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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

Metamorfosi e fughe nell'arte di Kobo Abe (*)

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Kobo Abe, come altri suoi contemporanei (Kenzaburo Oe, premio Nobel 1995 per la letteratura, Mishima, Kawabata ecc.) rappresenta, nello stesso tempo, continuità ed evoluzione nella caratterizzazione della letteratura giapponese.

Perché continuità? Perché in lui si riaffacciano prepotentemente i due filoni che segnarono il romanzo moderno orientale: lo 'shishosetzu' (autobiografismo) e 'la lezione realista'. Lo shishosetzu fu il tramite attraverso il quale l'autore, isolato ed escluso da una società sempre più modernizzata e tecnologica, realizzò la possibilità di confrontarsi con la realtà, o meglio ancora, con la 'propria' realtà. Un modo come un altro d'inserirsi in una dimensione sociale che tendeva ad escluderlo e ad emarginarlo. Un'arma a doppio taglio: se da una parte costituiva un aggancio col reale, dall'altra preparava ad una sottile, quanto inevitabile discesa verso un mondo drammatico, chiuso, solipsistico.

La lezione realista ebbe dalla sua il merito, in seguito all'impatto della rivoluzione russa e dell'ideologia marxista, di rilanciare un movimento prigioniero di se stesso. E gli scrittori che militavano in quella sorta di 'letteratura proletaria' auspicarono un superamento dello shishosetzu a favore di un genere che fosse sempre più espressione delle contraddizioni della società.

Si diceva all'inizio evoluzione. Perché? Perché Abe, spesso paragonato a Kafka (e vedremo quali legami effettivamente esistono), sotto la spinta di un senso acuto di frustrazione per l'uomo contemporaneo, travolge la scrittura con un fiume in piena di inedite invenzioni, surreali e grottesche, mai disgiunte da un impegno politico palese ed enormemente sentito.



Kobo Abe nasce a Tokio nel 1924. Ancora bambino segue suo padre che si trasferisce in Manciuria per insegnare. Nel 1943 torna in Giappone e si iscrive alla facoltà di medicina all'Università Imperiale di Tokio.

Alla fine degli anni quaranta esordisce con una raccolta di poesie, pubblicata a proprie spese, e con una serie di racconti che già qualificavano esplicitamente la sua arte. Negli anni '50 partecipa alla riorganizzazione delle formazioni di sinistra sciolte dal governo negli anni '30 e '40. Come rappresentante di un'associazione, che raccoglieva scrittori e intellettuali marxisti e simpatizzanti del partito comunista, viene invitato dai circoli culturali dell'est europeo a presiedere i lavori e le assemblee. Durante questi viaggi nasce in lui un atteggiamento decisamente critico nei confronti dell'ideologia comunista che determinerà, una volta rientrato in Giappone, un suo graduale allontanamento, fino alla rottura definitiva che avverrà nel 1962.

Sono proprio gli anni sessanta a sancire la sua affermazione come scrittore. Nel 1962 esce La donna di sabbia, romanzo intenso e suggestivo da cui il regista giapponese Hiro Teshigahara trarrà l'omonimo film.

Muore nel 1993.



Metamorfosi nel corso del tempo.



Trasformazioni fisiche e mentali. Ridefinizioni geografiche. Mutazioni genetiche. Scherzi del destino e della natura. Mondo desolato e in frantumi. Mondo di derelitti. Cocci.

Ecco le metamorfosi di Abe, l'elemento principale, ossessivo e disgregatorio, della sua arte e dei suoi incubi. Che sembrano fare i conti non con il fantasma ingombrante di un'eredità nucleare i cui segni i giapponesi portano ancora sulla propria pelle, ma con il senso tragico di un'esistenza volta alla disperazione, all'alienazione e al vuoto.



