ATTUALITA'
Marco Lanzòl
Una gaia gioventù
Chissà come la piglierebbe - se sapesse - l'ex cardinale di Napoli, Giordano. Sì, quello che ha dichiarato, a proposito del Gay Pride del 29 giugno '96: "Non si può chiedere rispetto al prossimo quando per primi non si ha cura delle altrui convinzioni e della moralità pubblica, esibendosi in scene che hanno turbato o scandalizzato moltissimi napoletani. Penso ai bambini". (2)
Dico, chissà come la piglierebbe, se venisse a sapere che ci sono libri di narrativa, pensati per i bambini, in cui si esibiscono visibili e, in fin dei conti, positivi personaggi omosessuali. Testi del genere sono pochissimi, lungi dall' essere perfetti, ma esistono. Questi sono i romanzetti che ho trovato io. Ne sapesse qualcuno altri, pregasi comunicare alla Redazione via e-mail - d'altronde, questo è il tempo delle e-mail.
Tàca-banda!, con Camilla e i suoi amici, (3) che, di tutti, è il meno recente, essendo stato redatto nei primi anni '70, anche se in Italia è apparso nel 1992: in copertina si ricorda che è destinato a ragazzi con più di undici anni.
Ordunque: Camilla, sedicenne, è figlia di una psicoanalista, o qualcosa del genere. Difatti ogni tanto spunta un personaggio, legato alla madre, la cui principale occupazione è quella di stendere la gente su d' un lettino. La ragazza, nemmeno a farlo apposta, ha molti amici, tutti più o meno presentati come "bizzarri", "pazzi" (parola frequente), "stravaganti". Tra questi l' amico del cuore è Jeff, il quale ha una vera passione per il sapere privo di scopo, tanto da andare in giro a chiedere: "Lo sapevi che in questo paese (gli USA, nota mia) ogni giorno nascono quindicimila cani randagi?" (p. 8), o "Sai qual' è il più lungo titolo di una canzone che sia mai stato composto?" (p. 42). Ma "qualcosa di strano stava per accadere" (incisi del genere, in opere come questa, sono frequentissimi): a un' audizione per un musical da recitare nel teatro della scuola, Jeff e Camilla incontrano Phil, un diciottenne che ha una grande passione per le canzoni di Judy Garland (p. 84) - un indizio da niente, tenuto conto che c'è qualcuno che sostiene che la rivolta di Stonewall fu alimentata dal dolore per la morte della diva. A ogni modo, per farla complicata, Camilla si innamora di Phil, ma questi gli preferisce un bel paio di calzoni, quelli di Jeff. A una festa (p. 131/2) beccano i due maschi in una fratta, e succede il pandemonio, cazzotti insulti et similia. Camilla finalmente si rende conto che "il mio migliore amico m' ha fregato il ragazzo" (p. 137), e povera stella, non ci rimane proprio bene. Fa una partaccia a Jeff, che comunque c' ha altri cazzi a che pensare, e per conforto fruga nei libri, per apprendere di più, si presume, sull' "incredibile" comportamento dei due disgraziati. I quali, per l' intanto, visto che la notizia si è diffusa, vengono presi per il culo e sottoposti ad angherie spesso e volentieri.
Tuttavia la nostra protagonista, iellata com'è, incappa in uno dei libri più imbecilli mai scritti sull' argomento, il famigerato Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso, e non avete mai osato chiedere. Fortunatamente la madre le rivela che il testo in questione è una pisellata (p. 150), ma nel frattempo il problema si risolve: Phil lascia Jeff, rimorchia una pischella, ma, siccome la Provvidenza c'è, lei e lui, ubriaco e si presume sconvolto (vedi sottofinale di Tè e simpatia), vanno a sbattere contro un palo e ci rimangono. E qui vanno citate le auree parole, a commento del fatto, pronunciate dalla madre di Camilla: "I disinformati e gli ignoranti pensano che sia (l' omosessualità, nota mia) un male, o persino una malattia (...)(ma) l' omosessualità e l' alcoolismo sono due cose di cui la professione medica e quella psichiatrica sanno molto poco" (p. 183).
E cosa dovrebbero saperne, se solo "i disinformati e gli ignoranti" pensano che essere froci sia un malanno? Bah.
Ma il bello deve ancora venire (sempre p. 183): "Pensate che siamo stati noi ad uccidere Phil?" "Il vostro comportamento è stato terribile, disgustoso. Ma non ha fatto in modo che Jeff cadesse nel baratro. Phil, evidentemente, era meno equilibrato. A meno che fosse riuscito a mettersi in pace con sé stesso (...) prima o poi sarebbe accaduto comunque. Con questo però non scuso nessuno", e meno male.
Insomma, solita tarantella: si sa, l' amore è cieco, e noi siamo così tolleranti, e il mondo è pieno di brutti e cattivi che dànno fastidio ai gay, però, certo, se i bucaioli ci aiutassero, togliendosi definitivamente di mezzo ...
E tuttavia: il libro è scritto benino, Phil e Jeff non incarnano stereotipi, trasporti per la Garland a parte, e il violento rifiuto che devono fronteggiare non è invenzione dell' Autrice, la quale anzi non ci va giù nemmeno dura, pensando ai tempi e ai luoghi in cui il romanzo è ambientato. Insomma, il lavoro della Scoppettone non è affatto disprezzabile.
