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Il Paradiso degli Orchi
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Vera Barilla

Milonga Pickwick, due chiacchiere su "Milonga station", neoprogramma trattante libri.

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Posto che, se il barocco ha uno stile monumentale, Barìcco ha uno stìli minimintìli, fra la buonanima di "Pickwick" - indimenticato programma tv del Maestro e della Zucconi ora in Fazio - e questo "Milonga station", (*) ci sono venticinque piccole differenze. Trovatele, e vincerete una settimana a Togliattigrad a spese Vostre.

Nel frattempo, diamo credito al fatto che la somiglianza sia voluta, a mo' di citazione post-moderna e post-telegrafonica: dunque a un eccesso di malizia (e paraculaggine) e non un difetto d'informazione (o di fantasia). Oppure il treno attua una fascinazione perversa sullo "scrittore da notte" (S. Saviane): vero si dà che entrambi gli Autori ci propìnano un contorno di vagoni, binari, semafori, passaggi a livello, scambi (mancano per ora i trenini dell'amore) degni del Paolini di "Album" - ma almeno lui aveva l'alibi del trauma infantile: da piccolo uno zio s'era aperto l'impermiabile davanti a lui, mostrandogli una locomotiva della "Rivarossi". Anche se per Truffaut uno che ha avuto un'infanzia difficile non per questo la deve far pagare a tutti, almeno egl'era comprensibile se non scusabile. Qui invece siamo in pieno abuso, aggravato da futili motivi: la Vinci e Rigosi, vivaci come un sofficino "checrocché" e interessanti come gli annali del partito comunista d'Albania o le Ns. "sinagoghe".

Difatti, il programma funziona solo quando Lucarelli, ormai fisionomato come un Hitchcock de noàntri, entra in scena. La sua cadenza nel parlare, caratteristica quanto la gestualità ad essa collegata - origine della meravigliosa caricatura eseguita da Fabio de Luigi (fiancheggiatori: Aldo Giovanni e Giacomo) in un'edizione di "Mai dire domenica" - rassicura e inquieta. Maurizio Costanzo Sciò dichiarò (**) che fare televisione è come dire messa: occorre una ritualità che renda riconoscibili, e affezioni il telespettatore, per dunque variare fino a darsi un'identità - il principio di tanta musica, in special modo quella del barocco (aridàje!): innovare dentro forme stabilite. Lucarelli in questo è grandioso, bigger than life: ieratico quanto una messa glagolitica, stereotipo come un personaggio del Dick Tracy di Gould, officia le sue trasmissioni calibrando presenza e parola in modo perfetto. Con mezzi infine semplici: come un cavallo dressàto, non sbaglia un passo, non devia mai dal suo ambio - ch'è il "legato" musicale, l'abile condensazione d'un tratto sul precedente, dimodoché si realizzi un continuo in cui l'effetto si prepara senza svelarsi. Questo sa fare benissimo, e non prova altro. I suoi colori sono il nero, il bitume, il blu: ne conosce le sfumature, ne saggia la densità, ne prova e ne fa provare il gusto materico, e ha l'intelligenza di non smaronare - e love me or leave me. Così, pian piano, il televedente (per usare una parola cara al professor Marianini) scambia un romanzone sputtanato (***) come "Il vecchio e il mare" per un caso da polizia scientifica, e aspetta la comparsa dell'anatomopatologo per i rilievi sul marlin, e dello psichiatra per la perizia sul vecchio; ascolta "il disertore" su testo di Boris Vian cantato da un (povero) Cristo alla colonna, e intravede le ombre della cronaca nera, quella bassa, quella reputata ignobile - che si recupera, tuttavia, come storia; assiste allo spezzone di "La parola ai giurati", (****) e pensa che ne uscirà un verdetto sulla banda della Magliana - e però: ricordare i dubbi sulle condanne dei poràcci, quanto di pregiudiziale può esservi, quanto di razzista (vedi Michael Moore), non è una bella ambizione?

Tutto ciò, per definire una parola - in questo debutto, "eroe". Ma comprarsi un Devoto-Oli, no?



(*)Raitre, martedì sera all'ora dei vampiri e delle mezzosoprano (attorno a mezzanotte). Di Carlo Lucarelli, Stefano Cuppi, Gualtiero Peirce, Giampiero Rigosi e Simona Vinci (questi ultimi anche appaiono - in video, non alla Madonna);

(**) nella bella trasmissione "Ieri, oggi e domani" (Rai tre, 1993), celebrativa del quarantennale RAI, e condotta con garbo, intelligenza e spirito da Simona Marchini, Enrico Vaime e Gianni Minà;

(***) cfr. Dwight Macdonald, Masscult e midcult, e/o, Roma 1997, pp. 69-72. Su "mister Papa" si accanisce pure Tommaso Labranca nel suo Chaltron Hescon, Einaudi, Torino 1998, pp. 161-168;

(****)Twelve angry men, film (1957) di Sidney Lumet con Henry Fonda, Lee J. Cobb, Martin Balsam, dal romanzo omonimo di Reginald Rose (Dodici uomini arrabbiati Einaudi). Non sarà male ricordare che in quegli anni i giovani artisti (e non solo) anglosassoni venivano designati con la loc





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