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ATTUALITA'

Michel Ramelli

Rolling Stone Magazine (Italia): l'arte di ingabbiare l'arte.

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No. Questo testo non è un sermone sul fatto che la rivista in questione non è abbastanza pura e masturbazioni celebro-reazionarie varie a difesa del rock and roll: a mio avviso, Rolling Stone Magazine (Italia), uccide/umilia il concetto di Arte dal 2003, uscita dopo uscita.

Per arrivare a parlare dei giorni nostri è necessario spiegare come andarono le cose. Cominciai a leggere la rivista dalla sua prima uscita nel 2003, e ricordo ancora la scritta/slogan a caratteri cubitali in copertina: "La bibbia del rock and roll style". E ciò mi fece innervosire. Si, "perché se di testo sacro si tratta", dicevo fra me e me, doveva per forza esserci anche un dio del rock and roll e ciò urtava la mia coscienza e mi faceva perdere in domande infinite tipo: "Ma com'è possibile che esista un dio del rock and roll? E, se proprio dovesse esistere... non ci direbbe di rinnegarlo e non credere in lui?".

Successivamente, iniziai a "preoccuparmi" per come, nel corso degli anni, la rivista abbia dedicato sempre più spazio agli esponenti vari della "cultura industriale" (cantanti pop diventati famosi grazie ai piani di marketing delle case discografiche, rappers che avevano scordato la vera missione iniziale della loro musica e vari DJs che suonavano –suonano?- qui e là). E così, piano piano, ho cominciato a perdere interesse verso la testata ma visto che, come ho detto prima, non è una critica ai gusti musicali della redazione della rivista, ho dovuto trovare altri punti deboli per potermene distaccare definitivamente.

Le lezioni di Strategia Aziendale mi sono venute in aiuto e, un giorno, ho deciso di analizzare/studiare il "modello di business" della rivista. Ed è lì che ho scovato la più grande pecca: un'orripilante dipendenza finanziaria dagli inserzionisti. Si, perché la rivista in questione "vanta" più di un terzo di pubblicità. E fin qui, va più o meno tutto bene. Ma poi, se analizzi la pubblicità, ti accorgi che con la musica (o l'arte) non c'è pressoché alcuna connessione. Tutto si basa su moda, telefonia e mondo motori. E allora fai un breve calcolo e ti accorgi che più dell'80% delle entrate* derivano dagli inserzionisti e che, quindi, sono il cliente principale del magazine... con tutte le beghe che ne escono.

La prima è certamente di livello morale: è proprio il caso che una rivista che si occupa di musica influenzi migliaia di giovani (forse anche aspiranti artisti) seguendo, tramite le proprie inserzioni "modaiole", quello stupido trend all'insegna del "sono cool e piaccio... sono un artista!"? Si, perché guardando tutte quelle inserzioni non ci si fa l'idea che l'arte sia il semplice manifestare onestamente elogio o disappunto verso le esperienze vissute. A mio avviso, chi viene bombardato da quell'accozzaglia di pubblicità piena di facce sorridenti con corpi perfettamente ritoccati a computer, fasciati dagli abiti giusti ed intenti a vivere un'ipotetica vita di successo si convincerà del fatto che l'affermazione del proprio "Io" derivi dalla fama e non dall'espressione delle proprie idee e visioni.

Successivamente, ci sono tutti i problemi di rispetto verso il lettore e gli artisti. Infatti, se la tipologia di cliente principale della rivista è l'inserzionista... dove trovano le motivazioni necessarie per focalizzarsi su chi dovrebbe veramente attirare tutte le attenzioni (i lettori)? Si, perché se una rivista "sta in piedi" solo con la pubblicità, distoglierà di certo delle fondamentali energie dalla difficile arte di intrattenere, informare ed approfondire (o, ancora meglio, illuminare!).

Inoltre, dovrai sempre fare attenzione a non farli arrabbiare (che se no scappano) e allora nascono una serie infinita di problemi tipo le critiche a certi artisti o alle pecche del sistema (economico e politico). Come si può elogiare il talento/coraggio di artisti semi-sconosciuti se le masse (a cui mirano gli inserzionisti) vogliono altro? Come criticare l'ingordigia e mancanza di passione del classico rocker-vecchietto se le case di moda che ti sostengono hanno deciso di creare delle intere linee basate sul suo stile? Come puoi parlare di crollo del sistema capitalista se chi ti finanzia segue, ovviamente, quella logica? E via dicendo.

Ma non è solamente la pubblicità a rendere la versione italiana di Rolling Stone Magazine poco appetibile. Infatti, la versione originale (quella americana), anche se ha dovuto fare qualche "patto col diavolo" per garantirsi la sopravvivenza, riesce comunque a sfruttare l'esperienza di decine di anni di gloriose battaglie (soprattutto nel giornalismo investigativo) e riesce a sfornare un prodotto tuttora autorevole e brillante. E quindi, mi sembra lecito domandarsi se il problema della versione italiana sia, forse, quello di aver accettato degli squallidi compromessi dal primo numero (ed aver attirato l'attenzione con un logo celebre e non tramite i contenuti).

Penso che queste problematiche sarebbero risolvibili proponendo un prodotto originale che dia delle vere e proprie opinioni, che ricordi che l'arte (come diceva Pier Paolo Vergerio il vecchio) "aspira alla virtù e alla gloria" a scapito del guadagno e del piacere. Una rivista che faccia delle vere e proprie ricerche/indagini e scoperte, evitando di vendere solamente "aria fritta"... come ben sanno fare gli inserzionisti che finanziano la testata.

Concludendo, sono ben cosciente che non sta soltanto alle riviste del settore il faticoso compito di salvare la musica da quella fastidiosa gabbia di profitto nella quale è stata imprigionata tempo fa... ma di sicuro non deve spendere tutte le proprie energie nell'infittire le maglie di quella gabbia. Perché così è come inginocchiarsi ai piedi di quella macchina malefica che, oltre ad uccidere l'arte, sta vanificando le speranze di troppe persone.



* I dati sono stati estrapolati da Il 'concorrente ideale' di Rolling Stone Magazine (Italia), tesi di Master (Business Administration with Major in Innovation, a.a. 2011-2012) di Michel Ramelli presso la Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana.





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