Decisamente migliore è, però, Pensando ad Annie, (4) di Nancy Garden, uscito negli USA nel 1982, da noi nel '96. Protagoniste, due ragazzine sui diciassette, Liza e Annie, appunto, che delle due è 'a sognatrice e c' ha er temperamento artistico, tanto che si conoscono inscenando una specie di combattimento di Tancredi e Clorinda nelle sale d' un museo di New York, città dove abitano. Prendono dunque a incontrarsi, anche se fanno parte di due ambienti sociali completamente diversi: Liza della borghesia medioalta - frequenta infatti una scuola privata, peraltro sull' orlo della chiusura per mancanza di fondi - e Annie di quella piccola piccola: il padre è tassista, e così tipico come italo-americano da poter aspirare, come il Grana Padano o il Corvo di Salaparuta, al marchio DOC.
Così: dopo varie peripezie, e qualche tira e molla, finalmente a p. 92 si ritrovano abbracciate e pomicione su un letto, sentendosi "felici. Ma anche spaventate, però". Piccole mie, quanta ragione c'avete! Anche perché, come tutti i marmocchietti zozzoni, non hanno nessun posto dove star sole a sfogarsi (p. 104). E fanno il passo più lungo della gamba. Approfittando dell' incarico, dar da mangiare ai gatti, dato a Liza da due sue insegnanti che dividono lo stesso appartamento, miss Stevenson e miss Widmer, le piccole si fanno beccare mezze ignude da una vicina di casa che, combinazione, è un pezzo grosso della scuola di Liza. A peggiorare le cose, si scopre che le due insegnanti sono lesbiche pure loro: insomma, grande macello, infilata di luoghi comuni (visti però per quelle cazzate che sono) su omosessualità e amori saffici , crisi familiari, scandalo, e brutta separazione delle due ragazze, una, come tuttavia desiderava, accettata al MIT, e l' altra finita in California. Ma amor omnia vincit, e il libro si chiude con Liza che telefona ad Annie. Chi ci rimette le penne è la coppia saffica delle insegnanti, cacciate via senza nemmeno gli otto giorni, ma che si consolano pensando che, dopo tutto quello che hanno passato in tempi certo meno facili di questi, non sarà un licenziamento a metterle in crisi.
Il risvolto di copertina vanta questo libro come pietra di scandalo: "Negli Stati Uniti ha fatto scoppiare un vero caso: escluso dalle biblioteche scolastiche perché "scandaloso", vi è stato riammesso dopo un' azione legale". C'è da crederci: è raro trovare, anche in opere per adulti, tanta partecipata simpatia per le donzelle che si riconoscono amanti. E soprattutto, sono pochi i libri dove tale moto dell' animo si sente così giustificato. Sì, d' accordo, non c'è che Iddio solo senza difetti, e volendo spulciare, anche qui il personaggio principale, Annie, è sostanzialmente un' isolata, una messa al bando, una dropout, perché straniera (è originaria della California), perché senza amici, e anche perché, sebbene non lo riveli che a Liza, legata a sentimenti non comuni. E però è lampante che la sua alterità non è qualcosa da capire, da tollerare o peggio da biasimare, ma è una delle qualità che fanno il mondo bello perché vario. Difficile sarebbe fare di più.
Ma c'è chi, a modico giudizio del sottoscritto, è riuscito a fare di più, ovvero coniugare l' ideologia (se così si può dire) del riscatto tranquillo con una scrittura ariosa, elegantissima e divertente. Sto parlando di Lettere dal mare, (5) libro comparso in Francia nel 1991, e da noi due anni dopo. Storia: un ragazzino undicenne va al mare con i suoi, padre, madre e due fratelli più piccoli, Sylvie e Antoine. Scrive delle lettere al fratello più grande, Christophe, in vacanza in Italia, del quale la madre non vuol più sentire neanche il nome. Gli racconta dei loro guai fantozziani. Per esempio: solo un muro, perdipiù pericolante, li divide da una spiaggia che l' alta marea rende tanto sottile, da costringere i bagnanti a salire sopra il costruito. La famiglia tenta di cacciarli, prima con le buone, poi tirandogli zolle di terra: e i malcreati dall' altra parte rispondono gettando al di là del muro immondizia e lorderie varie.
Ancora: padre e figlio escono in mare con una barchetta, ma l' uomo s' incasina talmente che, se non arrivasse il guardacoste, i due farebbero una bruttissima fine. E al ragazzino non resta che commentare, come sempre fa quando succede un patatrac: "Ah, se ci fosse Christophe".
Non solo: il muro crolla, ci sono dei feriti, e il padre e la madre del piccolo narratore si fanno pigliare un coccolone, al pensiero di quanto dovranno pagare per i risarcimenti. Però, mandato dalla madre a prendere bende e garze, il nostro eroe incontra Sophie, e se ne innamora, perché non tutti i guai vengono per nuocere. Anzi, c'è un' altra buona notizia: il fratello ritorna. Ma non da solo. Verrà col suo amico Florian, o non verrà affatto. Crisi di nervi della madre (p. 70): "E' un ricatto! Ecco un bel sistema di trattare la propria famiglia". Ma il ragazzino si ribella: "Lui ha comunque il diritto di avere gli amici che vuole!"
