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Michele Lupo

Tre libri e un paese di poche speranze.

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Italia di poche speranze. Tre libri per fare il punto della situazione – ammesso ve ne sia bisogno. Tre libri diversi, tre firme diverse (Ermanno Rea, Michele Ainis, Tina Anselmi) e cifre comuni: inclinazione verso il torbido, allegria ridanciana ma mendace, irresponsabilità costituzionale a fronte di quattro gatti che hanno remato in direzione ostinata e contraria. Inventori del melodramma e della commedia dell'arte, gli italiani, del fascismo e del populismo mediatico, esportatori di mafie e camorre, come di guitti e cantantesse, lesti ad approfittare (nelle leve di comando) delle occasioni offerte dalle istituzioni internazionali, totalmente allergici al rispetto delle regole e dei patti ivi implicati – provate a spiegare a uno studente come mai l'Italia faccia il Risorgimento contro gli austriaci, poi se li ritrovi alleati vent'anni dopo l'Unità, e ancora impieghi quasi un anno per decidere se partecipare alla Grande Guerra oppure no, e quando opta per il sì le solite leve di comando lo fanno di nascosto in quel di Londra e senza spiegare perché dalla parte opposta e contraria all'Alleanza del giorno prima: e provate a spiegare allo stesso studente - sperando di non essere cacciato dai neofascisti al governo per "propaganda politica" – cosa succede dal 25 luglio all'8 settembre del 1943, e sempre volando molto a vista sulle teste dell'italico popolino - che certe cose ora dimostra senza più alcun dubbio di meritarsele – e provate se proprio ci riuscite a spiegare perché bombardiamo la Libia ma forse no visto che fino a ieri le baciavamo le mani. Ecco, in Italia, le mani si baciano spesso e volentieri se si tratta di affari. La controriforma tridentina ci ha insegnato cosa significa obbedire; agli italiani piace, la servitù gli si addice. La fabbrica dell'obbedienza è il titolo del libro di Ermanno Rea (Feltrinelli), persuaso che negli italiani vi sia un "lato oscuro e complice" come recita il sottotitolo: idoneo alla sudditanza, alla venerazione che offre protezione, al rispetto mistico per i pataccari purché potenti, che si tratti di papi, vescovi, aristocratici analfabeti, tiranni dichiarati (gli italiani vanno pazzi per i discorsi come quello di Mussolini successivo all'assassinio di Matteotti) e despoti imbroglioni purché ricchi e puttanieri.

Bigotti e libertini a seconda della serata, i cortigiani per tessere le lodi dei padroni non sono mai mancati – anche quello per antonomasia ha il copyright italiano e gli accademici ancora lo additano come un titolo di merito, e sempre in epoca cinquecentesca e alle nostre latitudini assurge a paradigma non casualmente vezzeggiato il culto del "particulare", che, al di là della scena fintamente dialettica riesemplata a un livello stilisticamente di molto inferiore dalle parti di Ballarò mezzo millennio avanti, non ha nociuto a Santa Romana Chiesa, che ha utilizzato lo strumento della confessione per esercitare il proprio potere insegnando l'arte dell'auto-indulgenza a poco prezzo sia ai servi che ai padroni: un italiano protestante prima, e rivoluzionario poi, non si dà che come eccezione.

La smemorata e superficiale allergia alle regole (allergia innanzitutto culturale) parte da lontano e Rea ce la descrive random, percorrendo storia e geografia italiane a caccia di spunti interessanti: come non ricordare ad esempio il giudizio di Curzio Malaparte sul fascismo come "complesso dei difetti della civiltà cattolica", sull'essenza "reazionaria e liberticida della Controriforma" che segna a fuoco le strutture profonde di Adolf Hitler?

Due libri per certi versi più "tecnici" invece riguardano la storia presente. Uno è L'Assedio del costituzionalista Michele Ainis (Longanesi). Anche qui torna la diagnosi conclamata sul servilismo degli italiani. La loro disponibilità al suicidio istituzionale per avere in cambio prebende, favori, protezioni. Il vessillo della Costituzione come garanzia di tutti (oltre che, letteralmente, pagina trascuratissima di impareggiabile orgoglio nazionale) si affloscia per mero disinteresse collettivo che consente ai partiti, alle oligarchie paramafiose al comando di maneggiarla fino a distruggerla, in modo da sbarazzarsi di qualsiasi vincolo giuridico che ci impedisca di tornare al dominio plebiscitario dei potenti. Ainis ricostruisce la filiera dei più recenti fatti politici, dalle "porcate elettorali" ai vaneggiamenti sulla "costituzione materiale", dagli attacchi quotidiani alla Consulta alle Bicamerali scellerate. L'attacco frontale e capillare alla legalità riassunto in queste ultime vicende dimostra chiaramente quanto avesse ragione Flaiano quando mezzo secolo fa ricordava che essere rivoluzionari, in Italia, significa rispettare la legge.

Infine, diciamolo: mai avremmo pensato da giovani di infervorarci per le vicende di una seppur onesta signora democristiana. E quanto invece risulta drammatica la distanza fra Tina Anselmi e i banditi oggi al potere, quelli che ora stanno cercando di fare ope legis ciò che hanno tentato ben prima attraverso la loggia P2. Compreso cambiare la costituzione. Vero, i fatti ci dicono che nel complesso abbiamo di fronte una tragica riuscita, visto il parere autorevole del Licio Gelli, persona per così dire informata sui fatti. E dunque dall'editore chiarelettere ecco gli appunti del primo ministro donna della storia italiana (e, occorre ricordarlo, partigiana cattolica), che fu alla presidenza della Commissione parlamentare preposta a indagare sulla Loggia. Nel volume La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi, per la cura di Anna Vinci, ripercorriamo il diario di considerazioni, impressioni, e note varie che l'Anselmi tenne nel periodo che la vide impegnata sulla materia. Il suo giudizio è netto, e lo conosciamo. Inutile dire che molti di quei giocherelloni sono oggi gli stessi che hanno puntato le loro armi contro la Costituzione di cui parla Ainis, basta leggersi l'appendice con i nomi. Il lato oscuro di questo paese emerge nel libro della Anselmi come una costellazione di soliti noti, esercito, chiesa, giornalisti, servizi segreti, giuristi compiacenti, malavita e, va da sé, politici: il progetto eversivo, ora, è sotto gli occhi di chi vuol vedere. Ma se si rilegge il sottotitolo di Rea, si capisce perché queste parole sono le ennesime buttate al vento.







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