1948: Il gesso magico (1)

Argon, un uomo affamato e disperato, si accorge che i disegni che dipinge su una parete, in determinate condizioni, possono materializzarsi. Ma scompaiono alla luce del sole. Per soddisfare le proprie esigenze (cibo soprattutto e donne) decide allora di chiudere tutte le finestre per avere sempre buio e sostentamento. Dipinge una donna fatale, Eva, che a sua volta, per rimanere in quell'ambiente stretto ed oscuro, vuole la metà del gesso con cui Aron disegna le cose che si materializzano. Argon accetta, ma la donna, con quell'insperato regalo tra le mani, dipinge una pistola e gli spara contro. L'uomo non muore e Eva, in preda alla disperazione, fugge dalla casa che, inondata dalla luce cancella lei e tutte le illusioni di un'esistenza appena più sopportabile. Argon, altrettanto disperato, viene risucchiato dalla parete.

Qualcuno scrisse a suo tempo che Il gesso magico costituiva un inno all'indispensabilità dell'ideologia comunista con una descrizione netta della condizione operaia giapponese dell'immediato dopoguerra e della ridistribuzione dei beni materiali indispensabili.

Vero in parte: in Abe è viva la percezione di una società politicamente collassante e quindi bisognosa di una radicale trasformazione rivoluzionaria. Anticipa di netto la realtà, ancor più liberticida, della Tokio dei nostri giorni, della Tokio dei Doya-gai, i senza tetto e i senza lavoro (che hanno tanto affascinato anche la fantascienza americana, pensiamo a Bruce Sterling), coloro che per le statistiche ufficiali non esistono perché geograficamente non residenti, ma è attraverso il dispiegamento di astuzie letterarie , di verie e propri calembour d'effetto, che straripa un senso di generale straniamento e perdità d'identità dell'uomo contemporaneo.

Il gesso magico è il de-evolversi di un dramma: la fuga da una situazione disperata, senza via di scampo, verso un'altra, solo per scoprire l'impossibilità di uscire da un'ennesima trappola. Dice Argon ad Eva, di fronte all'illusione demiurgica:

- No, sono Adamo. Adamo, pittore e ideatore del mondo.

- Non capisco.

- Nemmeno io, perciò sono disperato.






1950: Dendrocacalia. (3)

Di nuovo metamorfosi e di nuovo fuga. Inutile. Stavolta è Komon che si trasforma in pianta.

Spossato, allentò la presa e percepì la propria metamorfosi in pianta. Il mondo esterno penetrò in lui. Solo quella forma tubolare che, separata dal suo essere, si stava trasformando in vegetale, non gli apparteneva. Non aveva più la forza di opporsi agli eventi.

Povero Komon: oltre ad essere un vegetale subisce l'affronto di essere pubblicamente esposto in un giardino governativo sotto gli occhi di un pubblico meravigliato. Quindi la fuga da un contesto sociale si risolve in una sottomissione perpetua, garantita peraltro dalle autorità governative. Le stesse a cui non si vuole appartenere.

Trasformandosi in pianta si fugge l'infelicità, ma al contempo anche la felicità. Si viene puniti in cambio della liberazione dal peccato.



1950: Il bozzolo rosso (2)

Con tutte queste case allineate nella città, perché mai non ce n'è neppure una per me?

Un uomo gira per la città in cerca di una casa che non ha mai avuto (condizione ferina dell'individuo?) e alla fine finisce col trasformarsi in un bozzolo rosso.

Metamorfosi utilitaristica: l'impossibilità di optare per soluzioni diverse, perché soluzioni diverse non esistono. L'ultima spiaggia. Ma disperato tentativo e trasformazione di un uomo del XX secolo in un uomo del paleolitico, chiuso in un antro buio per paura del mondo e del vuoto.

Ma cos'è una casa per l'uomo che la cerca? Il viatico per una definizione sociale e politica dell'essere individuo o il mezzo attraverso il quale le tendenze asociali comuni trovano sollievo?



1954: L'invenzione di R62 (3)

L'amore di Abe per la fantascienza. Un uomo disoccupato e ormai preda della disperazione viene avvicinato da uno studente che per sopravvivere recluta aspiranti suicidi (doppio tema ricorrente: suicidio e inutilità dei lavori giovanili. Il suicidio ha da sempre caratterizzato la vita degli intellettuali giapponesi. Osamu Dazai si uccide nel 1948, Yasunari Kawabata, premio Nobel per la letteratura nel 1968, muore suicida nel 1972, Yukio Mishima si toglie la vita nel 1970 con l'antico cerimoniale dei samurai; studenti protagonisti di lavori squallidi ed inutili ci sono nei due brevi capolavori dell'altro premio Nobel Kenzaburo Oe. In Uno strano lavoro un ragazzo è costretto ad uccidere centocinquanta cani e ne L'orgoglio dei morti un disoccupato è addetto alla schedatura di cadaveri, per rendersi conto, alla fine, di aver svolto un compito inutile che non verrà nemmeno pagato).