"Non è un amico, è un mostro!", borbotta la madre, e aggiunge: "Ha fatto delle cose che ... non te lo posso dire. Colpe gravi, estremamente gravi". Ma il piccolo è piccolo, non è stupido - e pensa: "Secondo me la colpa grave è quando quell' idiota di Sylvie è andata a raccontarle che vi aveva visti, tu e Florian, che vi baciavate sulla bocca. Non mi sembra che quella sia una colpa grave. Anzi, non trovo che sia nemmeno una colpa. Oh insomma. Se non si ha più diritto di baciare gli amici dove si vuole, beh, tanto vale andarsene subito in gattabuia".
Nonostante tutto, i due vengono a visitarli, e il Lettore lo apprende dall' ultima lettera, che, con un artificio narrativo di ottima fattura, risulta scritta appena dopo che se ne sono andati. E che le cose sono state rimesse a posto: il muro viene rialzato, si pianta un roveto sulla spiaggia, in modo da tener lontani i villeggianti, si ripulisce il giardino, Sophie torna dal nostro eroe, anzi lo invita quella sera su d' un pontile, per recitargli le sue poesie. Lieto fine, certo: al quale siamo pervenuti, presi per mano dall'Autore, come accompagnati da un moderno Cherubino. Happy end che definitivamente asserisce l'eterosessualità del fratellino protagonista - immaginiamo che l'Autore si rivolga al (più o meno) novanta percento ch'è la stimata quota d'infanzia etero, e voglia avere mercato e rassicurare i genitori che "certe cose" accadono quando ormai ragazzini non si è più, si è giovani uomini. Ma il fatto che nella (abbastanza numerosa) famiglia della quale si narrano i giorni vi sia un ragazzino di undici anni che osservi benignamente il fratello più grande e frocio, offre ai lettori l'occasione di chiedersi cosa accadeva quando Christophe aveva l'età del suo minore. Non solo: al piccolo protagonista i versi dell'amica dispiacciono. Semplice rozzezza maschile (e maschilista)? O s'insinua il dubbio che non siano solo i poemetti a esser sgraditi?
Com'è noto, tuttavia, la Storia e le storie, vichianamente, hanno corsi e ricorsi - e ad ogni climax segue la necessaria detumescenza. Vengo dunque a trattare di Joe e basta, (6) non esattamente libro per lo intrattenimento de' li piccerìlli, ma quasi. Non ricordo chi - lo giuro sul canguro! - ma ricordo che un recensore, scrivendo de L'attimo fuggente, ringraziava gli sceneggiatori per non averci afflitto con una storietta frocia del protagonista. Inutile dire che uguale riguardo non ci era stato usato per una storietta eteròzza di uno dei giovincelli, ma non è questo il punto: è che l'avvertenza del recensore l'ha seguita perfettamente l'Autore di questo libricìno. E, tenendo conto che in esso si dice delle opere di senno e non di mano di un fanciullo gay, si potrebbe gridare al miracolo. Cioè: raccontare la storia di una bucaiola dodicenne che tutto fa tranne l'unica cosa finora riconosciuta come discrimine tra gay e eteròti, è la quadratura del cerchio. Si dà un libro su un'identità sessuale (!!!), e poi manca ciò su cui quella si fonda (mai sentito dire un eterosessuale: "trivèllo il figàme da mane a sera, quindi non so se sono etero"?). Non si pretende che il sesso sia l'unico criterio di definizione, siamo d'accordo. Né si richiedevano le orge (co' 'sti chiàr di luna, poi...) tipo Kids: ma una frase, un rigo appena che trasportasse i Lettori nel magico mondo de' sensi (e dei cinque-a-uno illustrati), si poteva fornire.
Macché! Toni, temi, timbri, volumi, visione del mondo e dell'infanzia implicite nella narrazione paiono quelli - gli estremi si toccano - delle ACLI ("sian forti i figli, caste le figlie"), per il misto di pudicoglioneria, leziosaggine, buonismo, ipocrisia vittoriana nel dire solo ciò che è socialmente accettato. Sembra (con i dovuti e superficiali aggiustamenti e adattamenti che il soggetto "spregiudicato" richiede) di essere tornati all'ideologia dei libri di educastrazione sessuale descritti da Duvert ne Il buon sesso illustrato. O ai rossori delle zitellone gozzaniane, che se stavano troppo in soffitta con un uomo, chiedevano di scendere, altrimenti tutti avrebbero pensato che "facevan cose poco belle", e sedevano con le mani in grembo, come fa pari pari il Nostro, (p.19) nemmeno fosse il protagonista de La testa fra le nuvole della Tamaro - libro che descrive l'adolescente letterario più broccolo dell' Orbe dai tempi del giovane Holden.
