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Il Paradiso degli Orchi
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Stefano Torossi

Orfani

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Orfani.
Cerano gli orfani veri, i fratelli Luca e Marco, e poi c’eravamo anche noi, orfani spirituali di Lilli Greco, riuniti a ricordarlo lunedì 2 giugno alla Sala Sinopoli del Parco della Musica, in una serata organizzata da Nicoletta Della Corte, sua amica, ninfa, ispiratrice, custode. Perché Lilli, per tanti anni direttore artistico della RCA è stato una chioccia (dotata di un bel caratteraccio, ma anche d’infallibile intuito) per tanti: Conte, Venditti, De Gregori, Servillo, Dalla, Vianello e avanti all’infinito: tutti suoi pulcini. E molti erano lì a ricordarlo senza smancerie, anzi, con abbondanza di aneddoti e barzellette: un ritratto meglio riuscito di tanti necrologi.
E’ ormai un fatto che noi che siamo entrati nell’ultimo quarto della vita, presumendone una durata ipotetica di un secolo (magari!), stiamo cominciando a concentrare le nostre frequentazioni sociali su funerali e commemorazioni.
Sul palco è salito il grande cantautore a dichiarare che senza Lilli forse lui sarebbe rimasto un signor nessuno; c’era la Wertmuller che ha raccontato con molta ironia la loro collaborazione professionale; si è presentato il collega a dire delle amichevoli furibonde litigate fra romanisti e laziali; c’era l’altra coppia di fratelli, Luigi e Andrea Fontana, orfani veri anche loro, di Jimmy, che hanno cantato con Luca e Marco le canzoni scritte insieme dai due padri.
E’ stato bello, certo, ritrovarci lì a riconoscerci nel ricordo del comune amico. Ma tutto questo è polvere di quello che non c’è più: la persona. Perchè Lilli, il nostro amico, esisteva nella parolaccia che gli scappava per qualche misfatto musicale, nel tifo esagerato, nei buffi bermuda che portava spesso. Questo significava qualcosa mentre eravamo insieme, noi e lui, vivi. Che non è lo stesso di rivedere la sua faccia filmata, risentirne la voce registrata o condividerne il ricordo con gli amici.
E che ci sia ancora qualche sua traccia in un altro luogo con cui non riusciremo mai a comunicare, possono anche raccontarcelo: noi non ci crediamo. Certo non saremo mai in sintonia con quelli che scelgono di stordirsi con illusioni consolatorie, tipo: “E’ lassù che ci guarda e sorride. Lo vedi, è lui che dirige l’orchestra dei colleghi sulla seconda nuvola a sinistra, e poi suona in duo con Benedetti Michelangeli”. Balle. E’ tutto finito e basta.

Buona la prima.
Mercoledì 4 eravamo alla presentazione del recente CD dell’etichetta Parco della Musica, “Doctor 3”: Rea, Pietropaoli, Sferra. Un’informalissima, divertente cerimonia, alla quale, insieme a questi tre musicisti, ottimi e in ottima salute, si sarebbe trovato bene anche Lilli Greco, perché lo spirito era lo stesso. Roba seria, ma anche molto cazzeggio.
Chiacchiere, ascolti, aneddoti, esagerata confusione su date e nomi. Insomma tutto il repertorio di finto rimbambimento senile che, quando stanno in compagnia, i vivaci sessantenni esibiscono volentieri prima (o per evitare di) rimbambirsi davvero.
I brani, ripresentati in squisite versioni jazz, vengono tutti dal musical americano anni ’40, dal repertorio pop, dai Bee Gees, dai Beatles. Grandi canzoni su cui sfarfalla più che l’improvvisazione, quello che Rea chiama il delirio sul tema. Un intero CD registrato in due giorni di sala, spesso un brano completo, dall’inizio alla fine, senza interruzioni.
Appunto: buona la prima.


Inaspettato Barocco Dixieland.
5 giugno, ore 16.30. Nel più inaspettato dei luoghi, la sontuosa Biblioteca Vallicelliana, barocco capolavoro di Francesco Borromini, tempio degli studi più profondi e del silenzio accademico, ci troviamo, inaspettata, la Roman Dixieland Few Stars di Michele Pavese, in un concerto organizzato dal Salotto Romano con la formula “Piccola storia del jazz in parole e musica”.
Pavese e gli altri hanno raccontato personaggi e fatti di un secolo fa, e poi si è dato fiato ai classici del dixieland, per chiudere naturalmente con i Marching Saints. Pubblico, inaspettatamente partecipe, di anziani. Ancor più inaspettata la buona acustica del salone, di sicuro dovuta agli scaffali pieni di preziosi manoscritti e incunaboli, che arrivano al soffitto.
L’idea di portare il dixieland, musica nata nei malfamati sobborghi neri del sud degli USA, in un ambiente di così esasperata raffinatezza europea ci è sembrata davvero inaspettata, ma nel senso migliore. Chissà cosa ne avrebbe pensato il Borromini, genio balzano al punto che, arrivato al sommo della professione, forse per la rabbia di non aver avuto lo stesso successo del suo rivale Bernini, inaspettatamente si infilzò con la sua propria spada e schiattò il 3 agosto 1667.





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