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ATTUALITA'

Davide Gatto

Troppa letteratura, niente letteratura. Ovvero, che fine ha fatto la critica?

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Cominciamo dalla verità fondamentale: sono uno scrittore alla ricerca di un lettore.

Non uno scrittore famoso, o famigerato, comunque riconosciuto da uno o più lettori, ma lo scrittore di un'opera prima e per giunta ambiziosa. E non cerco un lettore qualsiasi, ma un lettore che sappia di letteratura, e che comprenda quindi anche l'alfabeto delle forme letterarie, nella fattispecie quantomeno quello del genere, quello della struttura e quello dello stile tanto caro a Cesare Pavese. Sto cercando insomma, se non un critico letterario, di certo qualcuno che gli somigli molto.

Ci sarà chi a questo punto penserà di aver capito tutto, mi sbrigherà come uno scrittore per caso, giustamente ignorato dalla critica e disperatamente in cerca di visibilità, e vorrà sospendere la lettura.

Il fatto però è che molteplici indizi mi fanno ritenere che il mio libro non sia mai entrato nella officina della critica se non per il tempo svagato di una pausa dal duro lavoro di scrivania riservato ad autori famosi, appunto, o famigerati, spesso peraltro tali per ragioni che nulla hanno a che vedere con la letteratura.

Molteplici indizi, dicevo, ma anche una considerazione di fondo che ho scoperto recentemente di condividere nientemeno che con Leopardi (Operette morali, Il Parini, Capitolo quinto). Diceva il poeta che gli scritti più impegnati – e impegnativi – "ordinariamente alla seconda lettura piacciono più che alla prima", ma constatava anche che ai suoi tempi tanto evoluti, in quella "eccessiva copia di libri prodotti giornalmente", mancava "il tempo alle prime non che alle seconde letture".

Era il 1824, e a noi viene quasi da sorridere alla leopardiana "eccessiva copia di libri prodotti giornalmente", date le proporzioni dell'attuale mercato editoriale. Oggi più che mai, quindi, immaginiamo lo studio del critico ingombro e assediato di volumi variamente impilati e affastellati che, per la maggior parte, sono destinati ad accumulare polvere e a restare intonsi, soprattutto quelli che non hanno alcuna credenziale da esibire: non la raccomandazione di un editore potente, né i meriti letterari pregressi o, più spesso, la notorietà, a qualunque titolo, del loro autore.

A margine, merita riflettere sullo sfaldamento dei bastioni che la critica ha storicamente eretto di fronte all'industria editoriale e alla marea montante delle sue pubblicazioni. Se infatti i suoi presidi sono ormai logori e insufficienti all'assalto di tante miriadi, nessun confine correrà più a distinguere le terre della letteratura d'arte dalle altre. Tutto sarà ammesso nei ranghi della letteratura; ma se tutto sarà letteratura, niente più sarà letteratura.

Per tornare al caso del mio libro (e di altri come il mio), esso difetta proprio delle credenziali sopra menzionate, dato che l'editore, pur di qualità, è piccolo e incapace di sostenere gli oneri di un'adeguata promozione, e l'autore è un esordiente e perdipiù del tutto sconosciuto alle cronache ( non importa quali cronache e a quale titolo ).

Che il libro sia impegnato poi – e impegnativo – non c'è dubbio: così ho voluto sin dal principio.

Ho scelto di ricomporre in storia, nel senso classico di un romanzo che nel finale fa guadagnare ai personaggi e al lettore una via d'uscita dal labirinto, sette situazioni narrativamente eterogenee: sette racconti, con personaggi e ambientazioni autonome, estranei tra loro talora persino nel genere.

Pensavo che forse mai come oggi l'individuo si è sentito solo e impotente: nessuna fede, nessun grande ideale a garantire una visione unitaria e ragionevole del mondo, soprattutto a spiegare cosa è il male, perché e come combatterlo. Nella eterogeneità dei racconti quindi, nella loro assoluta autonomia narrativa, ho voluto trasferire la solitudine dell'individuo, l'incomunicabilità delle sue scelte di fronte a tanto problema.

Ma ho anche disposto i racconti in successione, a disegnare un itinerario di senso, quasi essi fossero tappe di un percorso complessivo – una storia appunto, un romanzo - che dalla resa, pur cosciente, alla insignificanza dell'esistenza perviene a una rinnovata fede nel valore dell'impegno e della responsabilità etica.

E' dunque la struttura del libro la chiave di volta del suo significato.

Dato alle stampe il libro, sapevo di affidarlo in primo luogo al mio lettore specialista, quello di cui sono in cerca. D'altronde, tra le funzioni più alte della critica letteraria non vi è quella di perlustrare, come in avanscoperta, il terreno accidentato dell'opera d'arte e di fornirne una possibile mappa ai viaggiatori meno esperti che lì vorranno avventurarsi? Per non parlare del contributo essenziale della critica alla costruzione stessa del senso dell'opera, tanto che è naturale per esempio chiedersi quale Montale conosceremmo oggi senza le note illuminanti di Gianfranco Contini.

Nel caso mio quindi ( e ai malpensanti, ma solo a quelli, preciso che è lungi da me l'aver scelto di chiamare in causa Montale e Contini altrimenti che a fini strettamente didascalici), che dire di recensioni circoscritte a uno solo dei racconti, quasi fosse la matrice di ciascuno degli altri e non – come ho spiegato sopra – un tassello di una successione ordinata?

O peggio ancora, che pensare di quei critici che hanno rifiutato di cimentarsi con il libro perché "troppo difficile"?

D'altra parte – e il mio editore, di cui conservo alta la stima, non me ne voglia – il peccato è forse originale, visto che la quarta di copertina parla di un inesistente e quanto mai fuorviante "itinerario circolare", nonostante i miei ripetuti interventi per sottolineare che di itinerario rettilineo si trattava, e perdipiù in un gradiente continuo dal nichilismo paralizzante a una nuova speranza. Per non parlare della soppressione del sottotitolo di indirizzo ( Sette racconti, una storia ), a beneficio di una indicazione di genere tanto falsa quanto spiazzante: "Racconti".

Eccomi qui dunque, a parlare di me per parlare di un fenomeno che sospetto – con solidi argomenti – molto diffuso, e a reclamare, seppure a voce bassa e intonata a rispetto, un lettore qualificato che voglia prendersi la briga, per curiosità e un po' anche per orgoglio, di leggere questa mia povera opera prima con attenzione e piglio professionale. Anche due volte, se occorre.



Davide Gatto, Il male minore, Manni





gattodavide@interfree.it





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