Di tutto quel che c'è, invece, non manca nulla: purtroppo. L'alito del politically correct insomma il Lettore se lo sente sul collo dalla prima pagina all'ultima, e non è un bel trovare: il ragazzino da piccolo gioca con le bambole e col "Dolce Forno", e gli piace travestirsi; indi sdegna lo sport, guarda "vecchi film", e da grande vorrà fare il cuoco (!) lo scrittore (!!) lo stilista (!!!). Il ragazzo che desidera è bello, biondo e di gentile aspetto - e ce n'è pronto casomai un altro in retroguardia, lui pure appetibile come il cigno de còccio che fa da bomboniera alle cresime. Famiglia - compresi nonni sonàti -, insegnanti e vicini di casa sono tutti dalla parte sua, pure troppo (cfr. In&Out), tranne una famiglia di sfigatoni irriducibili: il che come quadro potrebbe anche essere veritiero, e raccontare l'autentica esperienza d'un ragazzino gay in una scuola media americana (cfr. Funny gay males). Magari le cose vanno (o sono andate) proprio così. Il vero non ha l'obbligo di essere verosimile, perché è già concreto di suo. Ma, come c'è un milione di modi per essere gay, ci sono milioni di modi per raccontarlo: e per mettere in scena quella cosa unica per ognuna e uguale per tutte le bucaiole, ma non identica, che fa di un gay proprio un gay, e non un qualcun altro - per dire: l'italianità che sentiamo in Manzoni, in Gadda, in Arbasino, non è la stessa, ma loro e altri hanno raccontato "il proprio" (direbbe Aristotele) degli italiani. Se manca questo, la verità del fatto (essere gay, o italiani) si sclerotizza nello stereotipo - nel quale la ravvisiamo malgrado il testo, e non attraverso (lo specchio) di esso - e la lingua si deprime e la intralcia, non si esalta e la illustra. E se è vero che la parola "scandalo" originariamente indicava una trappola, un impedimento, un intralcio appunto, allora questo è davvero un libro "scandaloso" - e chi imbroglia i piccoli fa una brutta fine - con le sue ansie di non sgarrare dicendo qualcosa di inopportuno, e le sue smorfiette linguistiche da attivista gay quarantenne con l'alopecia, messe in corpo e in bocca a un culattoncìno di primo pelo e coetanei sciroppàti.
Oltre a un episodio che ha casuali coincidenze col "teta veleta" pasoliniano, (p. 137) una sola cosa salva questo libro dal disastro, una qualità affine a quel che scriveva Mario Mieli in Elementi di critica omosessuale, (7) e che riassumo a memoria. Affermava lo studioso la sua contentezza di essere una "checca", un omosessuale visibile e identificabile, perché ciò lo aveva protetto dalla tentazione di "velarsi" (e lo diceva riferendosi a tempi in cui le recchie eran figure di quell' orrore che oggi qualifica e affligge i pedofili). Ora, essere "checche" è divenuto imbarazzante per i gay in blazer blu, che tanto si sforzano per essere non uguali ma identici agli etero. Allora riconoscere che qualcuno è libero anche di rivestire lo stereotipo, e ammettere che lo possa fare da giovanissimo, significa rendersi conto che l'omosessualità è un mare grande abbastanza per tutti quelli che ci stanno, e che ogni frocio, fosse pure uno che in abito da commendatore perfino ci dorme, come le care salme prima di venir incassate, ha da ammettere che le tardone sui tacchi a spillo, le fatalone, e tutti gli impresentabili al club della Rispettabilità fanno parte della famiglia. Compresi i dodicenni così tonti da conoscere i Red Hot Chili Pepper tramite la zia, e da concludere che per slinguarsi (un bacio, cos'è un bacio?) bisogna aspettare l'età della pensione. Oppure gli sventatelli che si raccontano (con quanta più verosimiglianza decida il Lettore) nell'ormai classico Paterlini. (8)
Che dire oltre? Sicuramente, e nei loro pregi e limiti, libri di questo tipo aiutano a scandalizzarsi molto meno quando passano i cortei omosex, proprio perché fanno riflettere, sin da piccini, che, là dove non c'è costrizione o violenza, la pubblica moralità farebbe meglio a starsene a casa. E rappresentano un grandissimo passo avanti rispetto al silenzio, o all' obiezione violenta, del passato. In essi si parla dei gay come persone omosessuali, e si ammette, sia pure con qualche fatica, e solo sopra il minimo di legge (tutti i personaggi sono almeno sedicenni), che non si comincia a esser froci (forse, credo, ritengo) dopo il novantaseiesimo compleanno. Ovvero, che, almeno in letteratura, pure i giovanissimi diversi hanno diritto di cittadinanza. In attesa che l' abbiano nella vita. Perché loro non aspettano:" Alcuni di quei ragazzi avevano già delle esperienze sessuali; li sentivo parlottare fra loro anche nei corridoi della scuola (elementare, nota mia) o in giardino. Andavano con uomini in cambio di qualche piotta, di poche monete da cento lire". Così ci racconta Laura Migliorini, a p. 6 del suo libro Cancelati dalla dotrina (sic!), una raccolta di temi svolti dai bambini d' una borgata romana. (9) Che non ebbe la risonanza di cui Io speriamo che me la cavo s' avvantaggiò tanto dopo. Va' a capi' perché.
1)Ripropongo, accresciuto, un mio articolo apparso in Babilonia n. 149 (novembre 1996) col titolo Piccoli gay crescono, perché serva da introduzione alla "sinagoga" seguente;
2)Ne la Repubblica del primo luglio 1996;
3)Mondadori, Milano 1994. Autrice, Sandra Scoppettone (il nome è italiano, ma lei è americana - e la cita pure Angelo Morino, nel suo Viaggio con Junior (Sellerio));
4)Mondadori, Milano 1996;
5)di Chris Donner, per Einaudi (Torino 1993);
6)scritto da James Howe, e pubblicato in Italia da Playground (Roma 2006);
7)Einaudi, Torino 1977;
8)Ragazzi che amano ragazzi, Feltrinelli, Milano 1998 (3);
9)Bompiani, Milano 1975.
