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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Stefano Torossi

Pienoni e vuotoni

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Riceviamo un invito alla chiesa di S. Andrea della Valle (quella della Tosca, ma stavolta Puccini non c’entra) per un concerto vocale e strumentale di Hirari Sato. Ciò che stiamo per raccontarvi ha del fantascientifico. Ne abbiamo viste di serate, ma questa è speciale.
Con la preparazione l’evento si esaurisce quasi prima di cominciare, ma vale comunque la pena di seguire il tutto. Hirari Sato è una bambina giapponese di quattordici anni, cieca dalla nascita. Accompagnata dalla madre, arriva, grassottella e intortata in un vestito di tulle rosa, si siede alla tastiera, fa qualche accordo e comincia a provare il microfono. La chiesa è enorme e gelida. Ci saranno una settantina di persone, mentre ce ne entrerebbero comode almeno duemila (vedi foto). E qui c’è da chiedersi il perché di un posto così grande per un evento così piccolo.
Il microfono naturalmente non funziona e il ritardo è già di mezz’ora. Intanto sono arrivati alcuni giapponesi che si omaggiano con inchini profondi, emettendo preoccupanti suoni di gola (che in realtà sono cortesi saluti). La povera bambina continua a provare, e finalmente la fonica pare che sia a posto.
Diamo il via al concerto? Neanche per idea; ha inizio la estenuante cerimonia dei discorsetti, prima in giapponese, poi tradotti, postillati da sbrodolature del tipo “gli occhi della bambina non vedono, ma quelli del suo cuore, sì”, “la musica è la sua vita, e la sua vista”. Chissà perché quando c’è di mezzo un handicap si va sempre nel melenso. Qualcuno legge una poesia orrendamente patetica; poi si manifesta l’organizzatrice della serata: l’Associazione Abruzzo – Giappone, o meglio, la JAA, Japan Abruzzo Association, il cui delegato alla musica è il Maestro Ciufoletti (non stiamo inventando niente). Pare che, primi al mondo, abbiano pubblicato in giapponese una guida dell’Abruzzo che sta avendo un enorme successo editoriale nella terra del Sol Levante. Inaspettato gemellaggio fra Majella e Fujiyama!
Il programma del concerto comprende brani di Whitney Houston, poi naturalmente l’Ave Maria di Schubert, ma anche una serie di successi pop giapponesi con titoli da menù sushi: “Sukiyaki”, “Furusato”, “Nada soso”, tradotti con: ”Camminerò guardando in alto”, “L’amato luogo natio” e “Pianto disperato”. Leggendo, le nostre innate diffidenze nei confronti del traduttore si fanno certezza. Come è possibile che i giapponesi siano così generosi di sfrenato cattivo gusto? Qui si tratta dell’incapacità, proprio del traduttore, di penetrare nell’anima della lingua di partenza, per trasportarla (questo vuol dire tradurre) scegliendo le parole meno ridicole e più giuste allo scopo di mantenere lo spirito del concetto, nella lingua di arrivo.
 Per amore di verità, sorvolando sull’accompagnamento alla tastiera, davvero precario, dobbiamo riconoscere che la voce della ragazzina è pregevole e anche troppo matura per la sua età.
Il che non ci impedisce di guadagnare l’uscita dopo il secondo brano portandoci dentro una domanda senza risposta: perché questo scempio, neanche giustificato dalla richiesta di un’offerta finanziaria per qualche nobile destinazione? Perché esporre una bambina, che ha già i suoi guai, a questa inopportuna esibizione? Va bene, potrebbe commentare un cinico, che, data la sua menomazione, neanche si sarà accorta della chiesa troppo grande e troppo vuota, e della gente che sgattaiolava via alla spicciolata…
Poi abbiamo saputo che questa è la settimana dei non vedenti, e che l’indomani la ciechina si sarebbe esibita davanti al Papa. Però la domanda ci è rimasta dentro; e la risposta? Non pervenuta.
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Sabato ore 17,  per la Stagione di Musica Antica organizzata dal Museo degli Strumenti Musicali con Santa Cecilia, i concerti grossi di Corelli trascritti per due clavicembali. Qui parliamo di buona, anzi buonissima musica, e in più dobbiamo riconoscere che le due clavicembaliste, Vera Alcalay e Angela Naccari, oltre ad avere dita agili e sicure, hanno entrambe bellissimi capelli castani, lunghi e lisci: uno spettacolo certamente più garbato di come doveva apparire ai suoi tempi il parruccone incipriato di Arcangelo.
Purtroppo la sala del museo è piccola e afosa (come sempre in questi casi, guai ad aprire una finestra, perché, come si sa, aria di filatura, aria di sepoltura, e l’età media del pubblico è piuttosto elevata), e in più non c’è una sedia libera. In compenso, a disposizione degli spettatori in eccesso, c’è nell’ingresso un magnifico schermo di almeno duemila pollici, con una visione limpidissima e luminosa, ma senza sonoro. Trattandosi di un concerto, questo ci è parso a dir poco inspiegabile.
Comunque, successo e pubblico soddisfatto, a conferma della bontà dell’iniziativa.
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Al contrabbasso Mark Dresser, al contrabbasso Daniele Roccato, il mio contrabbasso… e qui Paolo Damiani che avrebbe dovuto annunciare se stesso come terzo contrabbassista del concerto, ha preferito presentare il proprio strumento.
Siamo alla Sala Accademica di S. Cecilia per la domenica dei Percorsi Jazz 2014. Il concerto si intitola “Triple Bass”, facendo il verso al nome dello strumento che in inglese è double bass. Tre i contrabbassi sul parco per una serie di improvvisazioni a uno, due, o tutti e tre insieme (vedi foto).
Un piatto per palati forti. Un bel gioco di pizzicati, arcate, manate, bastonate, pinzette sulle corde, ribattuti e trucchi elettrici vari. Squittii e barriti, cantatine in ottava, suoni imprevedibili, talvolta sgradevoli in sé, ma funzionali se inseriti nel gioco. Ci è particolarmente piaciuto un brano eseguito a solo da Roccato, basato sull’uso di armonici e corde vuote, impeccabile per agilità, inventiva e soprattutto (che su questo strumento è sempre un miracolo) intonazione.




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