ATTUALITA'
Stefano Torossi
Noi artisti proprio non ce la facciamo (con un'eccezione).
Qualche giorno fa, insieme a tanti, abbiamo occupato il red carpet alla Festa del Cinema di Roma. Una grande manifestazione, davvero molti i partecipanti. Successo pieno per un'iniziativa che ci auguriamo risulti utile e costruttiva, e che comunque è stata divertente e anche mondana (si sentiva in giro: "se non era per oggi, il tappeto rosso chi se lo faceva mai?")
Tuttavia...
Tuttavia in passato, in rappresentanza di un istituto per la tutela dei diritti degli interpreti, siamo stati presenti a tante riunioni di esito diverso, artisti anche noi fra gli altri.
L'evento-riunione di cui parliamo segue una scaletta fissa. Studiamola insieme. Il titolo è "Assemblea degli Artisti", la categoria drammaturgica è "Azione scenica in vari quadri con finale grottesco". Il copione è sempre lo stesso: Inizio fremente con dichiarazione bellicosa. "Noi, come categoria (parliamo di attori, come di musicisti, doppiatori ecc.) ci impegniamo a difendere i nostri diritti collettivi, anzi vogliamo batterci per migliorarli, e se non ci danno retta blocchiamo tutto, poi staremo a vedere come vanno avanti la Rai, la TV, il Cinema, il Teatro, ecc. ecc."
Invariabilmente a questo punto chiede la parola un collega di livello medio, con un certo passato, ma poco futuro, causa età, e con un marcato piagnisteo; oppure giovanissimo, con molto futuro, grande prosopopea, e nessun passato. Con voce impostata, se attore, o impastata, se musicista, il parlante parte con un: "Le rivendicazione della categoria sono sacrosante e noi tutti le appoggiamo, e siamo pronti a lottare contro...bla bla bla..." per passare quasi subito a "...ma io ho solo 300 euro di pensione, e sono bravissimo, ho suonato con Toscanini, ho recitato con De Filippo, ma non mi fanno più lavorare, ce l'hanno con me..." oppure: "Sono bravissimo, ma nessuno mi chiama, perché lavorano solo i figli di... o le fidanzate di...", e via sbrodolando sul privato personale, mentre i veri problemi della categoria sfumano in uno sfondo indistinto da cui non emergeranno più. E poi, quando si tratta di prendere decisioni muscolari, c'è sempre un provino, o un turno da fare. E' quasi l'ora di cena, ci si alza, si indossano giacche e cappotti. Da più parti: "Si è fatto tardi", "Ci sentiamo dopo", "OK, ci aggiorniamo", "Fatemi sapere", e via. Fine dell'Assemblea. E della rivoluzione. Fuori del teatro si minacciano sfracelli, poi ci si saluta, e tutti a casa.
Con un minimo di buon senso capiremmo che basta trovare un collega preparato, con doti da leader, che ci rappresenti tutti, e seguirlo. Eh, invece no, perché poi va a finire che lavora solo lui che si è fatto i contatti giusti, mentre noi siamo tagliati fuori, anche se siamo più bravi, e allora lo sosteniamo, si, ma poco, e se qualcuno dell'altra parte ci offre un buon ruolo o un posto in orchestra, allora dobbiamo pensare al lavoro, mica alla politica, e molliamo tutto. Immobilizzati dalle lamentazioni e dalle rivalse personali, naturalmente condite di gelosie, ripicche di mestiere, o anche semplici antipatie.
Ma qualcuno ce l'ha fatta. E' un collega (che legittimamente può rientrare sia nell'area musicale che in quella audiovisiva) il quale ha dimostrato il proprio talento (una dote che tutti noi ammiriamo, vorremmo possedere, e francamente gli invidiamo) centrando in pieno l'obiettivo. Però ultimamente ci sta mettendo un po' a disagio per la conclusione forse prossima della sua performance che si annuncia come un fine, ma non lieto.
Curriculum.
Debutta come musicista viaggiante, ha un certo successo, ma soprattutto mette a punto la sua dote naturale di intrattenitore. Oltre a suonare, racconta barzellette, ride e corteggia, è simpatico. Poi, naturalmente si stufa di girare, e sente l'esigenza di uno spazio fisso in cui esibirsi. La TV! Se ne compra una, poi alcune altre (non apparecchi), e così soddisfa il legittimo desiderio di raggiungere tutto il suo pubblico.
Il suo grande talento viene ricompensato da ricchi emolumenti, che, contrariamente ai colleghi artisti, il nostro personaggio sa investire bene. La naturale cordialità, l'arte di compiacere i capocomici più importanti gli permettono di diventare rapidamente primo attore. A questo punto, ora che non ha più nulla da temere dai colleghi, comincia a occuparsi della propria persona. Aggiusta con qualche accorgimento l'elevazione fisica, la chioma, il rilassamento dell'epidermide, esibisce il proprio potere di seduzione con appariscenza.
Beato lui, ci viene da dire. Senonchè a una certa età, come per tutti gli artisti, anche per lui comincia una discesina spiacevole, a metà della quale, o uno è filosofo e ci sta, o tende a esagerare: troppo trucco, troppi bis, troppe barzellette. Da simpatico diventa furbo, da divertente, volgare. Insomma, tutto quello che lo ha spinto su, poi lo riporta giù, come un frutto che matura, matura, diventa perfetto, ma da quel momento preciso in poi, comincia a marcire.
Il nostro attore è costretto a smentire quello che sta sotto gli occhi di tutti. Come in quelle operine del settecento in cui il tenore, con la maschera di traverso sulla faccia, ammicca al pubblico e canta a mezza voce: "Il signor Conte ignora la mia vera identità, ah, ah, ah!" Tutti vedono che è lui, ma siccome siamo a teatro, la finzione scenica impone a noi e agli attori di credere alla maschera e non al vero.
