresentazione così lucida ed impietosa della letteratura contemporanea non l'ho vista fare da nessuno. Se si potesse dare il Nobel per una singola frase io saprei di sicuro a chi darlo.

Cappellata quasi ruffiana anche per fare confronti: giovedi 5 marzo nelle pagine culturali de La Repubblica esce un articolo di Loredana Lipperini dal titolo: Adolescenti. Tutti in corsa verso un futuro che non c'è. Imbarazzante per la sua inutilità. Scritto solo per pubblicizzare l'iniziativa editoriale del giornale romano che avrebbe pubblicato il giorno successivo i primi tre capitoli del libro di Christian Frascella Mia sorella è una foca monaca (Fazi editore). Pur di far quadrare i conti la 'giovanilistica' Lipperini scala insidiosissime pareti di specchi e cristallo per suggerirci (e lo fa prendendo in esame oltre il super caldeggiato romanzo del Frascella, anche Sweet Sixteen di Birgit Vanderbecke, di cui noi orchi ci siamo già interessati e Quelle stanze piene di vento di Francesca Di Martino) che l'idea che i tre libri restituiscono dell'adolescenza, è quella di figure in corsa: verso il futuro, verso il nulla. Verso un mondo che potrebbe domarli: o che potrebbero, infine, piegare ai loro sogni.

Al di là di una consecutio zoppicante mi sembra francamente una marchetta. La Lipperini, forse angosciata dai tempi che corriamo, e con la sensibilità che la contraddistingue, avrebbe voluto affrontare la tematica dell'autodistruzione e del suicidio con mezzi più adeguati: ma coi romanzi che spesso siamo costretti a leggere, con quella insidiosissima attitudine, come diceva appunto in precedenza il Di Mino, di scrittori sufficientemente giovani per scrivere male di una vita in cui ancora non è successo nulla, c'era poco da stare allegri. E ha fatto quel che ha potuto (se ritenete che la mia frase tutta sia un eufemismo, beh, c'avete preso).

Non me ne voglia la brillante 'critica' se le consiglio due letture che, se proprio vogliamo affrontare la tematica del 'futuro che non c'è', possono dare risposte letterarie più consapevoli e mature, e nello stesso tempo insediare dubbi sacrosanti.

Per quella sorta di strana coincidenza nella quale un lettore attento (e io lo sono) spesso s'imbatte, recentemente mi sono ritrovato a leggere due racconti che affrontano la stessa tematica e curiosamente utilizzano gli stessi 'strumenti'.

L'opera 'fantascientifica' di Primo Levi, come disse lo stesso autore in un'intervista in proposito, partiva dall'idea che l'essersi bruciato come testimone, come narratore di una certa realtà storica, doveva necessariamente portare ad un'evoluzione, ad una urgenza di dire cose con un linguaggio diverso e differente... che io percepisco come stridulo, sbieco, dispettoso, volutamente antipoetico, disumano insomma quanto il mio linguaggio di prima era stato umano.

L'impietosa autoanalisi di Levi in realtà non ci impedisce di considerare la sua raccolta di racconti più 'fantastici' Vizio di forma come un libro perfettamente riuscito. Una di queste storie, ed esattamente Verso occidente, affronta la questione 'scientifica' del fenomeno dei lemmings, piccoli roditori che all'improvviso decidono di scendere in mare e suicidarsi in massa. Dice uno dei protagonisti nel tentativo di dare una risposta a quella curiosa manifestazione: La vita non ha uno scopo, il dolore prevale sempre sulla gioia; siamo tutti dei condannati a morte, a cui il giorno dell'esecuzione non è stato rivelato; siamo condannati ad assistere alla fine dei nostri più cari, le contropartite ci sono, ma sono scarse.

Mi sembra evidente che, nonostante i buoni intendimenti dell'autore di tenere distanti i linguaggi della realtà storica da quelli più di finzione, la concezione della vita, così come viene definita, potrebbe essere di un uomo scampato ad un campo di concentramento dove ha visto, uno dopo l'altro, morire le persone a lui più vicine. E proprio perché Levi ha vissuto l'esperienza tragica dell'universo concentrazionista, in questo caso la finzione letteraria finisce con l'incorporarsi con la sua tragica visione dell'esistenza.

Perché parlavo in precedenza di coincidenze? Perché rileggendo un vecchio cofanetto (Shock!tre volumi) di racconti di Richard Matheson (fu sceneggiatore di Duel e ancora prima firmò 14 episodi de Ai confini della realtà e collaborò con Roger Corman per una serie di pellicole, ormai piccoli classici, a partire dalla riduzione cinematografica di un racconto di Poe diventato The house of Usher (in italiano: I vivi e i morti) ho trovato un racconto dal titolo: Lemmings.

- Non hai mai sentito parlare dei lemmings? – domandò Carmack.

- No.

- Sono roditori che vivono nei paesi scandinavi. Continuano a moltiplicarsi finché le fonti di cibo sono esaurite, e allora migrano per il paese distruggendo tutto ciò che trovano sulla loro strada. Non si fermano neppure davanti al mare, ma continuano ad andare. Nuotano finché ne hanno la forza, poi annegano. E sono milioni.

- E credi che qui stia succedendo lo stesso? – Fece Reordon.


Domanda lecita, perché nel racconto di Matheson non sono i lemmings a suicidarsi, ma l'intera umanità che senza nessun motivo preciso ha deciso di farla finita.

- Tocca a noi?

- Vai prima tu – suggerì Carmack – io aspetto un poco per vedere se arriva qualcun altro.

- Va bene – Reordan gli tese la mano – Addio, Carnack.

- Addio, Reordon.

Carmack continuò a fumare e vide l'amico attraversare la spiaggia grigia, poi entrare nell'oceano e avanzare finché l'acqua gli ebbe coperto la testa. Reordon nuotò per una decina di metri e infine scomparve.

Dopo un po' Carmack spense la sigaretta e si guardò intorno, quindi scese in mare a sua volta.

Un milione di auto vuote stavano immobili sulla spiaggia.


Sinceramente non sappiamo se questa curiosa convergenza era nota ai due autori: al di là delle somiglianze, ma anche della diversa impostazione (nel racconto di Levi la spiegazione del fenomeno dei lemmings viene messa da parte perché si ha la convinzione che decifrarla sarebbe come riuscire a dare un senso ultimo all'esistenza, mentre nella storia di Matheson la percezione della caducità della vita è già un dato di fatto) ci piace pensare che due culture diverse e due modi diversi di vedere i generi letterari quasi antitetici abbiano prodotto lo stesso risultato.

Mi chiedo dunque: è davvero necessario scomodare la nuova, inutile, letteratura giovanile contemporanea ed i suoi inutili estimatori per parlare di dove va il mondo, se davvero c'è un futuro? (Certo, con siffatte premesse, lo vedo quanto meno nero).





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