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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Giovanni Sebastiano del Rio

MUSICA MONDANA. "esquisse d'un nouveau mundial" (10 luglio 2006, Roma, piazza della Repubblica (già dell'Esedra delle Terme di Diocleziano) , oltre ore 21.00 e oltre).

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La folla. La turba. La folla. Sventola bandiere tricolori - ma ci sono delle varianti: una britannica, con le due croci sovrapposte di san Giorgio e di sant'Andrea, ma bianca e verde su fondo rosso. Un'altra, che subito sembra quella francese - proprio con la Francia hanno vinto gli italiani - ha una banda verticale azzurro bluastra, quella centrale bianca e l'ultima arancione. Una terza è azzurra, in cornice a scacchi bianchi e neri, istoriata con scritte inneggianti la vittoria e riproduzioni dei trofei conquistati (compreso quest'ultimo).

Par di vederne una con lo scudo sabaudo, addirittura, assicurata a un palo bianco, a sezione quadra, ostesa da un ragazzo dal volto saloìno, a linee forti e rimarcate, pigramente felice. Infine, un drappo a scacchi bianchi, rossi, verdi, che viene, dove il traffico si muove ancora, anche se a passo d'uomo, usato come la bandiera degli "starter" nelle corse automobilistiche: la stoffa variopinta lambisce il parabrezza delle vetture, con una cadenza e un gesto da stendardo mariano che sfiora i credenti in processione. Il ragazzo che lo muove ha un'aria rapita, allampanato com'è, con un gran naso e una gran bocca dal labbro superiore tinto in verde - già, i denti sono bianchi, l'altro labbro color ciliegia.

I cori gridati dalle auto - qualcuna dalla carrozzeria tricolore, lucida -, coi portabagagli aperti e occupati da una o più persone assise con le gambe 'gnude verso l'esterno, dai furgoni di carrozzeria angolosa, paramilitare, e scritti sulle fiancate con la pubblicità dell'azienda trasporti e traslochi, dai camioncini scoperti e affollati di festeggianti, e dalla massa che fa su e giù per il viale della Stazione, sono "la madre di Zidane è una puttana" (variante: mignotta), "siamo noi, i campioni del mondo siamo noi", e "o-oh, bastardo francese" - quest'ultimo ridotto quasi sempre alla sua melodia, sillabata sostituendo al testo una serie di "po": ne risulta un "popopo-popopo", tra il greve-soddisfatto e il minaccioso. Son voci baritonali o basse, o di contralto, che sìllabano, controtenòrano e inveiscono: ma fra esse spuntano bianche e acute, a sfida, sonorità infantili o puberali, gioiose delle parole sporche non da nascondere ma anzi calde ed elogiate.

La fontana di piazza dell'Esedra si riempie di esultanti, che sventolano bandiere, cantano - ma non l'inno di Mameli, sentito pochissimo - schiamazzano e schizzano i passanti: le ragazze quasi tutte con la maglietta azzurra col nome e il numero - Inzaghi, Totti, del Piero -, i ragazzi a torso nudo: la maggior parte entra nell'acqua con le scarpe footlocker o giapponesi, qualcuno è pieds nus. Sul bordo di marmo bucherellato come una pomice, una bambina scalza balla assieme a sua madre (o è una sorella maggiore?) prosperosa una sorta di shake. Una telecamerina la riprende - telecamerine, fotocamere digitali, videofonini spuntano ovunque a inquadrare la gran scena, e i dettagli: lo stravagante che ha con sé un cartonato del goleador romanista, quello con una coppa del mondo in plastica dorata, di formato ridotto, il terzo con un foglio di cartone sagomato e dipinto come il trofeo. E poi: una Ka amaranto dipinta al centro di due strisce bianche che ingobano una verde; una speeder dalla carrozzeria tricolore e la scritta azzurra CAMPIONI DEL MONDO 2006 sulle fiancate; una Micra che, su una portiera mostra, in cornice di scotch marrone da pacchi, pagine di giornali notiziari e inneggianti.

Pure qualche marchettina rumena e di Barberia festeggia: una di loro ha la maglia azzurra di Totti, pantaloncini bleus e scarpe nere affusolate, che richeggiano gli scarpini. Le altre si limitano ad accennare qualche mossa di giubilo ai ragazzi fradici per il tuffo nella fontana, o passi di danza con le ragazze che sfilano, spesso con il tricolore portato a mo' di gonna. La loro allegria è più voglia di far bordello che altro, ma trattenuta dal desiderio - forse - di non farsi troppo notare, e interrotta da abboccamenti con i probabili frequentatori. Eppure, qualche minuto prima della vittoria, da un televisorino esposto alla "casina delle rose", in una breve pausa tra i rigori, uno dei ragazzetti puttani aveva confessato ridendo con una sfumatura d' inautentica dritteria: "sai perché stiamo in Italia? Per andare coi froci a guadagnare di soldi". Il destinatario della confessione, un ragazzo poco più grande che indossa una maglia nera con un teschio pirata, scoppia a ridere e approva: "e fate bbene!". Poi un rigore parato distoglie l'attenzione e riporta la tensione sul calcio.

