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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

Matthias Sindelar: l'antihitleriano di cartavelina

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"Aveva, sì, struttura atletica, nel senso che era alto, slanciato e che i suoi lineamenti esprimevano energia e decisione. Ma era magro, secco, asciutto in modo impressionante. Di muscoli non ne aveva, di consistenza non ne mostrava. Di profilo pareva piatto, sottile, trasparente, come se – scusate la frase alpina un po' irriverente che viene in mente – la madre ci si fosse, per errore, seduta su appena nato. A vederlo giuocare, si trasformava. Era il padrone della palla, l'artista della finta. Alla mancanza di fisico sopperiva subito con l'intelligenza. Aveva appreso a smarcarsi in modo magistrale. Lasciato libero distribuiva, smistava, dettava temi di attacco, diventava la vera intelligenza della prima linea. Monti odiava tutti i danubiani, li metteva in un mucchio solo, ma chi aveva particolarmente in uggia era Sindelar: vedeva rosso, e contro di lui e contro le danze a base di finte che gli faceva davanti e le continue richieste di penalty, aveva una paura matta di perdere le staffe" (dal sito www.maniacalcio.com).



Ecco di nuovo il calcio. E il campionato e le 'infinite' coppe. E i calciatori, splendidi nel loro lucore anabolizzato, nell'ufficialità dei vari appuntamenti internazionali. Dove, hai voglia a dire, s'insinuano pericolose forme di razzismo e il cui fortino è immune dalle bordate di indicibili tabù.

Ecco di nuovo il calcio a raccontar imprese e soldi (la barzelletta del mese? Calderoli che minaccia di raddoppiare la tassa di solidarietà ai nostri 'eroi nazionali') e magari fuitine d'amore (e pure gli scioperi!).

Intendiamoci, lungi da me l'equazione sordida e apparentemente scontata, qui e subito, dello sport e del calcio dunque, come masseria di nazionalismi e odii, di razzismi e di gossip velinari. C'è di più (ahimé), ma proprio in questo bailamme di esagerate devianze e passioni sfrenate, dove il calcio ruba non solo le prime dei giornali ma è, ancor più della religione, oppio dei popoli, ci piace rimarcare, noi che paura non abbiamo, una figura che con l'agonismo di questi tempi e con i falsi protagonismi ha poco a che fare. Un gentiluomo del calcio, austriaco di nascita, che, pur di non tirare palloni nella compagine tedesca hitleriana dopo l'annessione dell'Austria, preferì farsi isolare e probabilmente farsi "suicidare".

Ma andiamo con ordine e per un po' abbandoniamo le isterie calcistiche contemporanee: sintetizziamo gli eventi che stanno dietro questa storia di principio, di coraggio e di coerenza politica.



1933 – Hitler al potere

1934 (luglio) – I nazionalsocialisti austriaci (appoggiati da Hitler) uccidono il cancelliere austriaco Dolfuss (molto amico di Mussolini). Secondo il Duce "Hitler è colpevole, è responsabile di questi avvenimenti". (1)

1936 (giugno) Mussolini, dopo un accordo che "garantisce" sì l'indipendenza austriaca ma "invita" lo stato ad improntare la propria politica estera sulla base di quella tedesca, dichiara che l'Austria è in primo luogo uno stato tedesco.

1938 (9 marzo) Il primo ministro austriaco Schuschnigg in un discorso a Innsbruck annuncia per domenica 13 marzo un plebiscito. Al popolo austriaco sarebbe stato chiesto un voto favorevole per "un'Austria libera, indipendente,sociale e cristiana".

1938 (10 marzo) Da Berlino un "niet" al plebiscito austriaco.