Solo che a un certo punto quello spettacolo finisce. Noi, lo abbiamo già detto prima, abbiamo paura di come finirà questo.
Non c'è bisogno del nome, vero?
Tuttavia...
Tuttavia in passato, in rappresentanza di un istituto per la tutela dei diritti degli interpreti, siamo stati presenti a tante riunioni di esito diverso, artisti anche noi fra gli altri.
L'evento-riunione di cui parliamo segue una scaletta fissa. Studiamola insieme. Il titolo è "Assemblea degli Artisti", la categoria drammaturgica è "Azione scenica in vari quadri con finale grottesco". Il copione è sempre lo stesso: Inizio fremente con dichiarazione bellicosa. "Noi, come categoria (parliamo di attori, come di musicisti, doppiatori ecc.) ci impegniamo a difendere i nostri diritti collettivi, anzi vogliamo batterci per migliorarli, e se non ci danno retta blocchiamo tutto, poi staremo a vedere come vanno avanti la Rai, la TV, il Cinema, il Teatro, ecc. ecc."
Invariabilmente a questo punto chiede la parola un collega di livello medio, con un certo passato, ma poco futuro, causa età, e con un marcato piagnisteo; oppure giovanissimo, con molto futuro, grande prosopopea, e nessun passato. Con voce impostata, se attore, o impastata, se musicista, il parlante parte con un: "Le rivendicazione della categoria sono sacrosante e noi tutti le appoggiamo, e siamo pronti a lottare contro...bla bla bla..." per passare quasi subito a "...ma io ho solo 300 euro di pensione, e sono bravissimo, ho suonato con Toscanini, ho recitato con De Filippo, ma non mi fanno più lavorare, ce l'hanno con me..." oppure: "Sono bravissimo, ma nessuno mi chiama, perché lavorano solo i figli di... o le fidanzate di...", e via sbrodolando sul privato personale, mentre i veri problemi della categoria sfumano in uno sfondo indistinto da cui non emergeranno più. E poi, quando si tratta di prendere decisioni muscolari, c'è sempre un provino, o un turno da fare. E' quasi l'ora di cena, ci si alza, si indossano giacche e cappotti. Da più parti: "Si è fatto tardi", "Ci sentiamo dopo", "OK, ci aggiorniamo", "Fatemi sapere", e via. Fine dell'Assemblea. E della rivoluzione. Fuori del teatro si minacciano sfracelli, poi ci si saluta, e tutti a casa.
Con un minimo di buon senso capiremmo che basta trovare un collega preparato, con doti da leader, che ci rappresenti tutti, e seguirlo. Eh, invece no, perché poi va a finire che lavora solo lui che si è fatto i contatti giusti, mentre noi siamo tagliati fuori, anche se siamo più bravi, e allora lo sosteniamo, si, ma poco, e se qualcuno dell'altra parte ci offre un buon ruolo o un posto in orchestra, allora dobbiamo pensare al lavoro, mica alla politica, e molliamo tutto. Immobilizzati dalle lamentazioni e dalle rivalse personali, naturalmente condite di gelosie, ripicche di mestiere, o anche semplici antipatie.
Ma qualcuno ce l'ha fatta. E' un collega (che legittimamente può rientrare sia nell'area musicale che in quella audiovisiva) il quale ha dimostrato il proprio talento (una dote che tutti noi ammiriamo, vorremmo possedere, e francamente gli invidiamo) centrando in pieno l'obiettivo. Però ultimamente ci sta mettendo un po' a disagio per la conclusione forse prossima della sua performance che si annuncia come un fine, ma non lieto.
Curriculum.
Debutta come musicista viaggiante, ha un certo successo, ma soprattutto mette a punto la sua dote naturale di intrattenitore. Oltre a suonare, racconta barzellette, ride e corteggia, è simpatico. Poi, naturalmente si stufa di girare, e sente l'esigenza di uno spazio fisso in cui esibirsi. La TV! Se ne compra una, poi alcune altre (non apparecchi), e così soddisfa il legittimo desiderio di raggiungere tutto il suo pubblico.
Il suo grande talento viene ricompensato da ricchi emolumenti, che, contrariamente ai colleghi artisti, il nostro personaggio sa investire bene. La naturale cordialità, l'arte di compiacere i capocomici più importanti gli permettono di diventare rapidamente primo attore. A questo punto, ora che non ha più nulla da temere dai colleghi, comincia a occuparsi della propria persona. Aggiusta con qualche accorgimento l'elevazione fisica, la chioma, il rilassamento dell'epidermide, esibisce il proprio potere di seduzione con appariscenza.
Beato lui, ci viene da dire. Senonchè a una certa età, come per tutti gli artisti, anche per lui comincia una discesina spiacevole, a metà della quale, o uno è filosofo e ci sta, o tende a esagerare: troppo trucco, troppi bis, troppe barzellette. Da simpatico diventa furbo, da divertente, volgare. Insomma, tutto quello che lo ha spinto su, poi lo riporta giù, come un frutto che matura, matura, diventa perfetto, ma da quel momento preciso in poi, comincia a marcire.
Il nostro attore è costretto a smentire quello che sta sotto gli occhi di tutti. Come in quelle operine del settecento in cui il tenore, con la maschera di traverso sulla faccia, ammicca al pubblico e canta a mezza voce: "Il signor Conte ignora la mia vera identità, ah, ah, ah!" Tutti vedono che è lui, ma siccome siamo a teatro, la finzione scenica impone a noi e agli attori di credere alla maschera e non al vero.
Solo che a un certo punto quello spettacolo finisce. Noi, lo abbiamo già detto prima, abbiamo paura di come finirà questo.
Non c'è bisogno del nome, vero?
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