RECENSIONI
Francesco Muzzioli
Scritture della catastrofe
Meltemi, Pag. 287 Euro 21.50
Cosa sono le "trigger words"? Sono le cosiddette "parole grilletto" ovvero quei termini dalla forte valenza suggestiva, negativa o positiva, che inviano un segnale di stop al nostro cervello. Nel corso degli anni mi sono imbattuto spesso in questi inciampi: a undici anni, leggendo le strisce di Linus, m'infognavo spesso davanti all'espressione "sarcasmo" che Charlie Brown pronunciava con una certa regolarità. Più avanti, verso i sedici, diciassette anni, sbattevo il muso con l'utopia (pur se studiata al liceo), ma soprattutto con la distopia, in bocca ai saccenti lettori della fantascienza più avanzata.
Se col sarcasmo ho fatto pace, con queste due ultime espressioni qualche resistenza continuo ad averla, ma resistenza di carattere tutto sommato caratteriale, non di pura comprensione.
Il saggio in questione, di Francesco Muzzioli, ordinario di Teoria della letteratura all'Università La Sapienza di Roma, pone fine alle mie ultime riluttanze.
Dice l'autore: Prendiamo come punto di partenza l'etimo di "utopia", che indica un non-luogo: ma questo vale anche per la distopia, che si svolge in uno spazio altrettanto inesistente, e allora le due non sarebbero distinguibili. Se però chiariamo che l'utopismo racconta una eu-topia (luogo felice), in questo caso sì che la distopia è il suo contrario, un luogo pessimo, che a rigor di termini dovrebbe chiamarsi "caco-topia". Il prefisso "dis", per via della sua complessa origine, non indica solo sottrazione e negazione, ma anche alterazione e spostamento, intensificazione maligna (dis-persione, dis-tonia, dis-torsione).
Sembra complicato, ma in realtà la spiegazione fila come un treno ed è esaustiva. Ed è chiaro, complice anche un titolo esauriente, che la preferenza dell'autore, ma in genere dei letterati tutti, è per la distopia che anticipa ed amplifica le emergenze dovute anche ad un cattivo sviluppo.
Tema questo che ai giorni nostri ha una sua concreta, rimarchevole, pregnanza. Ma le alterazioni e le sottrazioni del concetto di cui si faceva menzione nella citazione di Muzzioli, producono, per una sorta di allargamento "territoriale", una quantità molto ingente di "scritture della catastrofe". Pensiamo agli olocausti, alle guerre, alle deportazioni, agli stermini di massa, alle stragi, ai genocidii, alle torture, alle schiavitù vecchie e nuove (e qui l'autore inserisce una breve, ma interessante lista di opere che affronta il problema, più reale della realtà, ma comprensibilmente imparentato col non-luogo negativo, degli scrittori coloniali e post-coloniali, in quanto il colonialismo quelle "pratiche" di oppressione sull'uomo le ha adoperate tutte e senza lesinare. (Pag.142).
La distopia, dice sempre Muzzioli, può essere, prendendo a prestito una "vecchia" definizione di Solmi del 1978 sulla fantascienza, una proiezione appassionata dell'oggi, in quanto radicalmente storica: cioè essa si confronta in modo sofferto e contrastato proprio con il corso storico e i suoi esiti tendenziali (Pag.20).
La rassegna letteraria che fa l'autore è completa, andando addirittura a sfiorare anche la produzione minore del genere fantascientifico (e noi sappiamo quale sottobosco si muove ai confini del "genere") con l'aggiunta, nella parte ultima del testo, di vere e proprie schede di romanzi esiziali e imprescindibili per la comprensione definitiva del fenomeno.
di Alfredo Ronci
Se col sarcasmo ho fatto pace, con queste due ultime espressioni qualche resistenza continuo ad averla, ma resistenza di carattere tutto sommato caratteriale, non di pura comprensione.
Il saggio in questione, di Francesco Muzzioli, ordinario di Teoria della letteratura all'Università La Sapienza di Roma, pone fine alle mie ultime riluttanze.
Dice l'autore: Prendiamo come punto di partenza l'etimo di "utopia", che indica un non-luogo: ma questo vale anche per la distopia, che si svolge in uno spazio altrettanto inesistente, e allora le due non sarebbero distinguibili. Se però chiariamo che l'utopismo racconta una eu-topia (luogo felice), in questo caso sì che la distopia è il suo contrario, un luogo pessimo, che a rigor di termini dovrebbe chiamarsi "caco-topia". Il prefisso "dis", per via della sua complessa origine, non indica solo sottrazione e negazione, ma anche alterazione e spostamento, intensificazione maligna (dis-persione, dis-tonia, dis-torsione).
Sembra complicato, ma in realtà la spiegazione fila come un treno ed è esaustiva. Ed è chiaro, complice anche un titolo esauriente, che la preferenza dell'autore, ma in genere dei letterati tutti, è per la distopia che anticipa ed amplifica le emergenze dovute anche ad un cattivo sviluppo.
Tema questo che ai giorni nostri ha una sua concreta, rimarchevole, pregnanza. Ma le alterazioni e le sottrazioni del concetto di cui si faceva menzione nella citazione di Muzzioli, producono, per una sorta di allargamento "territoriale", una quantità molto ingente di "scritture della catastrofe". Pensiamo agli olocausti, alle guerre, alle deportazioni, agli stermini di massa, alle stragi, ai genocidii, alle torture, alle schiavitù vecchie e nuove (e qui l'autore inserisce una breve, ma interessante lista di opere che affronta il problema, più reale della realtà, ma comprensibilmente imparentato col non-luogo negativo, degli scrittori coloniali e post-coloniali, in quanto il colonialismo quelle "pratiche" di oppressione sull'uomo le ha adoperate tutte e senza lesinare. (Pag.142).
La distopia, dice sempre Muzzioli, può essere, prendendo a prestito una "vecchia" definizione di Solmi del 1978 sulla fantascienza, una proiezione appassionata dell'oggi, in quanto radicalmente storica: cioè essa si confronta in modo sofferto e contrastato proprio con il corso storico e i suoi esiti tendenziali (Pag.20).
La rassegna letteraria che fa l'autore è completa, andando addirittura a sfiorare anche la produzione minore del genere fantascientifico (e noi sappiamo quale sottobosco si muove ai confini del "genere") con l'aggiunta, nella parte ultima del testo, di vere e proprie schede di romanzi esiziali e imprescindibili per la comprensione definitiva del fenomeno.
di Alfredo Ronci
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