1938 (13 marzo) La Germania di Hitler assume pieni poteri in Austria. E' la riunificazione (Anschluss). Mussolini e l'intera Europa tacciono. Era l'ultima occasione che i vecchi alleati, la Gran Bretagna, la Francia e l'Italia, aiutati dalla Cecoslovacchia, in possesso di un esercito bene armato, avevano di muoversi per fermare Hitler.(2)



Il 3 aprile del 1938 Vienna è imbandierata, apparentemente in festa. In realtà per la città sventolano le croci uncinate del regime nazista. Ma serpeggia una tensione non assopita: al Prater, lo storico campo di calcio della capitale, sta per svolgersi un incontro dai mille significati politici, Austria contro Germania. Questa partita ha una particolarità: è l'ultima volta che scende sul terreno la nazionale austriaca. E' già stato tutto deciso: i nazisti, consapevoli dell'importanza, a livello popolare, di uno sport come il calcio e consci della loro "debolezza" tecnica, hanno previsto di inglobare nei ranghi tedeschi i migliori talenti del calcio danubiano, patrimonio esclusivo di un trainer come Hugo Meisl (a quel tempo però già deceduto da circa un anno), l'uomo che inventò il "Wunderteam" (la compagine dei sogni).

Gli spalti, come direbbero i commentatori sportivi, sono gremiti di 60.000 spettatori:la speranza è quella di affidare ai giocatori austriaci le sorti di una mai assopita identità nazionale.

La partita finisce 2 a 1 per l'Austria: il gol della vittoria è messo a segno dall'idolo delle folle, Matthias Sindelar, detto "der papiereine" (cartavelina), calciatore dall'immensa classe, magro e sottile, ma terrore delle difese avversarie. Al termine dell'incontro, secondo un curatissimo protocollo degli organizzatori, i calciatori sono chiamati a salutare i gerarchi nazisti presenti in tribuna. Tutti, compresi gli austriaci più giovani, fanno il saluto: solo Sindelar e il suo fedele compagno Karl Sesta si rifiutano. Il Wunderteam pagherà cara questa commovente prova d'orgoglio perché poco tempo dopo verrà ufficialmente sciolto.

Matthias Sindelar nasce a Kozlov, nella Moravia austriaca, il 10 febbraio del 1903, da una famiglia ebrea. Il padre muore nel 1917 sull'Isonzo. La madre, per mantenere 4 figli, apre una lavanderia a Vienna.

Talento naturale, in pochi anni, pur avendo un grosso problema al ginocchio che lo segnerà per tutta la carriera, arriverà alla nazionale. Ai mondiali purtroppo, per motivazioni ogni volta diverse, non riuscirà mai a dare un contributo determinante.

Nel 1934, ai campionati che si svolgono in Italia e per la prima volta in Europa, la compagine austriaca, tra le favorite d'obbligo, non riesce a dare il meglio a causa di una crisi economica che investe prima il paese e poi, di conseguenza, la struttura stessa del calcio austriaco. La federazione, sull'orlo della bancarotta, non paga la trasferta nemmeno all'allenatore della nazionale. Siamo poi già alla vigilia delle pressioni tedesche e dell'omicidio del cancelliere Dolfuss che anticiperanno i diktat tedeschi degli anni a venire fino all'Anschluss.

Ciò nonostante l'Austria arriva alle semifinali dove viene sconfitta, con onore e non senza pesanti dubbi sulla regolarità del gol azzurro (!), dall'Italia di Vittorio Pozzo.

Ai mondiali di Parigi del 1938 la situazione è completamente diversa: I mondiali probabilmente disillusero alcuni tifosi austriaci riguardo all'Anschluss. Il loro Wunderteam aveva ormai perso, e la sconfitta di Parigi nascondeva un'ovvia morale circa le difficoltà presentate dalla fusione di due paesi. I giocatori tedeschi e austriaci non erano riusciti a legare e a costruire azioni coordinate: i tedeschi consideravano gli austriaci arroganti, in parte perché gli austriaci erano riusciti ad ottenere un trattamento da professionisti mentre i tedeschi erano rimasti dilettanti. (Dopo, con molto dispiacere, gli austriaci vennero nuovamente retrocessi a dilettanti perché i nazisti consideravano il calcio professionistico una continuazione ebraica dello sport). (3)

La marea antisemita è già montata, ma accanto a questo terribile problema una sorta di umanissimo orgoglio e di limpidissima coerenza politica inducono Matthias Sindelar a rifiutare di giocare i mondiali di Parigi. La compagine tedesca di quel tempo era guidata da un allenatore giovane, Sepp Herberger, che guiderà la squadra al successo nella coppa Rimet nel 1954: tecnico serio, per niente fanatico, poco filonazista, conosce il valore di Sindelar e per questo tenterà fino alla fine di convincerlo.

