CLASSICI
Alfredo Ronci
Un’anomalia novecentesca: “Racconti fascisti” di Marcello Gallian.
Di nuovo Marcello Gallian. E’ la seconda volta che proponiamo questo scrittore (nella prima avevamo presentato Il soldato postumo nella collana editoriale ‘900 di Marsilio editore) e un motivo c’è (ma lo avevamo accennato anche nella precedente presentazione): nei suoi confronti è stata effettuata una delle più indegne campagne di disinformazione (chiamiamola così ma secondo noi un vero e proprio delitto intellettuale) che il panorama letterario successivo al fascismo abbia mai potuto realizzare.
Questo perché? Perché Marcello Gallian fu (e lui per primo ne faceva atto) tra i primi rivoluzionari del fascismo o, come fu poi definita in seguito la sua posizione politica, quando le acque perbeniste stavano scomparendo (ma non del tutto), la battaglia antiborghese di un fascista anarchico. Già, l’intero sistema culturale dell’epoca si schierò contro le sue passate esperienze e quello che meritatamente ottenne durante il fascismo fu letteralmente coperto dal silenzio più infame.
Tanto per farsi un’idea: Bontempelli lo definì il più interessante, il più originale dei giovani scrittori italiani contemporanei, mentre Enrico Falqui lo apostrofò come il più ribelle ed emancipato dei novecentisti. Eccellente innovatore lo definirono pure Giuseppe Ungaretti, Romano Bilenchi e anche Vasco Pratolini.
Allora come mai quel silenzio (suvvia, dura tutt’ora anche se, come abbiamo già detto in precedenza, le acque perbeniste stanno man mano scomparendo). A prima vista potrebbe sembrare che l’orgoglio del sentimento antifascista abbia prevalso su tutto. Certo, ma accanto a questo motivo anche un’idea tutta italiana di saltare sul carro dei “vincitori” e fregarsene altamente di chi, per vari motivi, è rimasto indietro. Come a dire che avremmo dovuto tranciare le carni a Celine (ma in parte è stato già fatto) solo per le sue posizioni antisemite?
Racconti fascisti è del 1937. Un anno importante, anche e soprattutto per l’esordio della Ortese (che abbiamo visto nell’esordio di Angelici dolori) e per l’altro piccolo capolavoro che fu Maria Zef di Paola Drigo. Ho citato solo due opere di scrittrici (non dimenticando che nel 1938 ci fu il caso di Alba De Céspedes col suo Nessuno torna indietro) semplicemente perché in genere si tenta di spiegare un periodo o un intervallo andando a scomodare l’altra sponda (quella maschile, che avete capito).
Dunque il 1937. E il libro ottenne il meritato successo, ma già si intravedevano degli attriti tra lo scrittore e lo stesso Duce, tanto che qualche anno più tardi Gallian fu, diciamo così, interessato dalla censura fascista.
Il titolo di per sé è molto indicativo: a significare, nonostante alcuni racconti siano quasi a cavallo tra il 1921 e il 1922, l’assoluto orgoglio di chi sin dall’inizio aveva creduto nelle potenzialità del regime. Ma attenzione, e lo dico a quelli che intelligentemente eviteranno di leggere l’introduzione un po’ bislacca di Massimiliano Soldani che ha curato l’introduzione alla presente edizione, la prima parte della raccolta di fascismo vero e proprio non se ne sente proprio la presenza, a parte il racconto Manovre a Fregene, dove un temporale violento fa pensare a qualche altra operazione (E’ possibile che avvenga un uragano enorme, ma senza conseguenze?). Per il resto accurate, e a volte anche sospensive, descrizioni di vita quotidiana, ambientate sì durante il fascismo, ma non certo caratteristiche della storia.
Più avanti, nella seconda parte, s’incontra altro, come nel racconto Assedio a Roma dove Gallian scrive: Le folle rivoluzionarie si eran partite dalle Alpi per veder Roma e pagarla col sangue. “Roma è mia”. Così tra patimenti di ogni genere, tra la pioggia e la fame, Roma era stretta d’assedio. Le armi non mancavano, poiché tanta era la disperazione e la foga dei propositi, che tutto, cammin facendo, si tramutava in arma micidiale.
Oppure… La rivoluzione ci ha insegnato che bisogna resistere sino al giorno in cui è possibile ancora resistere, ma che tutto può crollare e questo attaccamento alla vita facile, leggera, tutta pronta, è un non senso, se non addirittura un delitto.
Detto così, ma non abbiamo nessun motivo per credere il contrario, sembra quasi un avvertimento a chi è responsabile della vita e della società in generale, che qualcosa non va e quindi che qualcosa dovrebbe trasformarsi, per rispettare la primigenia rivoluzione.
