ATTUALITA'
Alfredo Ronci
Micro e macro letteratura. L'ego da una parte, la visione del mondo dall'altra.
Domenica 19 ottobre, all'interno dell'inserto dei libri de Il sole 24 ore, nella rubrica 'Vespe' (tra l'altro spazio sfiziosetto anziché no, ma di cui si continua ad ignorare l'estensore. Ho provato una volta a tentare d'identificarlo, pensando che fosse Sergio Claudio Perroni, ma lo scrittore più antipatico del globo terrestre ed acqueo, secco rispose di no) ho trovato una boutade che andrebbe ripresa e commentata a dovere. L'essenza della questio? Si parte da una citazione di Renato Barilli su 'Tuttolibri' della Stampa che si lancia in una spericolata iperbole.
Riportiamo per correttezza l'intero passo: Francesco Piccolo appartiene al magnifico squadrone di talenti narrativi sorti in Italia nel corso degli anni 90, peccato che tanta parte della nostra critica non se ne voglia accorgere.
Ora, l'estensore di 'Vespe' oltre a contestare al Barilli l'uso dell'espressione 'magnifico squadrone' (ha esagerato coi riferimenti alle squadracce degli anni venti, suvvia... non mi pare il caso), chiede al critico di fare nomi e cognomi, con l'intento 'ironico' di segnalarli poi al Ministero degli Interni.
Come si diceva prima la boutade andrebbe commentata, perché si segnala successivamente un passo, e qui sono dolori, de La separazione del maschio (Einaudi) del Francesco Piccolo di cui sopra.
Riportiamo il brano citato: La separazione del maschio muove inalberando un fatterello in apparenza del tutto banale, si tratta della mania ormai radicata in ogni barista di imporre una spruzzatina di cacao al cappuccino, senza più stare a chiedere al cliente se voglia o no. Da qui le fiere proteste del nostro autore, che peraltro deve ammettere che la vita intera è fatta di questi inciampi.
L'estensore di 'Vespe' chiude dicendo che giammai si deve considerare questo un fatterello marginale, anzi, ci sarebbe materia per un'interrogazione parlamentare o una denuncia alle Associazioni dei consumatori.
La chiosa al testo, al di là delle facezie, pone l'accento invece, a parer nostro, su un elemento fondamentale della letteratura dei nostri tempi. Elemento che il professor Romano Luperini ha sapientemente annotato in un articolo sul suo blog (http://luperini.palumboeditore.it:8080/luperini_site/blog/archive/2008/09/25/come-si-scrive-oggi).
Cosa dice esattamente Luperini? (Riporto di nuovo il passo così com'è scritto): Oggi i nostri romanzieri scrivono (quasi tutti) come si parla al bar (E considerando l'esempio indicato dalla rubrica 'Vespe' mi sembra che cada a cecio... Ndt). Non c'è più nessuna ricerca letteraria specifica; rarissimi sono i casi di un'attenzione alla lingua. Il rigore dello stile non interessa più a nessuno. D'altronde nessuno scrive più "per il capolavoro"; tutti (o quasi) scrivono solo per vendere. A ciò si accompagna la messa fra parentesi del mondo. Mentre la letteratura americana e quella dei paesi emergenti ci mostrano una realtà densa di contraddizioni materiali, di conflitti sociali ed interetnici, di contrasti fra le generazioni, in Italia esiste solo l'ego. Il privato domina incontrastato. Nei romanzi che vanno per la maggiore (seppure per un mese o due), che vincono i maggiori premi nazionali e di cui parlano la stampa quotidiana e la televisione, non esiste neppure la società, che si restringe tutt'al più alla famiglia mononucleare, ai fratelli e a esangui figure genitoriali.
Il professor Luperini non avrebbe potuto esprimere meglio di così le titubanze, le remore, i dubbi che da un po' di tempo a questa parte attanagliano gli Orchi, soprattutto in considerazione del lavoro di certosina perizia con il quale scandagliano l'universo letterario indigeno.
Ci sembra davvero che il mondo 'nostrano', vai a sapere perché, si limiti ad una visione restrittiva della realtà. Il povero Totò, negli ultimi anni della sua esistenza, soffriva di una grave malattia agli occhi che gli impediva di avere una visione completa dell'orizzonte: ci sembra, con le debite differenze, che i nostri autori soffrano dello stesso difetto, che non è, e continuiamo con la metafora, né miopia o forte astigmatismo, ma un vero e proprio velo che offusca il quadro percettivo delle cose.
Non vorremo essere presuntuosi, ma difetti di questo genere, oltre una zoppicante struttura psicologica, li abbiamo già segnalati per il libro ormai milionario di Paolo Giordano: La solitudine dei numeri primi che ha rappresentato uno dei punti più bassi del premio Strega.