Per evitare guai, Sindelar dice di sentire dolore al ginocchio infortunato ed operato anni prima, poi, imparando a conoscere il suo interlocutore chiede, educatamente, di essere lasciato fuori, di non indossare quella maglia che non è sua. "Mi accorsi" – racconterà anni dopo Herberger – "che c'erano altri motivi per cui non voleva giocare, ed io decisi di lasciarlo in pace, anche se sapevo che era ancora il più forte". (4)

La decisione di Sindelar appare ancora di più limpida e coraggiosa se confrontata con altre carriere sportive di tutto rispetto. Le invasioni della Germania, al di là delle considerazioni politiche, s'erano dimostrate un metodo di tutto rispetto per racimolare giocatori di buon livello in tutta Europa: primo fra tutti Ernst Willimowski, ancora oggi considerato il miglior calciatore polacco di tutti i tempi.

Dopo che la Polonia fu invasa, si autoproclamò tedesco (la sua famiglia era in parte tedesca e lui parlava perfettamente la lingua). Si sottopose persino all'abituale rito di iniziazione praticato dagli atleti del Reich: gli calarono i calzoni e tutta la squadra lo picchiò sul sedere, un rituale che i calciatori tedeschi chiamavano "lo Spirito Santo". (3)

Il rifiuto invece di Sindelar di giocare i mondiali di Parigi segnò la sua fine: da quel momento gli viene a mancare anche lo schermo protettivo che gli era stato garantito dalla sua condizione di fuoriclasse sportivo.

Il 26 dicembre 1938, a Berlino, gioca la sua ultima partita, un incontro amichevole fra Austria Wien e Herta Berlino. Segna anche un gol.

Poco meno di un mese dopo, esattamente il 23 gennaio del 1939, viene trovato morto nel suo letto accanto ad una donna italiana, Camilla Castagnola.

La spiegazione ufficiale è "avvelenamento da monossido di carbonio". Una stufa malfunzionante avrebbe provocato una fuga di fumo.

L'indagine, pur se coinvolgeva un nome di altissimo richiamo (il funerale sarà seguito da non meno di 40.000 austriaci pronti a sfidare i vari divieti imposti dai nazisti), fu archiviata quasi subito. E il rapporto su questa strana morte svanì nel nulla e non si trovò più.

Si fecero varie ipotesi: il suicidio, primo fra tutti, perché Sindelar era ormai "isolato" e malvisto (ma a questo punto non si spiega il bagno di folla alle esequie, non si spiega la presenza della ragazza italiana, non compagna abituale, ma una semplice conoscenza di pochi giorni prima o addirittura non si spiega l'assenza di puzza di fumo nell'appartamento in cui furono ritrovati i corpi).

Si parlò di un omicidio organizzato dalla Gestapo venuta a conoscenza di un'Agenzia ebraica che aveva il compito di arruolare Sindelar in un'organizzazione che avrebbe dovuto favorire l'espatrio degli ebrei austriaci.

L'episodio, nonostante le evidenti omissioni e le fantasie "montate ad arte" è servito a costruire un mito:da allora, il 23 gennaio, data che cade a pochi giorni dalla "giornata della memoria" dedicata alla commemorazione della Shoa, sulla tomba di Matthias Sindelar, nel Cimitero Centrale di Vienna, si tiene una semplice cerimonia cui partecipano i dirigenti della Federazione austriaca di calcio e i sempre meno compagni di squadra del tempi del Wunderteam. Alla fine viene deposta una corona d'alloro e di fiori bianchi e viola, i colori dell'Austria Vienna.

Matthias Sindelar, l'uomo cartavelina, il "Mozart del football" come lo definì il grande allenatore Hugo Meisl, l'uomo che disse no a Hitler e ai nazisti. Il calciatore che, in questi tempi di scandali e parole gettate al vento, costituisce ancora una speranza.









(1) Jens Petersen – Hitler e Mussolini la difficile allenza – Edizioni Laterza 1975

(2) William L. Shirer – Gli anni dell'incubo 1930-1940 – Le Scie Mondatori 1986

(3) Simon Kuper – Ajax, la squadra del ghetto – ISBN Edizioni 2006

(4) www.postadelgufo.it/campioni/sindelar.html







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