ATTUALITA'
Michele Lupo
Un americano alle prese con Nietzsche.
Intanto, un'avvertenza. Se qualcuno dovesse imbattersi nella monografia di Arthur C.Danto, estetologo americano, su Friedrich Nietzsche (tradotta ora dalle edizioni Mimesis), si vada a vedere la data di pubblicazione del libro: 1965. Perché altrimenti il lettore disattento potrebbe restare parecchio perplesso di fronte a un testo, alla breve prefazione in specie, che con tono compunto e battagliero – nonostante non risparmi al grande tedesco perplesse (e perplimenti) considerazioni su quella che Danto chiama l'incapacità della scrittura e dell'argomentazione nicciane di fare "sistema" – si dà da fare per "restituire" dignità filosofica all'opera di Nietzsche.
Ovvio che mezzo secolo dopo l'assunto appaia pleonastico e quasi sospetto. A dar retta all'insistenza con cui Danto sottolinea l'impeto artistoide che nell'autore dello Zarathustra sostituisce l'espressione consapevole (?) di un pensiero verrebbe quasi da credere a uno scherzo paradossale: come se il titolo Nietzsche filosofo velasse un'intenzione antifrastica. Visto che il regime interpretativo in Danto è totalizzante fino al punto di fargli credere – così parrebbe a momenti – inconsapevoli certi esiti o processi del pensiero nicciano, nulla impedisce di fare altrettanto con lui: che in fondo, l'essere una filosofia pop - Danto vede con una certa disinvoltura direi obbligata dalla sua stessa filosofia, delle analogie fra Andy Warhol e il pensatore tedesco... - potrebbe anche significare assenza di filosofia: ancora un'interpretazione. Ossia soltanto una lettura esasperata del Danto che legge Nietzsche, ancorché resa intrinsecamente possibile dall'impostazione generale del primo. Che, per tornare all'inizio, trova una giustificazione parziale nell'assumere Nietzsche a tutti gli effetti nella compagine della storia filosofica maggiore per via degli usi assai distorti che del tedesco erano stati proposti in Germania e altrove per decenni, a partire dalle sciagurate manomissioni ai suoi testi della sorella Elisabeth, reazionaria antisemita della peggior specie. Tuttavia, e ci teniamo al minimo, c'era stato Heidegger nel frattempo. E la famosa renaissance nicciana in terra francese era appena iniziata con la lettura di Deleuze, cui seguirà una tale mole di letture da fare di Nietzsche il filosofo con la più ricca bibliografia del '900, almeno alla pari di Hegel e Marx.
Qual è a ogni modo il centro dell'analisi di Danto? Non ci sono sorprese al riguardo: il nichilismo. Un nichilismo scettico, ossia di matrice ontologica. Almeno sino alla rivelazione della "volontà di potenza". Lo studio col passare delle pagine mostra una robustezza inaspettata e fonda certo una lettura probante, nonostante alcune derive ermeneutiche che con l'argomento appaiono diciamo "strutturali"...
Detto questo, Danto, su Nietzsche è tornato nel corso della sua vita, scorgendo a suo avviso significative analogie con Warhol, tali da fargli parlare del primo come di un filosofo pop. Ciò secondo lui è confermato dall'uso massiccio e molto libero (troppo?) che lettori anche molto approssimativi hanno fatto della sua opera – e direi della sua figura – favoriti dalla natura a-sistematica dei suoi testi (la loro polemica teatralità, l'insorgenza di dissonanze e giravolte improvvise,la frammentarietà contraddittoria, il ricorso al paradosso etc).
L'analogia di cui sopra a mio parere omette di ricordare un elemento fondamentale. Il pop di Warhol s'inscrive in un'immersione totale nel mare della contemporaneità, che egli si limita a forzare all'ennesima potenza della replica, in uno spirito di autocelebrazione cui nessuna "ironia" può cambiare il portato sostanziale, laddove Nietzsche resta una grande pensatore tragico. Il conflitto Warhol non sa nemmeno dove stia di casa. Nietzsche ne muore. Scusate se è poco.
Ovvio che mezzo secolo dopo l'assunto appaia pleonastico e quasi sospetto. A dar retta all'insistenza con cui Danto sottolinea l'impeto artistoide che nell'autore dello Zarathustra sostituisce l'espressione consapevole (?) di un pensiero verrebbe quasi da credere a uno scherzo paradossale: come se il titolo Nietzsche filosofo velasse un'intenzione antifrastica. Visto che il regime interpretativo in Danto è totalizzante fino al punto di fargli credere – così parrebbe a momenti – inconsapevoli certi esiti o processi del pensiero nicciano, nulla impedisce di fare altrettanto con lui: che in fondo, l'essere una filosofia pop - Danto vede con una certa disinvoltura direi obbligata dalla sua stessa filosofia, delle analogie fra Andy Warhol e il pensatore tedesco... - potrebbe anche significare assenza di filosofia: ancora un'interpretazione. Ossia soltanto una lettura esasperata del Danto che legge Nietzsche, ancorché resa intrinsecamente possibile dall'impostazione generale del primo. Che, per tornare all'inizio, trova una giustificazione parziale nell'assumere Nietzsche a tutti gli effetti nella compagine della storia filosofica maggiore per via degli usi assai distorti che del tedesco erano stati proposti in Germania e altrove per decenni, a partire dalle sciagurate manomissioni ai suoi testi della sorella Elisabeth, reazionaria antisemita della peggior specie. Tuttavia, e ci teniamo al minimo, c'era stato Heidegger nel frattempo. E la famosa renaissance nicciana in terra francese era appena iniziata con la lettura di Deleuze, cui seguirà una tale mole di letture da fare di Nietzsche il filosofo con la più ricca bibliografia del '900, almeno alla pari di Hegel e Marx.
Qual è a ogni modo il centro dell'analisi di Danto? Non ci sono sorprese al riguardo: il nichilismo. Un nichilismo scettico, ossia di matrice ontologica. Almeno sino alla rivelazione della "volontà di potenza". Lo studio col passare delle pagine mostra una robustezza inaspettata e fonda certo una lettura probante, nonostante alcune derive ermeneutiche che con l'argomento appaiono diciamo "strutturali"...
Detto questo, Danto, su Nietzsche è tornato nel corso della sua vita, scorgendo a suo avviso significative analogie con Warhol, tali da fargli parlare del primo come di un filosofo pop. Ciò secondo lui è confermato dall'uso massiccio e molto libero (troppo?) che lettori anche molto approssimativi hanno fatto della sua opera – e direi della sua figura – favoriti dalla natura a-sistematica dei suoi testi (la loro polemica teatralità, l'insorgenza di dissonanze e giravolte improvvise,la frammentarietà contraddittoria, il ricorso al paradosso etc).
L'analogia di cui sopra a mio parere omette di ricordare un elemento fondamentale. Il pop di Warhol s'inscrive in un'immersione totale nel mare della contemporaneità, che egli si limita a forzare all'ennesima potenza della replica, in uno spirito di autocelebrazione cui nessuna "ironia" può cambiare il portato sostanziale, laddove Nietzsche resta una grande pensatore tragico. Il conflitto Warhol non sa nemmeno dove stia di casa. Nietzsche ne muore. Scusate se è poco.
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