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Stefano Torossi

Miracoli

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In quest'epoca di acceso razionalismo ci meraviglia la manifestazione di un miracolo. Figuriamoci due.

Il primo: l'immagine di Padre Pio. Nella chiesa di S. Salvatore in Lauro, a Roma, il parroco, un intraprendente operatore religioso, ha lanciato dal 13 al 23 settembre l'Operazione Padre Pio, con messe, processioni, esposizione delle reliquie e un evento finale dal nome stranamente ferroviario di "Transito di Padre Pio". Non sappiamo esattamente cosa sia un transito nel linguaggio cattolico (crediamo che sia il passaggio dell'anima dall'involucro corporeo alla libertà dei cieli), ma ci risulta che lo abbiano percorso molti santi, e soprattutto la Madonna. Il miracolo a cui ci riferiamo noi non è naturalmente questo. Troppo facile. E neanche vogliamo parlare del culto che immediatamente si è creato per le sue reliquie. Che sono poi più o meno le stesse per tutti i santi: qualche brandello di tonaca, dei mezzi guanti macchiati, piccoli oggetti quotidiani. In più qualche grumo di sangue sgocciolato dalle stimmate.

In questo caso mancano le vere reliquie anatomiche che un tempo valevano oro; evidentemen-te, dato che il transito risale a pochi anni fa, non è stato possibile sbranare e distribuire il corpo come tranquillamente si faceva in passato. Quando avere in sacristia il femore di un beato, il teschio di una vergine martire o il prepuzio essiccato di Gesù Bambino, conservato dopo la circoncisione (richiestissimo, e rivendicato da una dozzina di chiese, fra cui Santiago di Compostela, Chartres, Calcata...) era sicura garanzia di pellegrini in città, e quindi di business. Più si sparge la voce della santità, più fedeli arrivano. I quali mangiano, dormono e comprano sul posto.

Come dicevamo sopra, per noi il miracolo è un altro. Dall'inizio dell'homo religiosus c'è sempre stato uno stravolgimento e un adeguamento al mito dell'immagine del santo da venerare. Gesù, che era un palestinese povero di duemila anni fa, non poteva che essere come lo ha rappresentato Pasolini nel Vangelo: un piccoletto esile, scuro e peloso. Non certo quel ragazzone biondo, alto e con gli occhi azzurri che è diventato nel corso dei secoli. Come di sicuro la maggior parte dei santi medievali. San Francesco pare che fosse poco più di uno e quaranta, senza denti e butterato dal vaiolo. Non è certo così che ce lo hanno dipinto.

E invece Padre Pio continuano a somministrarcelo com'era in realtà, senza migliorie. Forse non è passato abbastanza tempo, forse le sue foto da vivo sono troppo fresche per essere smentite. Certo è che nulla si è fatto per ingentilire o nobilitare quella sua faccia da contadino astioso, quella barbetta più diabolica che divina, quella bocca atteggiata a disgusto, quello sguardo così poco rassicurante.

E' chiaro che la fede, per sua stessa definizione, supera il ragionamento e l'estetica, ma, proprio perché è una manifestazione irrazionale, di solito si basa su premesse fantasiose. In questo caso no, e ci stupisce. Cioè, il miracolo lo vediamo nel fatto che pur non sussistendo le premesse fanta-siose (una bella leggenda, una faccia buona) la fede è spuntata lo stesso e i fans di Padre Pio aumentano vertiginosamente ogni giorno.



Secondo miracolo. Qualcuno è finalmente riuscito a prendere il posto di Allevi nel nostro cuore tossico. Ci dispiace un po' che non possa leggerci direttamente. Si tratta di Bocelli. Ci si è rivelato nell'ultimo concerto al Central Park come miracolo di prima grandezza. Intanto, stando alle crona-che, la pioggia che cadeva fitta si è prodigiosamente fermata appena lui ha attaccato l'Ave Maria (Bocelli santo subito?). Invece a noi si è fermato il respiro quando abbiamo sentito la sua esecuzione di "New York New York" in coppia con Tony Bennett.

E' un brano semplice, azzeccato, molto americano, che tutti abbiamo ascoltato in mille versioni, la più magica quella di Frank Sinatra, e il cui ingrediente fondamentale è lo swing. Quest'ultimo, nell'interpretazione di Bocelli, del tutto assente. Ma tanto da far male allo stomaco. Lo swing è dif-ficile da definire, però è una di quelle cose che quando manca duole. Dicono i manuali: "Swing: termine americano che letteralmente significa altalena. Lo swing è il gioco, molto personale, di accentuare gli anticipi e i ritardi, che non può in nessun modo essere messo su carta, ma solo suonato o cantato"

Una piattezza, una fatica, un trombone a passeggio. Il tipico tenore da burletta, stupido e tronfio. Uguale a Pavarotti quando cantava il pop con Zucchero, solo che almeno Pavarotti aveva una meravigliosa voce operistica che Bocelli non ha. Quelle pseudo romanze kitsch, che vorremmo tanto aver composto noi (per i diritti d'autore, naturalmente) tipo "Con te partirò" o "Il mare calmo della sera" coincidono con lo stereotipo che gli americani hanno del tenorino italiano (infatti lì vende milioni, qui meno) e naturalmente vanno più che bene. Anche "'O sole mio" lo puoi (sarebbe meglio di no) cantare senza swing.

"New York New York", no. Diventa una porcheria. C'era lì vicino il povero Bennett che ha tentato di ridare un po' di carattere al pezzo con qualche sconsolato intervento, ma senza speranza di salvezza.

Eppure... il miracolo: settantamila persone ad applaudire. Patetismo. Italianità. Arte, poca. Money, molta. Strategia brillante, e qui sta molto bene in piedi un parallelo con il caso Allevi, della ditta Caselli&Sugar.

Possiamo anche criticare il cantante, ma non certo l'operazione, perché non c'è dubbio: funziona.





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