All'uomo viene offerta una caparra di 1000 yen ed un numero di riconoscimento: R62.

Al contatto con la banconota di 1000 yen, lui si sentì subito più al sicuro: era un misero pezzo dicarta, ma divorato dalla fame com'era, assunse ai suoi occhi il valore di un incrociatore inaffondabile. Forse sono venuto apposta fino al canale per salirci. Lo scopo del suicidio non è la morte in fondo, ma la fuga, e forse ho trovato la rotta...

Viene portato in laboratorio e qui subisce un intervento per l'asportazione della membrana dell'encefalo e l'introduzione nel cervello di una ricetrasmittente. Per uno strano scherzo del destino R62 sarà assunto dalla stessa fabbrica che lo aveva licenziato. E quando, davanti al suo vecchio datore di lavoro e ad un pubblico intervenuto per vedere le meraviglie della tecnica, dovrà dimostrare di saper controllare una macchina altamente innovativa, non potrà fare nulla contro la ribellione della stessa che ucciderà, facendolo a pezzi, chi l'aveva progettata. Di fronte ad un epilogo simile a R62 non rimane che esplodere in una fragorosa risata.

Racconto ironico e profondamente politico, che mette in guardia contro una eccessiva disumanizzazione e tecnologizzazione del prossimo. (Quale deve essere il ruolo dell'uomo in questo ingranaggio dunque? Diventare un buon servo delle macchine. Ford, il re delle automobili, lo ha dimostrato inventando la catena di montaggio). Ma con un barlume di speranza: la risata finale del protagonista più che traccia di un'umanità flebile in un corpo-macchina è forse la riabilitazione dell'umanità in un corpo non umano.



1955: Il bastone (2)

Un uomo cade da una balaustra sotto gli occhi dei propri figli e si trasforma in un bastone. Il bastone viene minuziosamente esaminato e valutato da due studenti ed da un professore che, ad un'attenta analisi, decidono prima di punirlo e poi di abbandonarlo nello stesso punto in cui l'hanno trovato.

Bisogna senz'altro punirlo, poiché la nostra ragione d'essere si basa proprio sul fatto di punire le persone morte. Dal momento che noi esistiamo, non possimo fare a meno di punire.

Ritorna il tema della morte per solitudine. L'uomo solo, in quanto solo, è un uomo già morto. E la sua condizione giustifica la richiesta di 'giustizia' di chi si sente forte tra i vivi o vivo tra i forti.



1956: L'appendice (3)

Ad un giovane di nome K., con famiglia da mantenere, viene trapiantata nel ventre un'appendice di pecora. E' alimentato, secondo una tabella prestabilita, con paglia speciale.

L'esperimento è destinato a durare poco. K. non resiste alla dieta imposta e comincia a star male. Gli scienziati che hanno effettuato l'innesto sono costretti a togliere l'appendice di pecora che nel frattempo è diventata inutilizzabile.

K. riacquista la salute ma perde la possibilità di sopravvivere economicamente.

Con i racconti di Abe si potrebbe riscrivere la storia delle classi sociali giapponesi meno abbienti (solo quello? Oppure l'ossessione per i trapianti e gli innesti nasconde la poca fiducia per pratiche cosidette scientifiche – vivisezione e genetica – prodrome di una deriva medica incontrollata?). Sotto il falso scopo di rendere un servizio all'umanità (K. potrebbe essere davvero 'l'uomo del futuro': costi per la sopravvivenza vicino allo zero!) il tentativo dell'uomo è soltanto quello di sfuggire ad una condizione di indigenza e sottomissione che è anche psicologica (una spina nel fianco: suo figlio gli chiede sempre che tipo di lavoro svolge perché il maestro di scuola ne fa una questione di principio).