La gran sfilata di auto e motorini - che dilagano pure sui marciapiedi - ingorga la strada: dal tettuccio di una Cinquecento color cappuccino, con due strisce nere parallele all'asse, si sporgono, a tratti esultanti, un ragazzino sui tredici anni, magretto e spettàto, e suo fratello poco più grande, ugualmente a torso nudo - li osserva un bambino dai capelli rasati, con una piccola cresta mantenuta col gel al centro, colorata di bianco: le due ali della capigliatura sono, ovviamente, l'una rossa e l'altra verde (alcuni volti adulti, dalle guance grosse, esibiscono il medesimo maquillage). A sua volta, il bambino è osservato con attenta curiosità da un bimbo più piccolo, capelli paglia lunghi e ricci, bandiera che lo avvolge, ai piedi delle infradito e una cavigliera di plastica trasparente. Poco più avanti, una giovane donna inguainata in una maglietta azzurra stretta, si volta, con angoscia: non trovandosi più il figlio vicino, lo cerca nel clamore. Non può muoversi: tiene una carrozzina con un pupetto di nemmeno due anni, dai capelli d'un biondo ancor più tenue del fratello, che spenzola dal seggiolino i piedini nudi, beatamente addormentato - dorme "con la zìzza in bocca", come si dice, e in effetti succhia un ciuccio color miele. Non si sveglia nemmeno quando esplode un fuoco d'artificio, componendo una sfera di sferette che somigliano a palle di neve, quella che toccandola per il gelo ustiona.

Dietro la Cinquecento, nel traffico virtualmente fermo, da una delle auto col portellone posteriore rialzato, due ragazzi suonano un tamburo: lo strumento è professionale, e se ne vedono diversi in giro, percossi con buon senso del ritmo, non solo per fare caciara, cioè. Su via Vittorio Emanuele Orlando, alcuni tamburini sono su un piccolo camion con la ribaltina calata, e dànno il tempo a due ragazze diciotto-ventenni che ballano con movenze "selvagge", piuttosto raffinate nella loro coordinazione, tanto che si potrebbe pensare che le giovani siano ballerine o comunque studentesse di danza. Le osserva compiaciuto un uomo che somiglia a Carlo Marx: nel calore da discoteca dei luoghi, mantenuto da quell'energia radiante dai nervi, dai muscoli, dalle grida, che ogni folla o gruppo emana e possiede - ragione per cui se si marcia inquadrati in un plotone, si fa più strada con meno fatica, siccome il plotone marcia per te - l'uomo dalla chioma bianca vaporosa indossa una camicia anonima, chiara con righine verde acqua e beige, completamente sbottonata. Cinge alla vita una donna d'aspetto fine, nascàta, con la bandiera come pareo, e una collana di bigiotteria sul seno nudo, tricolore. La coppia giunge in piazza, e passa dietro una pantera biancazzurra: una poliziotta, con il casco antisommossa indossato, da dietro la portiera spalancata riprende col videofonino l'esultanza che anima la gente nel fontanone. Carlo Marx allora scherza a voce alta: "Guarda che er corpevole già l'hanno trovato. E' Totti ai rigori!" La poliziotta lo snobba, e così il suo collega dal viso aziendale, a capo scoperto, dall'altro lato dell'auto di servizio, mentre alla curva della fontana una Golf nera spande sull'asfalto da certi neon appliquées al suo chassis una luminosità azzurra, vagamente caramellosa - ricorda il ripieno delle pastiglie balsamiche. Due bambine in vestarelle celesti sono tutte divertite e affascinate da quel lucore, e vi avvicinano i piedi per vedere come riescono in blu. Il loro padre le sorveglia: ha il cranio raso, è fisicatissimo, e mostra tatuaggi aggressivi. Non è l'unico: dai toraci esposti dai maschi, dagli addomi femminili liberati - e c'è un'infebbratura di piacevole esibizionismo nel mostrare delle sciammannate nudità, gioia della trasgressione consentita, unico vero carnevale rimasto dopo la morte di quello tradizionale che infatti ha del funereo (per non dire di halloween) - assieme ai piercing d'acciaio chirurgico spiccano, grandi o ridotti, elaborati o rozzi, monocromi o multicolori, svariati tattoos. I destrimani esibiscono rune, asce bipenni, croci celtiche, e complicati intarsi dai contorni a punta di lancia, comunque erettili; a fianco, una bellissima e gentile ragazza che cinge un giovane nero, pelato, stylish, sfoggia una sequenza di simboli polinesiani che, spiega a un coatto cicciolone con il tricolore per mantello, sono segni di spiritualità; un ragazzo magro, puntuato da nei rossastri, ha i capelli chiarissimi, d'un pallore cloroso sotto le lampade al sodio dell'illuminazione stradale, ed esibisce una cicatrice anatomica sul ventre, e un volto d'indiano sulla spalla tanto flebile da parere disossata.

