ATTUALITA'
Alfredo Ronci
Lo scandaloso nepotismo della letteratura di ieri e di oggi e l'ignoranza suina di Salman Rushdie.
Come il vantaggio della cultura dà modo di dire sciocchezze con distinzione... Somerset Maugham.
Dice Giulio Ferroni, professore all'Università 'La Sapienza' di Roma: I premi non servono a niente. Riferendosi ovviamente alle recenti polemiche sul premio Strega che non sarebbe altro che un inciucio tra i grandi gruppi editoriali. Aggiunge lo scrittore Giorgio Montefoschi, vincitore dello Strega nel 1994: il Premio era meglio quando era decisamente manovrato (manovrato? Ma non sarebbe stato meglio usare l'espressione 'diretto'?) da Maria Bellonci e poi da Annamaria Rimoaldi, perché loro avevano molto a cuore il valore del premio stesso. Ora è manovrato (aridanghete!) soltanto dagli editori.
Diatriba questa, che se non fosse perché qualche 'manovratore' ogni tanto finisce al gabbio, sarebbe veramente battibecco da pollaio (ma vorrei ricordare a Montefoschi che anche in anni non proprio recenti, la 'cultura' era in mano – al di là degli 'intrighi' di palazzo e di potere - a persone che approfittando della loro posizione 'interferivano' (sempre virgolettato in modo che l'eufemismo sia più comprensibile) sulle scelte e sulle proposte editoriali: pensiamo allo 'scandalo' che fece l'apparizione della madonnina del sacro cuore della letteratura Dacia Maraini, la protetta e 'sirenetta' di Moravia, indicata da molti – cioè da quelli che capivano di scrittura - come una sorta di sciacquetta ed invece portata sugli altari dal suo pigmalione-amante).
Non può (e non deve) però passare inosservata la dinamica delle scelte che alcuni 'operatori di settore' hanno fatto recentemente per proporre i primi dodici nomi del Premio Strega (ancora??).
Ho avuto modo di leggere la notizia sul sito dell'Ansa, e mi sono scompisciato dal ridere.
E vediamo perché (ma con una precisazione che va fatta: essendo il sottoscritto incline a 'rovistare' nell'ambiente letterario, ma poco avvezzo a frequentar salotti, gli può essere sfuggita qualche liaisons dangereuses...Ça va sans dire): il patron della Marsilio, Cesare De Michelis, non poteva non scegliere La vedova, il Santo e il segreto del Pacchero estremo (Marsilio) di Gaetano Cappelli; il professor Umberto Eco e Angelo Guglielmi non potevano non indicare l'altro professor Antonio Scurati con Il bambino che sognava la fine del mondo (Bompiani). Francesco Piccolo, l'autore di uno dei più brutti libri della stagione, ha 'soprendentemente' consigliato, per via delle sue conosciute frequentazioni, Il tempo materiale (minimum fax) di Giorgio Vasta; le suore della congregazione laica di Nostra Signora della Penna intinta nell'inchiostro Dacia Maraini e Margaret Mazzantini hanno optato per una scelta di 'genere' femminile: L'ultima estate (Fazi) di Cesarina Vighy. Esilarante la preferenza di Filippo La Porta e Elisabetta Rasy (e m'hai detto cazzi!): Cecilia (Edizioni e/o) di Linda Ferri, cioè della sorella di Sandro Ferri, l'editor-patron appunto della e/o.
Potremmo continuare, ma il bello è che quando partono le 'nomination', gli uffici stampa delle relative edizioni indicate esultano nell'apprendere che un loro libro è stato 'prestigiosamente' indicato tra i migliori per il 'prestigioso' premio Strega. Roba da far accapponare la pelle.
E' evidente che non si tratta solo di un claro esempio di nepotismo e di schiaffazzi violenti al buon senso dei lettori che credono ancora nella bontà di quello che leggono, ma è una prova lampante di arroganza del potere e di suina ignoranza.
A proposito di suina ignoranza: l'altra sera ho avuto modo di assistere, nella trasmissione di Fabio Fazio Che tempo che fa di sabato 16 maggio , all'ennesima marchetta editoriale: l'intervista e la presentazione dell'ultimo libro di Salman Rushdie (autore per cui mi vanto di non aver letto nemmeno una riga della sua 'vasta' produzione) L'incantatrice di Firenze (Mondadori). Dopo averci annoiato sulla lunga genesi del romanzo (tre anni di ricerche, soprattutto in Italia) l'ha sparata grossa: parlando delle abitudini alimentari delle popolazioni povere ha sproloquiato dicendo che siccome i disgraziati di un tempo non potevano mangiare pane fresco, ma solo duro, e il pane duro si sa genera eccessiva salivazione (??), quest'ultima a sua volta produceva allucinazioni.