Dico, chissà come la piglierebbe, se venisse a sapere che ci sono libri di narrativa, pensati per i bambini, in cui si esibiscono visibili e, in fin dei conti, positivi personaggi omosessuali. Testi del genere sono pochissimi, lungi dall' essere perfetti, ma esistono. Questi sono i romanzetti che ho trovato io. Ne sapesse qualcuno altri, pregasi comunicare alla Redazione via e-mail - d'altronde, questo è il tempo delle e-mail.
Tàca-banda!, con Camilla e i suoi amici, (3) che, di tutti, è il meno recente, essendo stato redatto nei primi anni '70, anche se in Italia è apparso nel 1992: in copertina si ricorda che è destinato a ragazzi con più di undici anni.
Ordunque: Camilla, sedicenne, è figlia di una psicoanalista, o qualcosa del genere. Difatti ogni tanto spunta un personaggio, legato alla madre, la cui principale occupazione è quella di stendere la gente su d' un lettino. La ragazza, nemmeno a farlo apposta, ha molti amici, tutti più o meno presentati come "bizzarri", "pazzi" (parola frequente), "stravaganti". Tra questi l' amico del cuore è Jeff, il quale ha una vera passione per il sapere privo di scopo, tanto da andare in giro a chiedere: "Lo sapevi che in questo paese (gli USA, nota mia) ogni giorno nascono quindicimila cani randagi?" (p. 8), o "Sai qual' è il più lungo titolo di una canzone che sia mai stato composto?" (p. 42). Ma "qualcosa di strano stava per accadere" (incisi del genere, in opere come questa, sono frequentissimi): a un' audizione per un musical da recitare nel teatro della scuola, Jeff e Camilla incontrano Phil, un diciottenne che ha una grande passione per le canzoni di Judy Garland (p. 84) - un indizio da niente, tenuto conto che c'è qualcuno che sostiene che la rivolta di Stonewall fu alimentata dal dolore per la morte della diva. A ogni modo, per farla complicata, Camilla si innamora di Phil, ma questi gli preferisce un bel paio di calzoni, quelli di Jeff. A una festa (p. 131/2) beccano i due maschi in una fratta, e succede il pandemonio, cazzotti insulti et similia. Camilla finalmente si rende conto che "il mio migliore amico m' ha fregato il ragazzo" (p. 137), e povera stella, non ci rimane proprio bene. Fa una partaccia a Jeff, che comunque c' ha altri cazzi a che pensare, e per conforto fruga nei libri, per apprendere di più, si presume, sull' "incredibile" comportamento dei due disgraziati. I quali, per l' intanto, visto che la notizia si è diffusa, vengono presi per il culo e sottoposti ad angherie spesso e volentieri.
Tuttavia la nostra protagonista, iellata com'è, incappa in uno dei libri più imbecilli mai scritti sull' argomento, il famigerato Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso, e non avete mai osato chiedere. Fortunatamente la madre le rivela che il testo in questione è una pisellata (p. 150), ma nel frattempo il problema si risolve: Phil lascia Jeff, rimorchia una pischella, ma, siccome la Provvidenza c'è, lei e lui, ubriaco e si presume sconvolto (vedi sottofinale di Tè e simpatia), vanno a sbattere contro un palo e ci rimangono. E qui vanno citate le auree parole, a commento del fatto, pronunciate dalla madre di Camilla: "I disinformati e gli ignoranti pensano che sia (l' omosessualità, nota mia) un male, o persino una malattia (...)(ma) l' omosessualità e l' alcoolismo sono due cose di cui la professione medica e quella psichiatrica sanno molto poco" (p. 183).
E cosa dovrebbero saperne, se solo "i disinformati e gli ignoranti" pensano che essere froci sia un malanno? Bah.
Ma il bello deve ancora venire (sempre p. 183): "Pensate che siamo stati noi ad uccidere Phil?" "Il vostro comportamento è stato terribile, disgustoso. Ma non ha fatto in modo che Jeff cadesse nel baratro. Phil, evidentemente, era meno equilibrato. A meno che fosse riuscito a mettersi in pace con sé stesso (...) prima o poi sarebbe accaduto comunque. Con questo però non scuso nessuno", e meno male.
Insomma, solita tarantella: si sa, l' amore è cieco, e noi siamo così tolleranti, e il mondo è pieno di brutti e cattivi che dànno fastidio ai gay, però, certo, se i bucaioli ci aiutassero, togliendosi definitivamente di mezzo ...
E tuttavia: il libro è scritto benino, Phil e Jeff non incarnano stereotipi, trasporti per la Garland a parte, e il violento rifiuto che devono fronteggiare non è invenzione dell' Autrice, la quale anzi non ci va giù nemmeno dura, pensando ai tempi e ai luoghi in cui il romanzo è ambientato. Insomma, il lavoro della Scoppettone non è affatto disprezzabile.