Dietro di lui, passa una famigliola: il maschietto bellerèllo in completo da scuola calcio ma con le infradito judoka, e una sirena in mano, che muggisce sperdendosi nel barrìto delle sue simili, e nel fondo della sinfonia dei clacson che, ripetuta e ripetuta e ripetuta e ripetuta, ha un'idea di misticismo, coi suoi registri da organo (scordato) di chiesa; la madre testappunta con un cappello a cilindro tricolore, clownesco, con dei sonagli sporgenti dalla tesa - li fa trillare scuotendo il capo, nel modo disarticolato di quei cagnolini che si mettevano presso il cristallo posteriore delle auto; il padre, faccia da commis, elongata e divisa da un naso ciceroniano, in Lacoste di colore chiné - per la precisione, matelot - e bermuda MARTINI RACING CLUB in jersey, con una bandierina 20x15, la cui asta è un tubo di plastica estrusa, nero. Passando, sfiorano alcuni ragazzi che si stanno spogliando -"ma che te levi li carzòni?" "Ennò! Tanto c'ho l'àndervea!" per tuffarsi nelle vasche della fontana, e si scostano tanto da permettere il passaggio d'una sedia a rotelle con un giovane dalla gamba ingessata dipinta d'acrilico blu, e d'un carrello portabagagli, spinto da un trentenne azzurro e divertitissimo, sovracarico di due giovani poppute, munìte di pentole, padelle, coperchi, che percuotono con foga. La loro idea non è inedita: molti ensemble di queste casalinghe percussioni fanno da cimosa musicale all'inesausto zùnnene-zu del concerto grosso mortaiesco che aggrava l'aria col suo peso di felicità a tutti i costi, col voler sbattere in piazza insino gli ultimi dettagli caciarònici e scaciàti di quella vita che di norma è strettamente confinata nelle marche territoriali della casa, del lavoro, della posizione, del decoro in doppiopetto blu-buono, del livellatore "nuje simmo serie!" del principe de Curtis.

Nell'occasionale frastuono, muto, un ciccione siede su un rialzo di cemento: il volto del surpeso, come per un trucco inadatto, s'atteggia a tristezza. Poco prima, a uno dei mignotti festeggianti, aveva ricordato: "Tu sei rumeno, io so' romano. Che ce ne frega a noi de'l'Italia?" Ora, invece, da un crocchio che inneggia alle itale virtù si stacca un giovane poco più che ventenne, che lo avvicina e gli porge la mano, dicendo, in tono di rimprovero sollecito e comprensivo, con un fondo d'incitamento e cameratismo: "Aho, forza! Mitico, màggico, grande! Forzitàlia!"