Ma a noi Gallian piace per il rispetto che dà alla letteratura: L’incendio inviava crepuscoli di luce ancora, tarda sopra appezzamenti di case. Di quando in quando passava qualcuno, con un pezzo di pietra in mano. Alcuni scolari potevano contare i mattoni del grattacielo ad uno ad uno. Sopra una figura di praticello stava un barlume di cane.
Tanto per dire.
L’edizione da noi considerata è:
Marcello Gallian
Racconti fascisti
Altaforte Edizioni
Questo perché? Perché Marcello Gallian fu (e lui per primo ne faceva atto) tra i primi rivoluzionari del fascismo o, come fu poi definita in seguito la sua posizione politica, quando le acque perbeniste stavano scomparendo (ma non del tutto), la battaglia antiborghese di un fascista anarchico. Già, l’intero sistema culturale dell’epoca si schierò contro le sue passate esperienze e quello che meritatamente ottenne durante il fascismo fu letteralmente coperto dal silenzio più infame.
Tanto per farsi un’idea: Bontempelli lo definì il più interessante, il più originale dei giovani scrittori italiani contemporanei, mentre Enrico Falqui lo apostrofò come il più ribelle ed emancipato dei novecentisti. Eccellente innovatore lo definirono pure Giuseppe Ungaretti, Romano Bilenchi e anche Vasco Pratolini.
Allora come mai quel silenzio (suvvia, dura tutt’ora anche se, come abbiamo già detto in precedenza, le acque perbeniste stanno man mano scomparendo). A prima vista potrebbe sembrare che l’orgoglio del sentimento antifascista abbia prevalso su tutto. Certo, ma accanto a questo motivo anche un’idea tutta italiana di saltare sul carro dei “vincitori” e fregarsene altamente di chi, per vari motivi, è rimasto indietro. Come a dire che avremmo dovuto tranciare le carni a Celine (ma in parte è stato già fatto) solo per le sue posizioni antisemite?
Racconti fascisti è del 1937. Un anno importante, anche e soprattutto per l’esordio della Ortese (che abbiamo visto nell’esordio di Angelici dolori) e per l’altro piccolo capolavoro che fu Maria Zef di Paola Drigo. Ho citato solo due opere di scrittrici (non dimenticando che nel 1938 ci fu il caso di Alba De Céspedes col suo Nessuno torna indietro) semplicemente perché in genere si tenta di spiegare un periodo o un intervallo andando a scomodare l’altra sponda (quella maschile, che avete capito).
Dunque il 1937. E il libro ottenne il meritato successo, ma già si intravedevano degli attriti tra lo scrittore e lo stesso Duce, tanto che qualche anno più tardi Gallian fu, diciamo così, interessato dalla censura fascista.
Il titolo di per sé è molto indicativo: a significare, nonostante alcuni racconti siano quasi a cavallo tra il 1921 e il 1922, l’assoluto orgoglio di chi sin dall’inizio aveva creduto nelle potenzialità del regime. Ma attenzione, e lo dico a quelli che intelligentemente eviteranno di leggere l’introduzione un po’ bislacca di Massimiliano Soldani che ha curato l’introduzione alla presente edizione, la prima parte della raccolta di fascismo vero e proprio non se ne sente proprio la presenza, a parte il racconto Manovre a Fregene, dove un temporale violento fa pensare a qualche altra operazione (E’ possibile che avvenga un uragano enorme, ma senza conseguenze?). Per il resto accurate, e a volte anche sospensive, descrizioni di vita quotidiana, ambientate sì durante il fascismo, ma non certo caratteristiche della storia.
Più avanti, nella seconda parte, s’incontra altro, come nel racconto Assedio a Roma dove Gallian scrive: Le folle rivoluzionarie si eran partite dalle Alpi per veder Roma e pagarla col sangue. “Roma è mia”. Così tra patimenti di ogni genere, tra la pioggia e la fame, Roma era stretta d’assedio. Le armi non mancavano, poiché tanta era la disperazione e la foga dei propositi, che tutto, cammin facendo, si tramutava in arma micidiale.
Oppure… La rivoluzione ci ha insegnato che bisogna resistere sino al giorno in cui è possibile ancora resistere, ma che tutto può crollare e questo attaccamento alla vita facile, leggera, tutta pronta, è un non senso, se non addirittura un delitto.
Detto così, ma non abbiamo nessun motivo per credere il contrario, sembra quasi un avvertimento a chi è responsabile della vita e della società in generale, che qualcosa non va e quindi che qualcosa dovrebbe trasformarsi, per rispettare la primigenia rivoluzione.
Ma a noi Gallian piace per il rispetto che dà alla letteratura: L’incendio inviava crepuscoli di luce ancora, tarda sopra appezzamenti di case. Di quando in quando passava qualcuno, con un pezzo di pietra in mano. Alcuni scolari potevano contare i mattoni del grattacielo ad uno ad uno. Sopra una figura di praticello stava un barlume di cane.
Tanto per dire.
L’edizione da noi considerata è:
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