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Alfredo Ronci

Un tributo: Georges Perec

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Si dice, o si è enunciato, che la necessità della descrizione, dell'enumerazione, della classificazione, del dominio sugli oggetti e gli spazi fosse imprescindibile per Perec per superare la sensazione del vuoto e sottrarsi all'oblio.

Sarà un caso, ma negli ultimi tempi, mi sono imbattuto in tre romanzi italiani che in qualche modo fanno, non so se coscientemente o meno, tesoro della lezione del grande scrittore francese.

Mi riferisco precisamente a Le pratiche del disgusto (Sellerio) di Ugo Cornia, a La mania per l'alfabeto (Sironi editore) di Marco Candida e a La pulce nel deserto (Edizioni Socrates) di Alessandra Scagliola (i primi due ampiamente trattati dal Paradiso).

Vi è nella storia di Cornia una sorta di schizofrenia e di sensazione di angoscia che lo porta a conservare della sua vita dettagli anche inutili, mentre in quella di Candida una vera e propria mania dell'elencazione che sfiora l'ossessione matematica (sempre che i matematici mi permettano un'affermazione del genere). Nel romanzo della Scagliola vi è addirittura una rappresentazione condominiale (il critico La Porta, non sappiamo mai se volutamente o no, sfornando indicibili classificazioni, ha parlato di una nuova tendenza della narrativa italiana: il romanzo condominiale – sic!) che ricorda di getto il Perec di La vita istruzioni per l'uso.

E' anche facile però che, in questa sorta di tassonomia di settore, che è la nostra, il riferimento dei giovani al maestro sia del tutto involontaria e non cercata. Non mi meraviglierei se i tre in questione non avessero mai letto nulla dello scrittore francese. Ma esistono delle convergenze, delle affinità elettive che, per chi fa il nostro mestiere, possono improvvisamente palesarsi e rendere la letteratura, se non lo fosse già, affascinante e magmatica.

Ma Perec non fu solo un ammaliante compilatore delle ossessioni dei nostri giorni, fu anche un lucido cantore delle tragedie del tempo. Ne approfitto delle corrispondenze che mi hanno suggerito la lettura dei romanzi italiani, per parlare del suo ultimo libro apparso nelle librerie italiane (ma risalente ormai a due anni fa).

Il volume racchiude una perla, o forse lo stesso è di materia perlacea. Credo che qualcuno s'imbarazzerà se accosto l'autore alla regina del crimine Agatha Christie: mi preme farlo per una questione di "ossatura", di valenza dell'impianto. Tutte parole apparentemente esagerate se poi ci si incanta di fronte al tesoro trovato: un libro sul dolore sconfinato e un'analisi feroce sul concentrazionismo delle dittature. Ma quando c'è Perec di mezzo l'approdo ad altri lidi è inevitabile, perché la sua scrittura è fonte di improvvise ramificazioni: qui gioca con l'arte del depistaggio (eccola la Christie!), come se volesse burlarci e poi calarci di botto nel dramma della rivelazione... perché alla fine la rivelazione c'è, quasi insopportabile.

Il romanzo è binario: da una parte l'infanzia che fatica a riemergere ma che poi detta i suoi principi basilari ...non scrivo per dire che non dirò niente, non scrivo per dire che non ho niente da dire. Scrivo: scrivo perché abbiamo vissuto insieme, perché sono stato uno di loro, ombra tra le ombre, ombra tra le loro ombre, corpo vicino ai loro corpi: scrivo perché hanno lasciato in me un'impronta indelebile e la scrittura ne è la traccia: il loro ricordo muore nella scrittura; la scrittura è il ricordo della loro morte e l'affermazione della mia vita (pag.49).

Seguiamolo allora in questo excursus doloroso e commovente: dalla morte del padre sul fronte nel 1940 all'internamento della madre nel campo di concentramento di Auschwitz da dove non uscirà più. Dall'interessamento degli zii, alla vita nei collegi: ma quasi tutto come se fosse flash fotografico e nella luce improvvisa del lampo una lunga serie di incertezze, di vuoti di memoria, persino di giochi semantici, per rendere la materia confusa, ma vibrante, fino all'uso della metafora (e qui Proust di colpo si manifesta). Ad un certo punto Perec crede di ricordare un incidente che gli costò la frattura della scapola. Scopre invece, attraverso confronti, di essere stato testimone dell'accaduto, non vittima: queste terapie immaginarie, più tutelari che costrittive, questi punti di sospensione, designavano sofferenze dicibili e avevano il compito di giustificare delle coccole le cui vere ragioni erano solo sussurrate. Comunque sia, e per quanto ricordi, la parola «scapola» e la sua compagna «clavicola» mi sono sempre state familiari. (pag.93).

Dunque, e per fortuna diremmo noi, la sofferenza e i ricordi "traballanti" diventano comunque "dicibili" e anche "scritti" perché l'altra parallela del binario, esattamente il W del titolo, diventa una storia scritta molti anni prima, quasi come "divertissement", come svago, ma che rivelerà l'atroce inganno.

Ha detto bene Domenico Scarpa in una recensione del libro: "nei capitoli olimpici di W , Perec costruisce un lager di fantasia". Siamo di fronte ad una costruzione distopica di un universo parallelo, dove la base del vivere è lo sport, dove se non si vince nelle innumerevoli manifestazioni sportive non si è, anzi si rischia la vita e dove anche l'evoluzione della specie sta nelle mani dei più veloci e dei più atletici.

Ma è con la grazia che si racconta la "fantasia": il modo in cui vengono fatte "accoppiare" le donne, in questo mondo chiamato Fortezza, è assolutamente esilarante e Perec è comico di prima grandezza.

E' solo un paravento, nemmeno di stoffa pesante come da vecchio palcoscenico, anzi "difetta in trasparenza". Dietro c'è l'immane tragedia del novecento: Colui che un giorno entrerà nella Fortezza, dapprima si troverà di fronte a una successione di stanze vuote, lunghe e grigie. Il rumore dei suoi passi che risuonano sotto le alte volte di cemento gli farà paura, ma dovrà camminare a lungo prima di scoprire, nascoste nelle profondità del sottosuolo, le vestigia di un mondo che crederà di avere dimenticato: mucchi di denti d'oro, fedi nuziali, occhiali, migliaia e migliaia di vestiti impilati, schedari polverosi, stock di sapone di cattiva qualità...(pag.185).

Il libro ha una traduzione magistrale ma è firmata, chissà perché, con uno pseudonimo: Henri Cinoc, nome di un personaggio in La vita istruzioni per l'uso. L'ennesimo tentativo di depistaggio? Vogliamo crederlo solo per rendere più sopportabile una storia tutto sommato agghiacciante, ma indispensabile.



Georges Perec

W o il ricordo d'infanzia

Einaudi

Pag.187 Euro 12,00









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