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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Marco Lanzòl

Pasolini era vero per davvero (tutto ciò che mi posso rivendere der Pàsola)

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Purtroppo è molto poco. Né posso, come Massimo Consoli decenne, vantare un suo (presunto) tentativo di seduzione "borgatara" - mano nella braghetta lasca, offerta delle canoniche cinquepiotte. (1) Pur avendo un'età interessante per lui (dodici anni) quando morì, non ho avuto occasione di incontrarlo di persona. Comunque, non gli sarei piaciuto: né sveglio paragulo, né imbibito dell' innocenza che l'attirava nella sfacciataggine di cui ero privo, microborghese fino al midollo, cicciotto e saccente, non avevo nulla che potesse soddisfare i suoi requisiti (Lettore, ti attizzano tutte proprio tutte le donne? E a te, mio Gaio, gli uomini nel complesso ed i Gitoni?). Dunque, mi limito a riportare le due occasioni che seguono, convinto che, specie la seconda, possano essere di qualche interesse per il Lettore.

Uno. Credo che il due novembre del '75 fosse una domenica: come ogni domenica - in quella pioveva, e le baracchette del mercato che dovevo attraversare erano, sotto i bandoni che le coprivano, particolarmente grigie - andavo all'edicola a comprare i fumetti che leggevo. Era, questa, un chiosco di legno verde opaco, un metro per due, che acquistava spazio allargando verso la strada le ante delle finestrature che lo chiudevano. Aperte, si facevano pareti e tetto d'una sorta di veranda, ed erano scaffalate all'interno, in modo da esporre riviste e fumetti - ma quelli sudici erano in un settore apposito, al lato del bancone che inclinava come una mostra di pescivendolo.

Quando arrivai davanti a essa, nel minimo spazio rubato dalle ante spalancate come piatte cosce, c'era un uomo magro e spiritoso - vestito come allora si vestivano gli operai o i merciaioli al dì di festa - e in qualche dimestichezza con l'edicolante. Mentre curiosavo tra i fumetti (gli albi di Topolino, il Corriere dei Ragazzi, e poi Tex, Zagor-te-nay, Alan Ford, Lanciostory, Alem (la sottomarca italiana di Asterix), Supereroica) sentii il giornalaio dire, scorrendo il Paese sera: "Ce lo sai chi è morto?"

"No".

"Pasolini".

Appena un attimo dopo, la voce incredula, scafata e divertita dell'uomo formulò un commento: "Ma chi, er frocio?"

"Frocio" era parola che conoscevo insultante. Invece qui aveva un'aura fra il didattico e il tenero - o era semplice indifferenza classificatoria? "Frocio" detto di Pasolini: e se fosse stato tedesco, "tedesco".

Due. Quattordicenne, m'iscrivo ad un istituto tecnico per chimici: è sulla via Tiburtina, vi sorgono dinanzi i lotti popolari dove sarebbe andato ad abitare Tommasino Puzzilli. Lo frequentano i ragazzi di Pietralata, di Rebibbia, di San Basilio. Ne arrivano da Portonaccio, (pochi) dalla Subaugusta addirittura, dalle frazioni oltre il raccordo, sulla strada di Tivoli. Chi sono questi ragazzi? Badate alle provenienze, all'anagrafe. Il Riccetto, nel 1944, ha dodici anni: è del '32, perciò. Mio padre nacque un anno prima - in ambienti e circostanze del tutto diversi, non credo migliori ma certo più "poveri ed onesti", poveruomo. Al buon bisogno, se non figli, quei ragazzi erano al massimo nipoti dei ragazzi di vita. Meglio vestiti, nutriti, abitati, calzati, studiati, ovvio: nessuno di loro doveva più arrangiarsi - non per la minestra della Pontificia Assistenza, almeno. E però: i loro pomeriggi li trascorrevano nelle "bische", i bar biliardo frequentati dagli invecchiati regazzi de bborgata - i Concezio, Antero, Pallante de vita, gli Arfredo, Righetto, Papabbraschi da naso o d'a''a lègge (frase che si accompagnava poggiando il solo polpastrello del pollice della mano destra - chiusa a pugno - su una guancia, strisciando verso il basso: cfr. Scintillone ne La notte brava). In una vicinanza e attinenza psicologica che era profonda: se ne riportavano detti e contraddetti, atteggiamenti, sparate, dritterie - così come, il giorno dopo l'uscita d'un film del commissario Giraldi, scilicet "er monnezza", coadiuvato da Bombolo, Alvaro Vitali e tutta la balordaggine cinematografara tiberina, chi aveva visto il film lo rifaceva nei dettagli: io, che non ne ho visto che qualche frammento, so trame, sketch, battute. Ci si gloriava con delizia di malandrina filologia d'usare, dei coatti biliardari, il gergo - la fumante era la sigaretta, il vundelàio fìscher una "chiamata" al tressette (il volo: dichiarare, se di mano, la fine delle carte di un seme), la bajaffa la pistola, la suffissazione in -ella frequentissima nei soprannomi - Castrichella, Rosichèlla, Impicciarella - a indicare negli individui una pervicacia patologica nello scocciare il prossimo, nell'essere portatori di rancore a oltranza, nel farsi inopinatamente i fatti altrui.

