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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Stefano Torossi

Microcosmi

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Via del Babuino 9 a Roma. Quasi tutti sappiamo che fino a qualche anno fa a quell'indirizzo c'era la sede della Rai. Bene, adesso lì c'è un lussuoso albergo che si chiama Hotel de Russie, e al pianterreno di questo lussuoso albergo c'è un lussuoso bar che si chiama Bar Stravinskij, e in questo lussuoso bar abbiamo fatto ingresso verso le sette e trenta del tardo pomeriggio di martedì 10 gennaio. Uscendo dalla vita reale ed entrando nel microcosmo.

Stravinskij c'entra solo per il nome, e non parleremo di musica se non per lamentarci di quella che ci ha tormentato per tutta l'ora e mezzo che siamo rimasti a bere il nostro Negroni, ottimo; stuz-zichini altrettanto buoni, servizio impeccabile. Il tormento non sta nella qualità, perché il pianista è bravo e la scelta del repertorio appropriata, standard americani anni cinquanta-sessanta. E neanche nel volume, ragionevole e costante, senza picchi. No, l'irritazione ce l'ha fatta venire la implacabile continuità dell'esecuzione. Senza tregua è andata avanti per novanta minuti di scalette, arpeggi e pi-ripiri, sempre con la stessa intensità, la stessa intenzione, la stessa, scarsa, partecipazione. Abbiamo avuto brutti pensieri verso il collega alla tastiera, ma evidentemente così dev'essere il pianobar di lusso.

L'ambiente è popolato da solitari scorbutici che bevono e leggono il giornale (tipo club inglese), da cocorite in shopping (tipo sala da tè), da ricchi russi (che cercano l'anima gemella), e altra varia umanità. Sedute accanto a noi, come il pianista anche loro parte della forza di intrattenimento, due escort di una certa pretesa: minigonne, calze fantasia, tacchi da dodici, cellulare in chiamata continua, ovvio accento dell'est. Fra loro, racconti di incontri professionali, alcuni camuffati da sto-rie di cuore. Storie sfortunate in cui i principi azzurri erano troppo sciocchi per apprezzarle, oppure troppo burini, anche se ricchi, per meritarle. Con minidefilè molto casual fra i tavoli per mostrarsi i capi appena acquistati e forse adocchiare qualche cliente, o lamentarsi della ciccia superflua (si sa che nei limiti di qualunque taglia qualunque signora si sente sempre troppo grassa). Questi i risultati, tempo fa, di un'inchiesta fra donne. La domanda era "Cosa desideri di più dalla vita?" La risposta: Il principe azzurro? I soldi? Una bella famiglia? Macché. Per quasi tutte è stata: "Essere più magra".

Pagati i diciannove (meritati) euro del drink, siamo usciti nel mondo.



Da questo ambiente profano, ci trasferiamo in un altro microcosmo, decisamente diverso. La durata dello spettacolo è più o meno la stessa: un'ora e mezza. Stavolta niente Negroni, in compenso ottima musica. Ecco di che si tratta: tutte le domeniche, nella chiesa della Trinità dei Pellegrini, alle dieci e mezza va in scena la messa cantata secondo il Rito Romano Antico. Domenica 15 noi c'eravamo.

E' una cerimonia molto formale, un teatrino ferreo che merita una visita. Un continuo, preciso inchinarsi degli officianti gli uni verso gli altri e verso l'altare, alzarsi, sedersi, togliersi e mettersi la berretta, quella a spicchi dei vecchi curati. Gran movimento di turiboli, fumi d'incenso, spruzzi di acqua benedetta, baci al messale, chierichetti che scampanellano e sgambettano di qua e di là. Can-dele vere, e non quelle elettriche col filamento tremolante. Insomma, laicamente potremmo definire lo spettacolo una pantomima con interventi parlati e cantati. Sempre in latino.

Messa in scena benissimo, nulla è lasciato all'improvvisazione. Con grande partecipazione del pubblico. E, come abbiamo detto, con musica bella. Qualche colore di organo, ma soprattutto un ot-timo coro di voci maschili e bianche che, con un repertorio collaudato dai secoli (niente canzoncine), riempie di suggestione lo spazio sacro. Crediamo che sia una delle poche chiese a Roma in cui si celebra la messa in modo così tradizionale. Che a noi piace, perché con il suo sapore vecchiotto ricrea anche in questa occasione uno spazio e un tempo diversi. Un microcosmo, appunto.





P.S. C'è un fatto che continua a rimanerci oscuro. Come mai in questa epoca di mezzi di co-municazione che riescono a trasformare tutto in spettacolo, dall'elezione di un re alla cattura del la-titante, come mai, ripetiamo, un'istituzione con duemila anni di esperienza, che non ha quasi mai sbagliato un colpo, ha deciso, proprio adesso che ne avrebbe più bisogno, di rinunciare allo spetta-colo di maggior richiamo fra il suo pubblico: la messa? Beh, per la verità non ci ha rinunciato proprio del tutto, ma la cerimonia è stata accorciata, ingrigita, la musica buona è stata sostituita con quelle tristi canzoncine accompagnate da suore o boy scout con le chitarre, il prete si rivolge al pubblico, invece che a Dio sull'altare, e poi è scomparso il latino, perdendo così la magia della formula miste-riosa in favore della comprensione della parola. Eppure non ci pare che manchino i fans a Sprin-gsteen o a Madonna, anche se sappiamo che tre quarti degli italiani non capiscono niente dei testi inglesi (e neanche di quelli in latino).







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