Afferrandogli la mano in una stretta che ha similitudine con quelle più complesse dll'americanità filmica, il pancione conferma: "Sempre!" E si lasciano, confusi dalla calca, immemori del tentativo d'un magro e forse briaco tricolorizzato di salire su una Clio biancolatte: ne raggiunge il tettuccio, ma lo sente cedere sotto di sé. Tralascia, dunque, scendendo aiutato da un suo sodale. Entrambi, subito, raggiungono la linea di casotti ch'è La fiera del libro. Appena spantalonandosi, liberano le loro acque sul retro dei cassoni di lamiera: non son certo soli, né inosservati dagli amatori del birdwatching, ma fanno tranquilli e, chissà, pure inorgogliti che la loro virilità venga apprezzata. Più raccolto, in uno dei diàstemi tra le rivendite, un papà vigila sulla figliolina accoccolata per la fisiologia. Passa un frocio, a sbirciare nel cubicolo l'ombra densa del padre: ma quando intravede nel basso buio la buia figuretta della bimba - che ha una mossa a coprirsi, stendendo con la manina l'orlo del vestito -, intende e tralascia, concentrandosi sulle nudità sfrontate dei ragazzini, dei ragazzi, dei giovani che erompono in un enfatico "chi non salta francese è", e recandosi alla fontanella, nemmeno troppo affollata. E' qui che riceve un leggero colpo in testa - forse gli hanno tirato contro un tappo d'acqua minerale, centrandolo: si volta, e riprende e accusa dell'oltraggio il rumenino che aveva contattato prima, coinvolgendolo - "tu rumeno, io romano, che ce frega dellitàja" - in una condizione d'esclusi. Quello, com'è natura, si butta a santa Nega: "nun cero se cero dormivo se dormivo soghnavo de nu stacci". Stracanati, suoi compari si distendono nelle pelose del giardinetto, su piatti cartoni un tempo scatole - quello con la maglia azzurra lamenta "ma quanto dura?". Gli risponde un cliente "ha'vòja! Pure fino a domani!", sconfortandolo. E' in quel momento che, nell'aria stracarica del fortore e del nebbione granulato della polvere balistica dei fuochi e dei botti, rompe il velo di fumigagione e umidità un trìcche-ballàcche che in basso apre un bouquet di flammule verdi boriche, centrato da steli bianchi-grattachecche, al culmine di quali scaracchiano puntature rosso-porporine. Ma s'è fatta 'na certa! s'inizia a mormorare. Dunque il traffico e le stramberie si diluiscono, malgrado più rari nuovi arrivi, e si ha tempo e modo di raggiungere via XX settembre, dove, in una pizzeria aperta, ci si serve d'una tiepida metà margherita ("spicci per favore!"), e si seguono sul tv relegato in alto nell'angolo commenti, felicitazioni, glosse all'impresa. Dopodiché, ripreso il cammino, e oltrepassata l'ambasciata inglese - uno dei carabinieri di guardia (basso, baffuto, irrimediabilmente meridionale) s'intrattiene con una coetanea, amica o promessa, mettendola a parte del suo sacrificio, servendo l'Arma nel giorno della vittoria - s'arriva alla fermata del notturno. Che passa, venendo da una direzione non sua, e subisce l'assalto dalla sudaticcia giovanile folla; subito dopo, un autobus articolato raccoglie i disubbidienti al richiamo dell'effetto notte. Tra questi, una famigliola anglosassone: l'alto stout papà tiene in cavacecio il figlietto novenne, nudo dalle cosce in giù. Uno solo dei piedi mantiene un'infradito: l'altro è libero, con la pianta sporchetta, probabilmente la pianella s'è sfasciata o è stata persa. Quando allora il papà poggia sul marciapiede il figliolo biondo e pallido, questi appiana l'estremità calzata sull'asfalto, quindi poggiando sul catrame ciccoso solo l'avampiede libero dalla ciabatta, il che gli dà movenze da zoppo, almeno finché rapido e rapinoso non sale sulla vettura, precipitandosi a occupare dei posti liberi, e richiamando ad essi i famigliari.

Il frocio che abbiamo più volte nominato, vede la scena e le volta le spalle per salire sul bus a un'altra porta. Grasso com'è, ha appreso sin da piccolo che sul volto degli altri c'è scritto "tu no" - tanto più vero nella falsa familiarità del risultato sportivo e della sua epica. Davanti a lui, seduti, un gruppo di ragazzi fascisti piccoloborghesi. Li riconosce alla vista, abitano nel suo quartiere. Uno di loro propone: "Ô, mo' arivàmo a casa, piàmo 'a màchina, e fàmo veramente casino!"

L'autobus salta una fermata, costernando chi vi era in attesa. Da dietro parte un grido bravo er kapo! di approvazione all'autista. E' l'ultimo suono acuto della notte. I viaggiatori, scossi, accavallati sul bruco-bus eccezionalmente in servizio, l'uno con l'altro tacciono - ma è strano: di solito, permanendo a lungo in luoghi rumorosi, resta uno scuro brontolìo di fondo nell'orecchio, qui niente. Nemmeno l'ispanica in canotta albicocca, forse equadoriana e quarantenne, che ha rustici tatuaggi, di sapore blu carcerario, sulla pelle marro' degli avambracci, e sulla tabacchiera anatomica carmen y jose carmen y evita hermanitas del alma sin comer y sin amar nadie la puede pasar. Né la giovanina dal volto e dal naso aguzzo, pierciato da un brillantino: lei veste una canotta azzurra e un tricolore per gonnellone, e si confida, abbracciandolo, all'òmo suo: "Ô, stasera so' felice. Ma felice..." non trova il termine di paragone, finché erompe: "Felice 'na cifra!".





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