Non siamo molto lontani dai pensieri di suicidio di R62, ma se in quest'ultimo la dignità è parzialmente recuperata dalla risata finale, in K. si spegne nella completa assoggettazione alla fame.



1957: L'uovo di piombo. (1)

In un enorme ammasso di piombo dalla forma ovale (antesignano de L'uomo-scatola?) viene rinvenuto, in un anno che si considera attorno all'800.000 (omaggio a H.G.Wells?), un uomo del 1987 che, ibernato per poter tramandare ai posteri la storia dei suoi contemporanei, avrebbe dovuto svegliarsi cento anni dopo, nel 2087.

Il mondo che si trova davanti è ovviamente molto cambiato, dominato da creature che sono essenzialmente vegetali (nuove dendrocacalie?), che non mangiano perché è reato, ma si alimentano con un sistema che li mette direttamente a contatto coi sali minerali di cui hanno bisogno.

In seguito l'evoluzione è stata molto rapida e oggi abbiamo perfino radici che ci consentono di assimilare acqua ed elementi nutritivi – concluse Keri ostentando le frange penzolanti sotto le anche. Chi non ebbe il coraggio, o le possibilità finanziarie, di sottoporsi all'operazione oppure gli essere inferiori a cui non era stata neppure presentata la possibilità uniti ai tanti che non apparivano idonei all'intervento, tutta questa gente morì in poco tempo azzuffandosi per qualche briciola.

In questa atmosfera 'ecologica' e apparentemente serena c'è spazio per il desiderio di fuga che coincide in modo spasmodico col desiderio della morte: adesso però noi tutti non ne possiamo più di vivere. La nostra più alta aspirazione è la morte.

Aspirazione che sembra contrastare nettamente coi desideri e i sogni di gran parte dell'umanità e l'utopia su cui aveva tanto fantasticato il genere umano consiste semplicemente nell'ozio, la pigrizia e la tranquillità (ancora un omaggio a Wells).



Fughe nel corso del tempo.



Fughe che diventano metaforiche prigioni, l'esterno che d'improvviso diventa 'inner space' (spazio interiore come direbbe il buon Ballard; spazio interiore desolato, aggiungiamo noi); pessimismo esistenziale e paura di un mondo in via di dissoluzione, crollo delle ideologie positive (crollo in Abe dell'ideologia comunista).



1962: La donna di sabbia. (4)

Universalmente il romanzo di Abe più conosciuto, da cui il regista Hiro Teshigahara trasse un film in bianco e nero di rara intensità, premio della giuria a Cannes nel 1963.

Il professor Niki Junpei, entomologo dilettante, raggiunge un villaggio di pescatori nella speranza di identificare un nuovo esemplare di insetto a cui dare il proprio nome. Viene fatto prigioniero dagli abitanti del luogo e costretto a vivere accanto ad una donna da poco vedova. Ma il vero incubo per Junpei non è la costrizione fisica, ma l'acquisita consapevolezza di vivere in un mondo minacciato dalla sabbia: il paese è terrorizzato dal pericolo di essere inghiottito dalle dune. Per fermare la minaccia, le famiglie scavano fosse profonde dove vivono in perenne schiavitù, nel tentativo di allontanare il rischio di morire soffocati.

Esiste una netta differenza tra la sabbia e l'acqua, anche se entrambe scorrono. Nell'acqua si può notare mentre la sabbia imprigiona le persone e le uccide sotto il suo peso.

Evidente allegoria: il mondo di sabbia è il deserto di umanità che ci circonda, che ci avvolge, che ci domina (in Terra bruciata Ballard mostra forse una via di scampo: il gruppo di persone che s'incammina alla ricerca di un oceano in un mondo ormai arso e senza più acqua, lascia paradossalmente dietro di sé un deserto sempre più esteso alle spalle).

Come può essere possibile la fuga da un ambiente che sembra accompagnare i nostri passi che non riescono ad avere un appoggio stabile, che quando cercano un appiglio trovano l'inconsistenza di una montagna di sabbia luccicante che sommerge lentamente?

