ATTUALITA'
Stefano Torossi
Santa Cecilia V M
Sabato 22 novembre, Santa Cecilia Vergine e Martire.
Grazie a un’amicizia giusta eccoci (stavolta come effettivo cavalier servente) ai Musei Vaticani, alla visita-concerto-cena per l’onomastico di Santa Cecilia.
In gran tiro, ci troviamo numerosi all’ingresso, dove, divisi in plotoni, siamo presi in carico da guide che ci accompagnano attraverso le Stanze di Raffaello. Splendida escursione, ma i tempi stretti ci espongono a un’overdose di notizie, alcune interessanti, altre no, e soprattutto ci privano della calma indispensabile per assimilare l’arte. Pena: essere travolti dal plotone successivo.
In un battibaleno, passate le Stanze, ci troviamo seduti in prima fila (sempre l’amicizia giusta) nel Salone di Raffaello. Concerto dedicato a Ciaikowskij con un eccellente sestetto di archi, un paio di ottimi cantanti e niente di meno che Antonio Pappano al pianoforte. Esecuzione squisita, e su questo non avevamo dubbi, con la sorpresa di scoprire in Pappano non solo un buon pianista, come ci si aspetta da un buon direttore d’orchestra, ma un superlativo virtuoso.
Nelle pause della musica leggono la corrispondenza fra Piotr Ilic e la sua mecenatessa Madame von Meck Giulio Scarpati e Sonia Bergamasco, il primo con la sua leggera ma persistente ombra di inflessione romanesca, la seconda adagiata su una dizione molto strascinata. Non proprio il massimo per due personaggi emersi della Russia dell’ottocento. Nostra opinione.
Terzo tempo: a cena al tavolo giusto. Con il maestro Pappano e signora, l’ubiquo Zio Gianni Letta, il presidente dell’Accademia Bruno Cagli, l’Assessore alla Cultura del Lazio, e altre personalità, nella Galleria Chiaramonti gremita di statue. Ci inquietano gli occhi bianchi di tutti quegli imperatori di marmo fissi su noi, poveri esseri in carne e ossa, sorpresi a gustare il buon cibo. Ma al terzo bicchiere di pinot non ci si fa più caso.
Fantastica serata. Ci rimane una curiosità, non gastronomica ma artistica.
Perché, nel ritrarre Santa Cecilia, Raffaello ha creduto bene di affidarle (vedi foto del dettaglio) un piccolo organo, e questo è logico, dato il suo ruolo di patrona della musica, ma di seconda mano e così malconcio, che quattro o cinque canne sono mezze staccate e sembrano sul punto di cadere?
“Il dubbio che vibra”
Alla cassiera: “Tania, dije d’attaccà er telefono!” Lei: “Dijelo tu e nun rompe!” Un cameriere: “’N cioccolato c’aa panna!” Il barista mentre prepara il nostro caffè fischia a tutto vapore la marcia dei bersaglieri, anzi, “’a marcia delli berzajeri”. Dietro il bancone, una masnada di bellimbusti in giacca bianca strepita e si scambia battute a gran voce come se fossero all’osteria del vicolo.
Invece siamo al gran bar dell’Auditorium Parco della Musica, incontro di artisti, intellettuali e pubblico di tutto il mondo. Un salone dove, visto che non si riesce a essere professionali nel servizio (siamo a Roma, e ciò rende impraticabile l’ipotesi), almeno ci si potrebbe aspettare un po’ di discrezione.
Ma il caffè è buono. E questa, anche se non lo sappiamo ancora, sarà l’unica consolazione del pomeriggio.
E’ martedì 2 dicembre e siamo diretti al Museo degli strumenti musicali per la presentazione di un libro sul compositore Francesco Pennisi, cofondatore di Nuova Consonanza. “Il dubbio che vibra”, bellissimo titolo e unico guizzo di vita prima di sprofondare in un evento sulla cui durata ci eravamo illusi con un preventivo di una mezzoretta (che ci aspettavamo frizzante come il titolo), mentre ci siamo trovati con un consuntivo di più di due ore, esiziali.
Ognuno di noi ha le sue fissazioni, certo. La nostra, oltre a pretendere che sul palcoscenico gli artisti ci vadano o in costume o ben vestiti, è basata su una conclusione che deriva dall’esperienza: non è detto che chi scrive bene, sappia bene parlare.
Appunto. Tutti e sette i relatori, un po’ troppi per un libro solo, saranno anche bravissimi a investigare, a catalogare, ad archiviare, ma quando prendono il microfono, aiuto!
Il top lo raggiungiamo con l’intervento di *** (come nei romanzi dell’ottocento: asterischi invece dei nomi, che peraltro rimangono riconoscibilissimi dagli addetti), egregio critico musicale, il quale, chiamato in causa, si assesta ben bene nella sedia, sfodera la sua voce più commossa ed esordisce dichiarando che preferirebbe non parlare dell’amico Pennisi perché il ricordo della sua scomparsa gli fa ancora male al cuore. Dopo di che parte per non fermarsi più, sempre con la voce a lutto, le pause disumane e un eloquio dimesso nella forma, ma pomposo nell’intenzione.
Per fortuna il bravo Massimiliano Scatena, con qualche esempio al pianoforte, ci permette di tanto in tanto di uscire dall’apnea, ma, certo, due ore per raccontare un libro ci sembrano davvero tante. Troppe. Più di quanto serva per leggerlo, se ancora ne rimanesse la voglia.