Romano Luperini invece, non contento di questa sorta di lucida contestazione, ha voluto mettere nero su bianco le sue lamentele, scrivendo un romanzetto (nel senso delle poche pagine, ma forse sarebbe meglio il caso di definirlo racconto) che riteniamo una delle cose più belle e riuscite di questo 2008 ormai agli sgoccioli.
L'età estrema (1), questo il titolo, è un commovente e sincero ritratto di sé e del mondo circostante che si dispiega attraverso le malinconiche riflessioni di un professore settantenne in viaggio in USA in occasione del decennale del crollo delle torri gemelle.
Da una parte abbiamo le considerazioni dell'uomo e dell'età estrema (la vecchiaia) che sono spesso impietose e drammatiche: La vecchiaia è quest'appendice in fondo al ventre. Un involto nei pantaloni, un ingombro rattrappito sul legno della panchina (pag. 11). Questo cazzo che non è capace più nemmeno di pisciare (Pag. 25) Ecco la pancia, tonda, è una protuberanza grossa, grossolana, grottesca, sta lì nel centro del corpo e mi gonfia, mi sforma i fianchi se mi metto di profilo, mi deforma. E poi, se abbasso la testa sul mento, chiazze vizze di pelle e di carne sgualcita che si allargano sotto, che ricascano sul collo...(Pag. 48) (Ricorda molto in questo le sofferte e deprimenti autoanalisi che Walter Siti fa spesso nei suoi romanzi, col suo corpo 'devastato' dal passare del tempo in contrapposizione al 'fasto' muscolare delle sue ossessioni culturistiche). Dall'altra però il racconto esprime le contraddittorietà della società attuale e l'esasperazioni delle paure: ad un certo punto della storia, il protagonista si ritrova solo in un albergo abbandonato da tutta la clientela per le notizie di una nube tossica, fuoriuscita dopo un attentato terroristico, che ha invaso la zona: Sono un professore di settant'anni con una ciabatta in mano seduto su un letto, in una città americana abbandonata dagli abitanti. (Pag. 76/77).
L'ossessione 'delilliana' del professore diventa una sorta di misura del tempo attuale, e diventa anche un rendiconto finale: non bastano le annotazioni personali o addirittura il valore della parola per poter scampare ad un declino del presente: Se può caderti sulla testa una bomba, è difficile pensare che il mondo è solo linguaggio, che non esistono fatti ma soltanto interpretazioni. (Pag. 92).
L'età estrema è un libro bello e perfetto nella sua brevità: un pugno in faccia alla quieta e spesso involontariamente faceta letteratura dell'introspezione.
In un vecchio film Nanni Moretti se la prendeva con la cinematografia degli sfigati di mezza età dichiarandosi un magnifico quarantenne. Luperini che ne ha quasi settanta di anni dimostra che la sua consapevolezza del mondo è più attuale e contemporanea di molta gioventù distratta. E il suo libro ne è una testimonianza vivida e commovente.
(1)Romano Luperini - L'età estrema – Sellerio - 2008
Riportiamo per correttezza l'intero passo: Francesco Piccolo appartiene al magnifico squadrone di talenti narrativi sorti in Italia nel corso degli anni 90, peccato che tanta parte della nostra critica non se ne voglia accorgere.
Ora, l'estensore di 'Vespe' oltre a contestare al Barilli l'uso dell'espressione 'magnifico squadrone' (ha esagerato coi riferimenti alle squadracce degli anni venti, suvvia... non mi pare il caso), chiede al critico di fare nomi e cognomi, con l'intento 'ironico' di segnalarli poi al Ministero degli Interni.
Come si diceva prima la boutade andrebbe commentata, perché si segnala successivamente un passo, e qui sono dolori, de La separazione del maschio (Einaudi) del Francesco Piccolo di cui sopra.
Riportiamo il brano citato: La separazione del maschio muove inalberando un fatterello in apparenza del tutto banale, si tratta della mania ormai radicata in ogni barista di imporre una spruzzatina di cacao al cappuccino, senza più stare a chiedere al cliente se voglia o no. Da qui le fiere proteste del nostro autore, che peraltro deve ammettere che la vita intera è fatta di questi inciampi.
L'estensore di 'Vespe' chiude dicendo che giammai si deve considerare questo un fatterello marginale, anzi, ci sarebbe materia per un'interrogazione parlamentare o una denuncia alle Associazioni dei consumatori.
La chiosa al testo, al di là delle facezie, pone l'accento invece, a parer nostro, su un elemento fondamentale della letteratura dei nostri tempi. Elemento che il professor Romano Luperini ha sapientemente annotato in un articolo sul suo blog (http://luperini.palumboeditore.it:8080/luperini_site/blog/archive/2008/09/25/come-si-scrive-oggi).