Junpei, dopo aver tentato tutte le carte, persino un rapporto di disperato e violento erotismo con la donna, accetterà fatalmente la sua condizione di uomo solo nel deserto. Quando finalmente gli si presenterà l'occasione di fuggire (una scala incustodita dentro la sua casa-fossa) rinuncerà alla salvezza, perché sa che oltre il muro di sabbia c'è un muro di un'umanità incomprensibile.

Chi poteva ascoltarlo adesso? Nessun altro, se non qualcuno del villaggio. Se non oggi, domani, probabilmente l'uomo avrebbe raccontato a qualcuno dell'impianto.

In quanto al modo di fuggire, avrebbe fatto in tempo a pensarci anche il giorno dopo.




1973: L'uomo-scatola. (5)

Istruzioni per la fabbricazione della scatola.

Una scatola di cartone vuota.

Un foglio di plastica (semitrasparente) di 50 cm.

Circa 2 metri di filo metallico.

Circa 8 metri di nastro adesivo (impermeabile).

Un'arma da taglio corta (come utensile).

(per quanto riguarda inoltre l'abbigliamento più adatto a uscire per strada, preparare tre stracci vecchi usati e un paio di stivali di gomma da lavoro
).

Tentativo di fuga sopraffino. Un uomo si infila in una scatola di cartone e se ne va in giro per la città spiando il mondo. E' la ricerca di una nuova dimensione? (Libertà? Solitudine? Sicurezza?) o in realtà un ulteriore 'dolce naufragar' su di un'isola deserta?

Si tenta la carta dell'illusione: Chiunque preferisce guardare che essere guardato, anche il fatto che strumenti d'osservazione come la televisione o la radio si vendano di continuo è un'ottima prova che il novanta per cento del genere umano sta prendendo coscienza della propria bruttezza (e pensare che Kobo non ha mai conosciuto i satelliti spia e Berlusconi!).

Ma l'illusione, come accade spesso, è schiacciata dalla 'bruttura' della realtà: l'uomo-scatola osserva certo, smaschera finzioni, è coinvolto persino in intrighi pericolosi, ma l'unica certezza a cui arriva è la perdita di ogni identità, la quasi convinzione di non esistere se non per la soddisfazione materialmente violenta degli altri (ricordate la lezione esistenziale de Il bastone?).

Dovrebbe essere evidente che i soldati nemici, il condannato a morte, e anche l'uomo scatola, sono esseri di cui, già in partenza, la legge non riconosce neppure l'esistenza.

L'uomo scatola è la ridefinizione letteraria del vagabondo, di colui che rinuncia al mondo per vivere un'esistenza al limite della sopravvivenza (i milioni di Doya-Gay sparsi per la terra, a pochi centimetri da noi, ma sideralmente lontani); è la ridefinizione letteraria della solitudine più straziante, dove nemmeno guardare senza essere guardato può essere di sollievo. L'uomo scatola è la ridefinizione del mito dell'uomo invisibile (e quindi la certezza di quanto H.G.Wells abbia influenzato Kobo Abe).

A questo punto vorrei che provaste un po' a pensare. Chi è che non è un uomo-scatola? Chi è che non è riuscito a diventarlo, un uomo-scatola?



1977: L'incontro segreto (6)



Un'ospedale, allegoria del mondo, è il centro dove si svolge la vicenda. Vicenda paradossale e surreale (non fu Abe uno degli artefici mondiali del teatro dell'assurdo?) in cui un uomo è 'costretto' a passare cinque giorni della sua esistenza in un ospedale enorme (ramificazioni che sembrano occupare l'intero spazio, dove è possibile fuggire, ma quando l'esterno sembra davvero essere altro ci si accorge che si è sempre dentro la struttura) alla ricerca disperata della moglie che è stata prelevata da casa e portata di corsa in una clinica perché 'forse' malata.

Dice il protagonista:

Sembra che vogliono dirmi che se davvero ho intenzione di ritrovare mia moglie, devo prima ritrovare me stesso. Ma ciò che cerco non ha nulla di così complicato, è un semplice luogo, il luogo in cui si trova mia moglie. Cercare me stesso, che assurdità. Sarebbe come un ladro che ruba il portafogli a sé stesso, oppure come un poliziotto che si ammanetta da solo. No grazie, non sono disperato a tal punto.