Questa prossimità e dimestichezza si risolveva comunque nell'imitazione delle pose e non degli atti - forse anche perché erano gli anni della politica, e i ragazzi, anche giovanissimi, avevano in essa pratica di valentìa, dimostravano il loro essere "òmini" non più rubbando e inciafruiàndo (nap. "inciuciando"), ma nelle fumisticherie della rivoluzione (addavenì!). Il susseguirsi fra le generazioni si limitava alle sonorità retoriche, all'ammirazione per una forma di vita condivisa solo nei suoi ossimori d'indifferente affetto, di distante tolleranza. Non ci si stupirà allora che, quando, più o meno sedicenne, ho letto i romanzi borgatari di Pas., ne ho avuto una "fulgorazione conoscitiva": eccoli, i miei compagni di scuola, tonni tonni e cacchi cacchi, risaltare sulla pagina pasoliniana così da "ripija' figura de perzone". Alduccio, il Begalo, Riccetto, Tommasino, il Zucàbbo, lo Zimmìo, Arnardo, io li avevo avuti compagni di banco - perciò ho un blocco psicologico che mi impedisce di considerarli pseudopodi dell'Onnisciente Autore. Non posso allora credere che non avesse visto bene nel '50 - che non fosse testimone attendibile, con tutti i limiti delle testimonianze. (2)

Il che non significa che il "genocidio" non stesse avvenendo - il Merda di Petrolio, i "destinati ad essere morti" delle Luterane, lo sconcio dell'acquiescenza al Potere di Salò. Ma che i ragazzi de morte "generazione del Settanta" fossero ancora una tendenza, una teleologia. E difatti per comprenderne la portata si dà in Pasolini un cambio di retorica - dalla "documentazione" neorealista (certo filtrata dal pathos autoriale, dalle radici d'una scrittura exquisita), alla profezia millenaristica e inconsùtile - e non (cred'io) uno storno d'amore. Questo fosse stato, sapendo quel che sapeva, la notte di novembre non si sarebbe affidato a un ragazzo riccetto, dal collo presumibilmente sudicio, "scuro come un arabetto e inarticolato come un troglodita", (E. Siciliano) ch'avrebbe potuto essere comparsa in un suo film. L'avrebbe visto come "adultero": se ciò non avvenne, significa che il poeta delle Ceneri aveva ben chiaro che nella sua fondata disperazione resisteva un fondo di speranza. Che vita cercava e non - com'autorevoli scrissero - morte.

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1) l'episodio è in Affetti speciali, Massari editore, Bolsena (VT), p. 156. Le cinquepiotte erano, all'epoca, cinquecento lire - un patrimonio per i pischèlli: c'entrava il biglietto del cinema (terza visione, dunque romaneschi pidocchietti!), il pacchetto dei pòppi-còrni, i brustolìni, le cingómme da ciancicàre, addirittura il crem(l)ìno umano, la gazzosa da venti lire, il giornaletto zozzo, le fumarétte da dieci, 'e fìgu. E se ne avanzava per il dindaròlo;

2) cfr. G. De Leo, M. Scali, L. Caso, La testimonianza, il Mulino, Bologna 2005.





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