Cosa dice esattamente Luperini? (Riporto di nuovo il passo così com'è scritto): Oggi i nostri romanzieri scrivono (quasi tutti) come si parla al bar (E considerando l'esempio indicato dalla rubrica 'Vespe' mi sembra che cada a cecio... Ndt). Non c'è più nessuna ricerca letteraria specifica; rarissimi sono i casi di un'attenzione alla lingua. Il rigore dello stile non interessa più a nessuno. D'altronde nessuno scrive più "per il capolavoro"; tutti (o quasi) scrivono solo per vendere. A ciò si accompagna la messa fra parentesi del mondo. Mentre la letteratura americana e quella dei paesi emergenti ci mostrano una realtà densa di contraddizioni materiali, di conflitti sociali ed interetnici, di contrasti fra le generazioni, in Italia esiste solo l'ego. Il privato domina incontrastato. Nei romanzi che vanno per la maggiore (seppure per un mese o due), che vincono i maggiori premi nazionali e di cui parlano la stampa quotidiana e la televisione, non esiste neppure la società, che si restringe tutt'al più alla famiglia mononucleare, ai fratelli e a esangui figure genitoriali.
Il professor Luperini non avrebbe potuto esprimere meglio di così le titubanze, le remore, i dubbi che da un po' di tempo a questa parte attanagliano gli Orchi, soprattutto in considerazione del lavoro di certosina perizia con il quale scandagliano l'universo letterario indigeno.
Ci sembra davvero che il mondo 'nostrano', vai a sapere perché, si limiti ad una visione restrittiva della realtà. Il povero Totò, negli ultimi anni della sua esistenza, soffriva di una grave malattia agli occhi che gli impediva di avere una visione completa dell'orizzonte: ci sembra, con le debite differenze, che i nostri autori soffrano dello stesso difetto, che non è, e continuiamo con la metafora, né miopia o forte astigmatismo, ma un vero e proprio velo che offusca il quadro percettivo delle cose.
Non vorremo essere presuntuosi, ma difetti di questo genere, oltre una zoppicante struttura psicologica, li abbiamo già segnalati per il libro ormai milionario di Paolo Giordano: La solitudine dei numeri primi che ha rappresentato uno dei punti più bassi del premio Strega.
Romano Luperini invece, non contento di questa sorta di lucida contestazione, ha voluto mettere nero su bianco le sue lamentele, scrivendo un romanzetto (nel senso delle poche pagine, ma forse sarebbe meglio il caso di definirlo racconto) che riteniamo una delle cose più belle e riuscite di questo 2008 ormai agli sgoccioli.
L'età estrema (1), questo il titolo, è un commovente e sincero ritratto di sé e del mondo circostante che si dispiega attraverso le malinconiche riflessioni di un professore settantenne in viaggio in USA in occasione del decennale del crollo delle torri gemelle.
Da una parte abbiamo le considerazioni dell'uomo e dell'età estrema (la vecchiaia) che sono spesso impietose e drammatiche: La vecchiaia è quest'appendice in fondo al ventre. Un involto nei pantaloni, un ingombro rattrappito sul legno della panchina (pag. 11). Questo cazzo che non è capace più nemmeno di pisciare (Pag. 25) Ecco la pancia, tonda, è una protuberanza grossa, grossolana, grottesca, sta lì nel centro del corpo e mi gonfia, mi sforma i fianchi se mi metto di profilo, mi deforma. E poi, se abbasso la testa sul mento, chiazze vizze di pelle e di carne sgualcita che si allargano sotto, che ricascano sul collo...(Pag. 48) (Ricorda molto in questo le sofferte e deprimenti autoanalisi che Walter Siti fa spesso nei suoi romanzi, col suo corpo 'devastato' dal passare del tempo in contrapposizione al 'fasto' muscolare delle sue ossessioni culturistiche). Dall'altra però il racconto esprime le contraddittorietà della società attuale e l'esasperazioni delle paure: ad un certo punto della storia, il protagonista si ritrova solo in un albergo abbandonato da tutta la clientela per le notizie di una nube tossica, fuoriuscita dopo un attentato terroristico, che ha invaso la zona: Sono un professore di settant'anni con una ciabatta in mano seduto su un letto, in una città americana abbandonata dagli abitanti. (Pag. 76/77).
L'ossessione 'delilliana' del professore diventa una sorta di misura del tempo attuale, e diventa anche un rendiconto finale: non bastano le annotazioni personali o addirittura il valore della parola per poter scampare ad un declino del presente: Se può caderti sulla testa una bomba, è difficile pensare che il mondo è solo linguaggio, che non esistono fatti ma soltanto interpretazioni. (Pag. 92).
L'età estrema è un libro bello e perfetto nella sua brevità: un pugno in faccia alla quieta e spesso involontariamente faceta letteratura dell'introspezione.
In un vecchio film Nanni Moretti se la prendeva con la cinematografia degli sfigati di mezza età dichiarandosi un magnifico quarantenne. Luperini che ne ha quasi settanta di anni dimostra che la sua consapevolezza del mondo è più attuale e contemporanea di molta gioventù distratta. E il suo libro ne è una testimonianza vivida e commovente.
(1)Romano Luperini - L'età estrema – Sellerio - 2008
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