Decisamente migliore è, però, Pensando ad Annie, (4) di Nancy Garden, uscito negli USA nel 1982, da noi nel '96. Protagoniste, due ragazzine sui diciassette, Liza e Annie, appunto, che delle due è 'a sognatrice e c' ha er temperamento artistico, tanto che si conoscono inscenando una specie di combattimento di Tancredi e Clorinda nelle sale d' un museo di New York, città dove abitano. Prendono dunque a incontrarsi, anche se fanno parte di due ambienti sociali completamente diversi: Liza della borghesia medioalta - frequenta infatti una scuola privata, peraltro sull' orlo della chiusura per mancanza di fondi - e Annie di quella piccola piccola: il padre è tassista, e così tipico come italo-americano da poter aspirare, come il Grana Padano o il Corvo di Salaparuta, al marchio DOC.
Così: dopo varie peripezie, e qualche tira e molla, finalmente a p. 92 si ritrovano abbracciate e pomicione su un letto, sentendosi "felici. Ma anche spaventate, però". Piccole mie, quanta ragione c'avete! Anche perché, come tutti i marmocchietti zozzoni, non hanno nessun posto dove star sole a sfogarsi (p. 104). E fanno il passo più lungo della gamba. Approfittando dell' incarico, dar da mangiare ai gatti, dato a Liza da due sue insegnanti che dividono lo stesso appartamento, miss Stevenson e miss Widmer, le piccole si fanno beccare mezze ignude da una vicina di casa che, combinazione, è un pezzo grosso della scuola di Liza. A peggiorare le cose, si scopre che le due insegnanti sono lesbiche pure loro: insomma, grande macello, infilata di luoghi comuni (visti però per quelle cazzate che sono) su omosessualità e amori saffici , crisi familiari, scandalo, e brutta separazione delle due ragazze, una, come tuttavia desiderava, accettata al MIT, e l' altra finita in California. Ma amor omnia vincit, e il libro si chiude con Liza che telefona ad Annie. Chi ci rimette le penne è la coppia saffica delle insegnanti, cacciate via senza nemmeno gli otto giorni, ma che si consolano pensando che, dopo tutto quello che hanno passato in tempi certo meno facili di questi, non sarà un licenziamento a metterle in crisi.
Il risvolto di copertina vanta questo libro come pietra di scandalo: "Negli Stati Uniti ha fatto scoppiare un vero caso: escluso dalle biblioteche scolastiche perché "scandaloso", vi è stato riammesso dopo un' azione legale". C'è da crederci: è raro trovare, anche in opere per adulti, tanta partecipata simpatia per le donzelle che si riconoscono amanti. E soprattutto, sono pochi i libri dove tale moto dell' animo si sente così giustificato. Sì, d' accordo, non c'è che Iddio solo senza difetti, e volendo spulciare, anche qui il personaggio principale, Annie, è sostanzialmente un' isolata, una messa al bando, una dropout, perché straniera (è originaria della California), perché senza amici, e anche perché, sebbene non lo riveli che a Liza, legata a sentimenti non comuni. E però è lampante che la sua alterità non è qualcosa da capire, da tollerare o peggio da biasimare, ma è una delle qualità che fanno il mondo bello perché vario. Difficile sarebbe fare di più.
Ma c'è chi, a modico giudizio del sottoscritto, è riuscito a fare di più, ovvero coniugare l' ideologia (se così si può dire) del riscatto tranquillo con una scrittura ariosa, elegantissima e divertente. Sto parlando di Lettere dal mare, (5) libro comparso in Francia nel 1991, e da noi due anni dopo. Storia: un ragazzino undicenne va al mare con i suoi, padre, madre e due fratelli più piccoli, Sylvie e Antoine. Scrive delle lettere al fratello più grande, Christophe, in vacanza in Italia, del quale la madre non vuol più sentire neanche il nome. Gli racconta dei loro guai fantozziani. Per esempio: solo un muro, perdipiù pericolante, li divide da una spiaggia che l' alta marea rende tanto sottile, da costringere i bagnanti a salire sopra il costruito. La famiglia tenta di cacciarli, prima con le buone, poi tirandogli zolle di terra: e i malcreati dall' altra parte rispondono gettando al di là del muro immondizia e lorderie varie.
Ancora: padre e figlio escono in mare con una barchetta, ma l' uomo s' incasina talmente che, se non arrivasse il guardacoste, i due farebbero una bruttissima fine. E al ragazzino non resta che commentare, come sempre fa quando succede un patatrac: "Ah, se ci fosse Christophe".
Non solo: il muro crolla, ci sono dei feriti, e il padre e la madre del piccolo narratore si fanno pigliare un coccolone, al pensiero di quanto dovranno pagare per i risarcimenti. Però, mandato dalla madre a prendere bende e garze, il nostro eroe incontra Sophie, e se ne innamora, perché non tutti i guai vengono per nuocere. Anzi, c'è un' altra buona notizia: il fratello ritorna. Ma non da solo. Verrà col suo amico Florian, o non verrà affatto. Crisi di nervi della madre (p. 70): "E' un ricatto! Ecco un bel sistema di trattare la propria famiglia". Ma il ragazzino si ribella: "Lui ha comunque il diritto di avere gli amici che vuole!"