Ora, anche un bambino di fronte ad argomentazioni del genere si chiederebbe cosa consuma di solito lo scrittore indiano: sicuramente stupefacenti a basso costo. Il poverino deve sì aver fatto tre lunghi anni di ricerca e anche in Italia, ma deve essergli sfuggito il lavoro (o forse lo ha 'sfiorato' senza averlo compreso') fondamentale di un grande della nostra storiografia Piero Camporesi che nel suo Il pane selvaggio (consigliato caldamente a tutti quelli che credono ancora nella bontà dei libri) scriveva: Il pane papaverino (il papavero veniva coltivato in vaste zone d'Europa con metodi, si direbbe oggi, industriali), il pane truccato e drogato, aromatizzato per sovrappiù con semi di coriandolo, di anice, di comino, con olio di sesamo, con tutti i possibili additivi voluttuosi reperibili in un «regno vegetale» col quale gli uomini vivevano in intima domestichezza, oggi impensabile; o addirittura, nelle zone in cui veniva coltivata, la farina di semi di canapa, adoperata in cucina per preparare paste e pane la quale «fa perder lo intelletto» e «genera un'ebriacheza domestica e una certa stupidità», erano fra i più diffusi e popolari strumenti che consentivano il passaggio da una condizione umana alle soglie dell'invivibilità a una dimensione stupefattiva e paranoide che non è forse azzardato ritenere non tanto programmata dall'alto (come talvolta si può supporre) quanto voluta e ricercata dalle stesse plebi, macerate dai morbi, dalla fame, dalle paure notturne e dalle ossessioni diurne.
Di nuovo: anche un bambino capirebbe che la salivazione non c'entra un piffero con le allucinazioni, ma che il problema della fame era legato a ben altre condizioni.
Mi sarei aspettato che almeno Fazio avesse detto che la salivazione avviene anche quando uno si appresta a far sesso con una grande gnocca (o grande gnocco): ma equivarrebbe a dire che il sesso è allucinazione?
Chissà.
Suine ignoranze.
Dice Giulio Ferroni, professore all'Università 'La Sapienza' di Roma: I premi non servono a niente. Riferendosi ovviamente alle recenti polemiche sul premio Strega che non sarebbe altro che un inciucio tra i grandi gruppi editoriali. Aggiunge lo scrittore Giorgio Montefoschi, vincitore dello Strega nel 1994: il Premio era meglio quando era decisamente manovrato (manovrato? Ma non sarebbe stato meglio usare l'espressione 'diretto'?) da Maria Bellonci e poi da Annamaria Rimoaldi, perché loro avevano molto a cuore il valore del premio stesso. Ora è manovrato (aridanghete!) soltanto dagli editori.
Diatriba questa, che se non fosse perché qualche 'manovratore' ogni tanto finisce al gabbio, sarebbe veramente battibecco da pollaio (ma vorrei ricordare a Montefoschi che anche in anni non proprio recenti, la 'cultura' era in mano – al di là degli 'intrighi' di palazzo e di potere - a persone che approfittando della loro posizione 'interferivano' (sempre virgolettato in modo che l'eufemismo sia più comprensibile) sulle scelte e sulle proposte editoriali: pensiamo allo 'scandalo' che fece l'apparizione della madonnina del sacro cuore della letteratura Dacia Maraini, la protetta e 'sirenetta' di Moravia, indicata da molti – cioè da quelli che capivano di scrittura - come una sorta di sciacquetta ed invece portata sugli altari dal suo pigmalione-amante).
Non può (e non deve) però passare inosservata la dinamica delle scelte che alcuni 'operatori di settore' hanno fatto recentemente per proporre i primi dodici nomi del Premio Strega (ancora??).
Ho avuto modo di leggere la notizia sul sito dell'Ansa, e mi sono scompisciato dal ridere.
