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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Marco Lanzòl

Strategia dell'errore. Sul fallaccio come pratica e come grammatica

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"Eróre!!! Scrivo 'na poesia sgramaticata /e se tu la coregi / diveneta 'na cazzata". Non so dov'ho letto questi versi, brevi e lievi come un'intramuscolo. (1) Fatto si è che mi sono riaffiorati alla mente leggendo una vecchia dichiarazione di Luigi Malerba: "sono arrivato al punto di inserire un vistoso errore in tutti i miei libri di narrativa per avere qualche rapporto con i miei lettori". (2) Forse, lasciando un recapito cellulare nelle sentìne delle Nord Milano o delle Laziali... Ma il Nostro colendissimo prosegue spiegando d'aver affermato in una sua pagina romanzesca che non c'erano quadri con fiori d'un tal pittore: fu smentito puntualmente da un Lettore colto, e un tantino cacacazzi, che gli inviò una cartolina, una riproduzione d'una tempera in cui il maestro delle sue pale delineava qualche sparuta corolla, qualche petalo al limite dello sbriciolarsi per secchezza, dei sepali pergamenacei - non si sa però se di Pergamo di sopra o Pergamo di sotto.

Detta così, la questione parrebbe marginale, chiusa in un orizzonte di solitudine da centro anziani agostano, con bocciofila, serata di liscio, torneo di briscola e "oh! Les beaux jours!" della professoressa di francese in pensione: pur di comunicare in maniera meno eterea che tramite la finzione letteraria, l'Autore dalla sua patetica Pathmos lancia un messaggio nella bottiglia, ed è tutto compreso e mosso quando riceve il riscontro da parte di chi frequenta le sue opere. "Is there anybody out there?", cantavano i Pink Floyd, non ignari di solitudini (benché di successo).

Però: si apre un sì aguto libro di Tommaso Labranca (3), e si scopre che "dietro l'errore (c'è) un progetto", sia pure cialtronico. Va da sé che questo avviene, per voler di Eco, "nel lapsus che faccia senso", che metta "in gioco figure di contenuto; se mette in gioco solo figure di espressione, si tratta di un errore meccanico". (4) Dev'esserci dunque una strategia dell'errore, una sua riconoscibilità o positiva rinvenibilità, se no la falta è accidente.

Prima di parlare d'un'occasione in cui architettai un tal disegno e delle ragioni per cui, vorrei accennare a un terzo caso che mi capitò per progetto - concetti, quello del succedere per caso e quello del programmare, antitetici in sé ma qui riuniti nel modo che dirò - introducendolo con un nuovo prestito da Eco: "l'autore procede alla comodissima operazione del taglio e incollo e nel corso di questa avviene sempre un inghippo perché sopravvive una frase o una parola che non doveva più restare, creando curiosissimi effetti di sutura". (5) Credo sia esperienza comune di chi lavora col computer ritrovarsi in tali mari e pigliare tali pesci: e difatti, recensendo una stesura di radiocopioni della Bachmann, m'avvenne di scrivere che era Autrice "di lingua tedesca". Seguendo, cancellai la specifica, per imprescindibili motivi di battonaggio (troppe battute facevano il testo più lungo del dovuto), e feci risultare la scrittrice semplicemente "tedesca": volevo correggere ma, spinto dal dimòn comunicativo che agita Malerba, e dall'inesausta voglia di Jannacci di "vedere di nascosto l'effetto che fa" a mischiare caso e necessità, lo lasciai. Non l'avessi mai fatto! Non dico di aver rischiato il linciaggio, ma uno dei pochi Lettori della rivista chiuse addirittura l'abbonamento (a prezzo mòdico), preda d'un indignato sconforto per il fallo mio (hony soit...).

Fin qui, bene (insomma...): siamo ancora nella senile monelleria. Invece ben diverse furono le circostanze che mi spinsero, in un articolo su Bangkok e dintorni, a inserire volut(tuos)amente delle indicazioni di luogo sbagliate. Lo scritto nasceva dalla confutazione degli errori di fatto e di logica d'un libriccìno che non sto a ricordare, ma di topica spinosissima. Nel mentre ne rivedevo le bucce, mi sono chiesto:"ma possibile mai che si possa pubblicare un testo così palesemente sballato, senza che qualche esperto - non un pecione come me - non abbia nulla da dire ?" Da qui, a chiedersi se mancassero di verifica o confutazione anche gli articoli sulla vessàta questione che il saggio in esame toglieva su di sé, il passo fu breve. Inserìi dunque gli errori nel testo, e mi misi in fiduciosa attesa di venir bacchettato sulle dita - attesa che, da un decennio oramai, dura inalterata com'un cazzo coi fiocchi.

E manco a dire che quei miei pezzùlli e similari non venissero letti. Ne ebbi indiretta conferma nella dichiarazione d'un esperto, e poderoso organizzatore di linee telefoniche salvifiche benché monocrome, il quale, bontà sua, accennò ai "dibattiti su Linus e Babilonia" (6) - su quest'ultimo periodico io scrivéa, e sotto il titolo redazionale "dibattito" andavano pezzi d'intervento o di polemica, com'erano talvolta e nella fattispecie i miei, atti dunque a suscitare un confronto d'opinioni (almeno si sperava), da cui l'etichetta.

Ebbene: da questa breve scorsa emerge come l'errore assuma un valore di richiamo e di senso, posto che "faccia sistema" con delle motivazioni plausibili o con delle tracce nel testo. Non solo: esso si manifesta come atto linguistico, è cosa fatta con le parole, giacché si concreta - quando riesce e il Lettore collabora, e ciò ne rivela la natura non coercitiva - non solo e non tanto in una comunicazione, ma in un comportamento comunicativo. Se questo dìa poi al testo valore di performance, da me non è dato concludere. Ma non si può avere tutto nella vita.



1) Ce 'o so, ce 'o so: sono versi di "poesie per una generazione perduta", ne "il Male" (1978), ora in Tommaso Di Francesco (a cura di), Veleno, Savelli, Roma 1980, pp. 168;

2) ne "l'Espresso" del tredici giugno 1996, p. 105;

3) Chaltron Hescon, Einaudi, Torino 1998, p. 70;

4) Semiotica e filosofia del linguaggio, Einaudi, Torino 1984, p. 19;

5) ne "l'Espresso" del ventitré ottobre 1997;

6) ne "la Repubblica" del sette giugno 1997.







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