"Non è un amico, è un mostro!", borbotta la madre, e aggiunge: "Ha fatto delle cose che ... non te lo posso dire. Colpe gravi, estremamente gravi". Ma il piccolo è piccolo, non è stupido - e pensa: "Secondo me la colpa grave è quando quell' idiota di Sylvie è andata a raccontarle che vi aveva visti, tu e Florian, che vi baciavate sulla bocca. Non mi sembra che quella sia una colpa grave. Anzi, non trovo che sia nemmeno una colpa. Oh insomma. Se non si ha più diritto di baciare gli amici dove si vuole, beh, tanto vale andarsene subito in gattabuia".
Nonostante tutto, i due vengono a visitarli, e il Lettore lo apprende dall' ultima lettera, che, con un artificio narrativo di ottima fattura, risulta scritta appena dopo che se ne sono andati. E che le cose sono state rimesse a posto: il muro viene rialzato, si pianta un roveto sulla spiaggia, in modo da tener lontani i villeggianti, si ripulisce il giardino, Sophie torna dal nostro eroe, anzi lo invita quella sera su d' un pontile, per recitargli le sue poesie. Lieto fine, certo: al quale siamo pervenuti, presi per mano dall'Autore, come accompagnati da un moderno Cherubino. Happy end che definitivamente asserisce l'eterosessualità del fratellino protagonista - immaginiamo che l'Autore si rivolga al (più o meno) novanta percento ch'è la stimata quota d'infanzia etero, e voglia avere mercato e rassicurare i genitori che "certe cose" accadono quando ormai ragazzini non si è più, si è giovani uomini. Ma il fatto che nella (abbastanza numerosa) famiglia della quale si narrano i giorni vi sia un ragazzino di undici anni che osservi benignamente il fratello più grande e frocio, offre ai lettori l'occasione di chiedersi cosa accadeva quando Christophe aveva l'età del suo minore. Non solo: al piccolo protagonista i versi dell'amica dispiacciono. Semplice rozzezza maschile (e maschilista)? O s'insinua il dubbio che non siano solo i poemetti a esser sgraditi?
Com'è noto, tuttavia, la Storia e le storie, vichianamente, hanno corsi e ricorsi - e ad ogni climax segue la necessaria detumescenza. Vengo dunque a trattare di Joe e basta, (6) non esattamente libro per lo intrattenimento de' li piccerìlli, ma quasi. Non ricordo chi - lo giuro sul canguro! - ma ricordo che un recensore, scrivendo de L'attimo fuggente, ringraziava gli sceneggiatori per non averci afflitto con una storietta frocia del protagonista. Inutile dire che uguale riguardo non ci era stato usato per una storietta eteròzza di uno dei giovincelli, ma non è questo il punto: è che l'avvertenza del recensore l'ha seguita perfettamente l'Autore di questo libricìno. E, tenendo conto che in esso si dice delle opere di senno e non di mano di un fanciullo gay, si potrebbe gridare al miracolo. Cioè: raccontare la storia di una bucaiola dodicenne che tutto fa tranne l'unica cosa finora riconosciuta come discrimine tra gay e eteròti, è la quadratura del cerchio. Si dà un libro su un'identità sessuale (!!!), e poi manca ciò su cui quella si fonda (mai sentito dire un eterosessuale: "trivèllo il figàme da mane a sera, quindi non so se sono etero"?). Non si pretende che il sesso sia l'unico criterio di definizione, siamo d'accordo. Né si richiedevano le orge (co' 'sti chiàr di luna, poi...) tipo Kids: ma una frase, un rigo appena che trasportasse i Lettori nel magico mondo de' sensi (e dei cinque-a-uno illustrati), si poteva fornire.
Macché! Toni, temi, timbri, volumi, visione del mondo e dell'infanzia implicite nella narrazione paiono quelli - gli estremi si toccano - delle ACLI ("sian forti i figli, caste le figlie"), per il misto di pudicoglioneria, leziosaggine, buonismo, ipocrisia vittoriana nel dire solo ciò che è socialmente accettato. Sembra (con i dovuti e superficiali aggiustamenti e adattamenti che il soggetto "spregiudicato" richiede) di essere tornati all'ideologia dei libri di educastrazione sessuale descritti da Duvert ne Il buon sesso illustrato. O ai rossori delle zitellone gozzaniane, che se stavano troppo in soffitta con un uomo, chiedevano di scendere, altrimenti tutti avrebbero pensato che "facevan cose poco belle", e sedevano con le mani in grembo, come fa pari pari il Nostro, (p.19) nemmeno fosse il protagonista de La testa fra le nuvole della Tamaro - libro che descrive l'adolescente letterario più broccolo dell' Orbe dai tempi del giovane Holden.