Ma la disperazione del protagonista cresce di ora in ora perché la ricerca della moglie assomiglia sempre di più ad un resoconto con la propria coscienza. Forse più che in qualsiasi altro romanzo di Abe, questo racchiude in sé, come si diceva all'inizio, la tradizione dell'autobiografismo (lo shishosetzu) con l'elemento caratteristico dello scrittore giapponese, il crescente senso di smarrimento nei confronti del mondo attraverso una materia surreale e quasi apocalittica.





1984: L'Arca Ciliegio (7)



Di nuovo un rifugio (bozzolo... fosso di sabbia... scatola), ma questa volta per salvarsi da una più che probabile guerra nucleare. L'Arca Ciliegio è un rifugio antiatomico posto in fondo ad una cava abbandonata. E i 'compagni d'avventura' del narratore-costruttore, un venditore ambulante d'insetti immaginari (forse Junpei de La donna di sabbia non andava alla ricerca d'insetti a cui dare un nome? E come l'arte di Abe avrebbe chiamato Gregor Samsa dopo la trasformazione dell'uomo in scarafaggio?) e una coppia di comparse, sembrano dividere con lui le stesse angosce.

Secondo uno psicologo tedesco, questa sarebbe l'era della simulazione. Per cui si produce una confusione tra realtà e simboli. Una sorta di claustrofobia, di fascino delle case matte, di aggressività, di attrazione per i carri armati. Che lei comprenda o no, è scritto sui giornali.

Il rifugio antiatomico è la miniaturizzazione di una società basata su regole dettate, su comportamenti non devianti, su un'organizzazione data. E' su queste considerazioni che il senso di angoscia si fa più cupo, perché non sembra esserci possibilità di fuga (se non dal pericolo ipotetico di una guerra nucleare) da un mondo prestabilito.

- Organizzare un gruppo non è un'attività che mi si addice.

- Gruppo? Siamo soltanto quattro.

- Conosce le tre condizioni essenziali per il funzionamento di un rifugio antiatomico? Anzitutto l'eliminazione degli escrementi, poi la regolazione dell'aria e della temperatura. E, infine, l'organizzazione del gruppo.


Una volta dentro l'Arca, nemmeno una falsa esplosione nucleare (in realtà uno scoppio di dinamite) riesce a riportare la piena tranquillità: non vi è la presa di coscienza di essere non solo vivi tra i vivi, ma psicologicamente integri come gruppo. E non consola il pensiero che invece fuori, al di là del rifugio, una tragica quotidianità e la paura ossessiva di una trasparenza del genere umano la fanno da padrone.

Ho intenzione di scattarmi una foto sullo sfondo della città: fisso l'obiettivo angolare di ventiquattro millimetri. Ma è troppo trasparente. Non solo la luce, persino gli uomini sembrano trasparenti. Attraverso gli uomini trasparenti siscorge una città ugualmente trasparente. Possibile che anch'io sia trasparente? Mi allargo le mani davanti al volto. Tra le dita scorgo la città. Mi volto: la città è sempre trasparente- L'intera città è vivamente morta. Cesso di pensare a chi possa essere vissuto e a chi vive.





(*)Avvertenza: per i nomi di persona non si è seguito l'uso giapponese secondo il quale il cognome precede sempre il nome, ma l'uso occidentale.

(1) Il gesso magico e L'uovo di piombo sono contenuti in Racconti dal Giappone (vol.2) – Oscar Mondadori – 1992

(2) Il bozzolo rosso e Il bastone sono contenuti in Novelle e saggi giapponesi - Istituto giappone di cultura – Roma – 1985

(3) Dendrocacalia, L'invenzione e L'appendice sono contenuti in Tre metamorfosi – Marsilio – 1996

(4) La donna di sabbia - Guanda editore – 1990

(5) L'uomo-scatola – Einaudi – 1992

(6) L'incontro segreto – Manni - 2005

(7) L'Arca Ciliegio – Spirali - 1989







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