E vediamo perché (ma con una precisazione che va fatta: essendo il sottoscritto incline a 'rovistare' nell'ambiente letterario, ma poco avvezzo a frequentar salotti, gli può essere sfuggita qualche liaisons dangereuses...Ça va sans dire): il patron della Marsilio, Cesare De Michelis, non poteva non scegliere La vedova, il Santo e il segreto del Pacchero estremo (Marsilio) di Gaetano Cappelli; il professor Umberto Eco e Angelo Guglielmi non potevano non indicare l'altro professor Antonio Scurati con Il bambino che sognava la fine del mondo (Bompiani). Francesco Piccolo, l'autore di uno dei più brutti libri della stagione, ha 'soprendentemente' consigliato, per via delle sue conosciute frequentazioni, Il tempo materiale (minimum fax) di Giorgio Vasta; le suore della congregazione laica di Nostra Signora della Penna intinta nell'inchiostro Dacia Maraini e Margaret Mazzantini hanno optato per una scelta di 'genere' femminile: L'ultima estate (Fazi) di Cesarina Vighy. Esilarante la preferenza di Filippo La Porta e Elisabetta Rasy (e m'hai detto cazzi!): Cecilia (Edizioni e/o) di Linda Ferri, cioè della sorella di Sandro Ferri, l'editor-patron appunto della e/o.
Potremmo continuare, ma il bello è che quando partono le 'nomination', gli uffici stampa delle relative edizioni indicate esultano nell'apprendere che un loro libro è stato 'prestigiosamente' indicato tra i migliori per il 'prestigioso' premio Strega. Roba da far accapponare la pelle.
E' evidente che non si tratta solo di un claro esempio di nepotismo e di schiaffazzi violenti al buon senso dei lettori che credono ancora nella bontà di quello che leggono, ma è una prova lampante di arroganza del potere e di suina ignoranza.
A proposito di suina ignoranza: l'altra sera ho avuto modo di assistere, nella trasmissione di Fabio Fazio Che tempo che fa di sabato 16 maggio , all'ennesima marchetta editoriale: l'intervista e la presentazione dell'ultimo libro di Salman Rushdie (autore per cui mi vanto di non aver letto nemmeno una riga della sua 'vasta' produzione) L'incantatrice di Firenze (Mondadori). Dopo averci annoiato sulla lunga genesi del romanzo (tre anni di ricerche, soprattutto in Italia) l'ha sparata grossa: parlando delle abitudini alimentari delle popolazioni povere ha sproloquiato dicendo che siccome i disgraziati di un tempo non potevano mangiare pane fresco, ma solo duro, e il pane duro si sa genera eccessiva salivazione (??), quest'ultima a sua volta produceva allucinazioni.
Ora, anche un bambino di fronte ad argomentazioni del genere si chiederebbe cosa consuma di solito lo scrittore indiano: sicuramente stupefacenti a basso costo. Il poverino deve sì aver fatto tre lunghi anni di ricerca e anche in Italia, ma deve essergli sfuggito il lavoro (o forse lo ha 'sfiorato' senza averlo compreso') fondamentale di un grande della nostra storiografia Piero Camporesi che nel suo Il pane selvaggio (consigliato caldamente a tutti quelli che credono ancora nella bontà dei libri) scriveva: Il pane papaverino (il papavero veniva coltivato in vaste zone d'Europa con metodi, si direbbe oggi, industriali), il pane truccato e drogato, aromatizzato per sovrappiù con semi di coriandolo, di anice, di comino, con olio di sesamo, con tutti i possibili additivi voluttuosi reperibili in un «regno vegetale» col quale gli uomini vivevano in intima domestichezza, oggi impensabile; o addirittura, nelle zone in cui veniva coltivata, la farina di semi di canapa, adoperata in cucina per preparare paste e pane la quale «fa perder lo intelletto» e «genera un'ebriacheza domestica e una certa stupidità», erano fra i più diffusi e popolari strumenti che consentivano il passaggio da una condizione umana alle soglie dell'invivibilità a una dimensione stupefattiva e paranoide che non è forse azzardato ritenere non tanto programmata dall'alto (come talvolta si può supporre) quanto voluta e ricercata dalle stesse plebi, macerate dai morbi, dalla fame, dalle paure notturne e dalle ossessioni diurne.
Di nuovo: anche un bambino capirebbe che la salivazione non c'entra un piffero con le allucinazioni, ma che il problema della fame era legato a ben altre condizioni.
Mi sarei aspettato che almeno Fazio avesse detto che la salivazione avviene anche quando uno si appresta a far sesso con una grande gnocca (o grande gnocco): ma equivarrebbe a dire che il sesso è allucinazione?
Chissà.
Suine ignoranze.
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