Di tutto quel che c'è, invece, non manca nulla: purtroppo. L'alito del politically correct insomma il Lettore se lo sente sul collo dalla prima pagina all'ultima, e non è un bel trovare: il ragazzino da piccolo gioca con le bambole e col "Dolce Forno", e gli piace travestirsi; indi sdegna lo sport, guarda "vecchi film", e da grande vorrà fare il cuoco (!) lo scrittore (!!) lo stilista (!!!). Il ragazzo che desidera è bello, biondo e di gentile aspetto - e ce n'è pronto casomai un altro in retroguardia, lui pure appetibile come il cigno de còccio che fa da bomboniera alle cresime. Famiglia - compresi nonni sonàti -, insegnanti e vicini di casa sono tutti dalla parte sua, pure troppo (cfr. In&Out), tranne una famiglia di sfigatoni irriducibili: il che come quadro potrebbe anche essere veritiero, e raccontare l'autentica esperienza d'un ragazzino gay in una scuola media americana (cfr. Funny gay males). Magari le cose vanno (o sono andate) proprio così. Il vero non ha l'obbligo di essere verosimile, perché è già concreto di suo. Ma, come c'è un milione di modi per essere gay, ci sono milioni di modi per raccontarlo: e per mettere in scena quella cosa unica per ognuna e uguale per tutte le bucaiole, ma non identica, che fa di un gay proprio un gay, e non un qualcun altro - per dire: l'italianità che sentiamo in Manzoni, in Gadda, in Arbasino, non è la stessa, ma loro e altri hanno raccontato "il proprio" (direbbe Aristotele) degli italiani. Se manca questo, la verità del fatto (essere gay, o italiani) si sclerotizza nello stereotipo - nel quale la ravvisiamo malgrado il testo, e non attraverso (lo specchio) di esso - e la lingua si deprime e la intralcia, non si esalta e la illustra. E se è vero che la parola "scandalo" originariamente indicava una trappola, un impedimento, un intralcio appunto, allora questo è davvero un libro "scandaloso" - e chi imbroglia i piccoli fa una brutta fine - con le sue ansie di non sgarrare dicendo qualcosa di inopportuno, e le sue smorfiette linguistiche da attivista gay quarantenne con l'alopecia, messe in corpo e in bocca a un culattoncìno di primo pelo e coetanei sciroppàti.
Oltre a un episodio che ha casuali coincidenze col "teta veleta" pasoliniano, (p. 137) una sola cosa salva questo libro dal disastro, una qualità affine a quel che scriveva Mario Mieli in Elementi di critica omosessuale, (7) e che riassumo a memoria. Affermava lo studioso la sua contentezza di essere una "checca", un omosessuale visibile e identificabile, perché ciò lo aveva protetto dalla tentazione di "velarsi" (e lo diceva riferendosi a tempi in cui le recchie eran figure di quell' orrore che oggi qualifica e affligge i pedofili). Ora, essere "checche" è divenuto imbarazzante per i gay in blazer blu, che tanto si sforzano per essere non uguali ma identici agli etero. Allora riconoscere che qualcuno è libero anche di rivestire lo stereotipo, e ammettere che lo possa fare da giovanissimo, significa rendersi conto che l'omosessualità è un mare grande abbastanza per tutti quelli che ci stanno, e che ogni frocio, fosse pure uno che in abito da commendatore perfino ci dorme, come le care salme prima di venir incassate, ha da ammettere che le tardone sui tacchi a spillo, le fatalone, e tutti gli impresentabili al club della Rispettabilità fanno parte della famiglia. Compresi i dodicenni così tonti da conoscere i Red Hot Chili Pepper tramite la zia, e da concludere che per slinguarsi (un bacio, cos'è un bacio?) bisogna aspettare l'età della pensione. Oppure gli sventatelli che si raccontano (con quanta più verosimiglianza decida il Lettore) nell'ormai classico Paterlini. (8)
Che dire oltre? Sicuramente, e nei loro pregi e limiti, libri di questo tipo aiutano a scandalizzarsi molto meno quando passano i cortei omosex, proprio perché fanno riflettere, sin da piccini, che, là dove non c'è costrizione o violenza, la pubblica moralità farebbe meglio a starsene a casa. E rappresentano un grandissimo passo avanti rispetto al silenzio, o all' obiezione violenta, del passato. In essi si parla dei gay come persone omosessuali, e si ammette, sia pure con qualche fatica, e solo sopra il minimo di legge (tutti i personaggi sono almeno sedicenni), che non si comincia a esser froci (forse, credo, ritengo) dopo il novantaseiesimo compleanno. Ovvero, che, almeno in letteratura, pure i giovanissimi diversi hanno diritto di cittadinanza. In attesa che l' abbiano nella vita. Perché loro non aspettano:" Alcuni di quei ragazzi avevano già delle esperienze sessuali; li sentivo parlottare fra loro anche nei corridoi della scuola (elementare, nota mia) o in giardino. Andavano con uomini in cambio di qualche piotta, di poche monete da cento lire". Così ci racconta Laura Migliorini, a p. 6 del suo libro Cancelati dalla dotrina (sic!), una raccolta di temi svolti dai bambini d' una borgata romana. (9) Che non ebbe la risonanza di cui Io speriamo che me la cavo s' avvantaggiò tanto dopo. Va' a capi' perché.
1)Ripropongo, accresciuto, un mio articolo apparso in Babilonia n. 149 (novembre 1996) col titolo Piccoli gay crescono, perché serva da introduzione alla "sinagoga" seguente;
2)Ne la Repubblica del primo luglio 1996;
3)Mondadori, Milano 1994. Autrice, Sandra Scoppettone (il nome è italiano, ma lei è americana - e la cita pure Angelo Morino, nel suo Viaggio con Junior (Sellerio));
4)Mondadori, Milano 1996;
5)di Chris Donner, per Einaudi (Torino 1993);
6)scritto da James Howe, e pubblicato in Italia da Playground (Roma 2006);
7)Einaudi, Torino 1977;
8)Ragazzi che amano ragazzi, Feltrinelli, Milano 1998 (3);
9)Bompiani, Milano 1975.
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