Salvando sempre la nostra amatissima Nuova Consonanza, che non ha nessuna colpa.
Grazie a un’amicizia giusta eccoci (stavolta come effettivo cavalier servente) ai Musei Vaticani, alla visita-concerto-cena per l’onomastico di Santa Cecilia.
In gran tiro, ci troviamo numerosi all’ingresso, dove, divisi in plotoni, siamo presi in carico da guide che ci accompagnano attraverso le Stanze di Raffaello. Splendida escursione, ma i tempi stretti ci espongono a un’overdose di notizie, alcune interessanti, altre no, e soprattutto ci privano della calma indispensabile per assimilare l’arte. Pena: essere travolti dal plotone successivo.
In un battibaleno, passate le Stanze, ci troviamo seduti in prima fila (sempre l’amicizia giusta) nel Salone di Raffaello. Concerto dedicato a Ciaikowskij con un eccellente sestetto di archi, un paio di ottimi cantanti e niente di meno che Antonio Pappano al pianoforte. Esecuzione squisita, e su questo non avevamo dubbi, con la sorpresa di scoprire in Pappano non solo un buon pianista, come ci si aspetta da un buon direttore d’orchestra, ma un superlativo virtuoso.
Nelle pause della musica leggono la corrispondenza fra Piotr Ilic e la sua mecenatessa Madame von Meck Giulio Scarpati e Sonia Bergamasco, il primo con la sua leggera ma persistente ombra di inflessione romanesca, la seconda adagiata su una dizione molto strascinata. Non proprio il massimo per due personaggi emersi della Russia dell’ottocento. Nostra opinione.
Terzo tempo: a cena al tavolo giusto. Con il maestro Pappano e signora, l’ubiquo Zio Gianni Letta, il presidente dell’Accademia Bruno Cagli, l’Assessore alla Cultura del Lazio, e altre personalità, nella Galleria Chiaramonti gremita di statue. Ci inquietano gli occhi bianchi di tutti quegli imperatori di marmo fissi su noi, poveri esseri in carne e ossa, sorpresi a gustare il buon cibo. Ma al terzo bicchiere di pinot non ci si fa più caso.
Fantastica serata. Ci rimane una curiosità, non gastronomica ma artistica.
Perché, nel ritrarre Santa Cecilia, Raffaello ha creduto bene di affidarle (vedi foto del dettaglio) un piccolo organo, e questo è logico, dato il suo ruolo di patrona della musica, ma di seconda mano e così malconcio, che quattro o cinque canne sono mezze staccate e sembrano sul punto di cadere?
“Il dubbio che vibra”
Alla cassiera: “Tania, dije d’attaccà er telefono!” Lei: “Dijelo tu e nun rompe!” Un cameriere: “’N cioccolato c’aa panna!” Il barista mentre prepara il nostro caffè fischia a tutto vapore la marcia dei bersaglieri, anzi, “’a marcia delli berzajeri”. Dietro il bancone, una masnada di bellimbusti in giacca bianca strepita e si scambia battute a gran voce come se fossero all’osteria del vicolo.
Invece siamo al gran bar dell’Auditorium Parco della Musica, incontro di artisti, intellettuali e pubblico di tutto il mondo. Un salone dove, visto che non si riesce a essere professionali nel servizio (siamo a Roma, e ciò rende impraticabile l’ipotesi), almeno ci si potrebbe aspettare un po’ di discrezione.
Ma il caffè è buono. E questa, anche se non lo sappiamo ancora, sarà l’unica consolazione del pomeriggio.
E’ martedì 2 dicembre e siamo diretti al Museo degli strumenti musicali per la presentazione di un libro sul compositore Francesco Pennisi, cofondatore di Nuova Consonanza. “Il dubbio che vibra”, bellissimo titolo e unico guizzo di vita prima di sprofondare in un evento sulla cui durata ci eravamo illusi con un preventivo di una mezzoretta (che ci aspettavamo frizzante come il titolo), mentre ci siamo trovati con un consuntivo di più di due ore, esiziali.
Ognuno di noi ha le sue fissazioni, certo. La nostra, oltre a pretendere che sul palcoscenico gli artisti ci vadano o in costume o ben vestiti, è basata su una conclusione che deriva dall’esperienza: non è detto che chi scrive bene, sappia bene parlare.
Appunto. Tutti e sette i relatori, un po’ troppi per un libro solo, saranno anche bravissimi a investigare, a catalogare, ad archiviare, ma quando prendono il microfono, aiuto!
Il top lo raggiungiamo con l’intervento di *** (come nei romanzi dell’ottocento: asterischi invece dei nomi, che peraltro rimangono riconoscibilissimi dagli addetti), egregio critico musicale, il quale, chiamato in causa, si assesta ben bene nella sedia, sfodera la sua voce più commossa ed esordisce dichiarando che preferirebbe non parlare dell’amico Pennisi perché il ricordo della sua scomparsa gli fa ancora male al cuore. Dopo di che parte per non fermarsi più, sempre con la voce a lutto, le pause disumane e un eloquio dimesso nella forma, ma pomposo nell’intenzione.
Per fortuna il bravo Massimiliano Scatena, con qualche esempio al pianoforte, ci permette di tanto in tanto di uscire dall’apnea, ma, certo, due ore per raccontare un libro ci sembrano davvero tante. Troppe. Più di quanto serva per leggerlo, se ancora ne rimanesse la voglia.
Salvando sempre la nostra amatissima Nuova Consonanza, che non ha nessuna colpa.
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