ATTUALITA'
Marco Lanzòl
Una storia stupefacente
...chi di correnti impure intorbida
limpide acque, non troverà più da bere...
ANTIGONE
Pierluigi Diaco è un trentenne giornalista, che ha cominciato in Rai giovanissimo, vecchio appena di diciassette anni. Su un "Venerdì di Repubblica" del sei settembre 1996 trovo un "box" che lo riguarda, e ne rammenta la conduzione di Radio Due Time (dàndolo come Pier Luigi). Fa inoltre notare a Biagi che viene da una famiglia medioborghese, e certo non dà sul versante Riccetto (o, tu che sei più a giorno, Renton) né per il fisico elegantino né per il non volgare eloquio.
Devo confessare che è innanzitutto la sua prosodia a mettermi in guardia: cantilena i suoi interventi, con le "appoggiature" giuste come si fa in teatro o doppiando, e i toni gravitano verso il basso, caldi, concentrati - melensi. Quindi, trovo conferma alle mie perplessità nello scambio che vado a riportare: Biagi gli chiede, riferendosi al "gruppo di pari" frequentato dall'allora giovanissimo Diaco: "chi vi ha fatto la prima offerta (...)?" L'attuale più maturo giornalista risponde: "A Roma, nel quartiere dove abito, nel centro storico, i ragazzi della mia età, o giù di lì, abitualmente il finesettimana entrano in alcuni noti locali (...) e hanno la possibilità di essere "sedotti" da un ragazzo o da una ragazza o da un signore che magari vende proprio quelle cose lì. Io mi domando: c'è moltissima polizia in centro storico (...), com'è possibile che avvenga nel centro storico senza che nessuno dica nulla?"
Che, dopo il recente trambusto sulle tracce di uso di stupefacenti ritrovato in alcuni parlamentari, ci si meravigli della presenza di spacciatori "d'alto bordo" nell'Urbe prossima ai luoghi di potere e di rappresentanza, vuol dire che uno ingenuo c'è, o ce fa. Ma non questo interessa; piuttosto, c'illumina la struttura retorica della dichiarazione, e la fragile emotività caratteriale che v'è sottesa: Diaco sembra dire, dov'era papà, dov'era il padre, il padrone, il paranco che doveva reggermi? Dov'era il carabiniere che aveva da impedirmi di pippare, il maestro che facesse da esoscheletro alla mia psiche invertebrata? Dove il prete o il moralista a evitare la "seduzione"? (*) E cazzo, se non è dipendenza questa! E' la dipendenza che sta alla base di ogni altra assuefazione - o, almeno il suo fenomeno rivelatore nel linguaggio. Come quel cantante pop che lamentava esser stato ripetutamente violentato da ragazzino, confessando poi che ogni sabato andava ad attendere il suo "violentatore" (con tanto di cappello da cowboy e stivaloni!) alla stazione, per passare il weekend con lui. Forse pure l'artista sperava che una pattuglia della polizia li beccasse in congressu. Intanto, però, chiagnév'e fotteva.
Ebbene: chiedere ai possessori d'un'individualità siffatta quella drittura che evidentemente non hanno, è sterile e stolido. Chiedere a un consorzio che di civile ha ben poco, il cui tessuto connettivo intellettuale e morale (**) è stato resecato con chirurgica ferocia per abietti fini d'inganno e predominio, di trasmettere ai suoi ragazzi un'educazione solida, è pura illusione. Tocca allora a chi si occupa di parole - che son quelle che stanno tra gli uomini e uomini li fanno - sorvegliare che non degenerino, che i sensi loro non si confondano per violenza o errore o dòlo, affinché non lascino al debole giustificazioni per la propria insipienza, al prepotente alibi al suo prevaricare. Depurare il linguaggio, riportare il concetto alla parola, la parola alla cosa: questa sembra, per ora, l'unica via praticabile per ristrutturare la società. E, dunque, fornire ai ragazzi gli strumenti che consentano loro di veder chiaro, di comprendere che il vuoto di senso che spesso provano consiste proprio nell'incapacità di distinguere con franchezza - in quel che dicono e in quel che viene loro detto - il vieto, lo sciapo, l'insensato, il demente, o, ciò ch'è più semplice, l'inadatto a loro. Così da sconfiggere ogni tentativo di creare o rifugiarsi in una personalità falsa, artefatta, lagnosa, tutta-papà o tutta-mammà - o comunque nella prima libera a disposizione. Equivocando magari su quel "libera", che non implica indipendenza e reale veracità, ma solo che - come un cesso - non è occupata.
(*) non credo sia casuale l'impiego di questo termine, che rimanda ai bimbìni ai quali il cattivo signore offre la caramella;
(**) "l'uomo morale dà regole a sé stesso, il moralista ad altri" (P. P. Pasolini); "il mondo che vi pare di catene, tutto è intessuto di armonie profonde" (S. Penna, Moralisti); e Gioachino Belli poetava che l'uomo da niente "ce pò ave' du' fodere, ma l'omo de garbo n'ha d'ave' una sola" (cito a memoria).
limpide acque, non troverà più da bere...
ANTIGONE
Pierluigi Diaco è un trentenne giornalista, che ha cominciato in Rai giovanissimo, vecchio appena di diciassette anni. Su un "Venerdì di Repubblica" del sei settembre 1996 trovo un "box" che lo riguarda, e ne rammenta la conduzione di Radio Due Time (dàndolo come Pier Luigi). Fa inoltre notare a Biagi che viene da una famiglia medioborghese, e certo non dà sul versante Riccetto (o, tu che sei più a giorno, Renton) né per il fisico elegantino né per il non volgare eloquio.
Devo confessare che è innanzitutto la sua prosodia a mettermi in guardia: cantilena i suoi interventi, con le "appoggiature" giuste come si fa in teatro o doppiando, e i toni gravitano verso il basso, caldi, concentrati - melensi. Quindi, trovo conferma alle mie perplessità nello scambio che vado a riportare: Biagi gli chiede, riferendosi al "gruppo di pari" frequentato dall'allora giovanissimo Diaco: "chi vi ha fatto la prima offerta (...)?" L'attuale più maturo giornalista risponde: "A Roma, nel quartiere dove abito, nel centro storico, i ragazzi della mia età, o giù di lì, abitualmente il finesettimana entrano in alcuni noti locali (...) e hanno la possibilità di essere "sedotti" da un ragazzo o da una ragazza o da un signore che magari vende proprio quelle cose lì. Io mi domando: c'è moltissima polizia in centro storico (...), com'è possibile che avvenga nel centro storico senza che nessuno dica nulla?"
Che, dopo il recente trambusto sulle tracce di uso di stupefacenti ritrovato in alcuni parlamentari, ci si meravigli della presenza di spacciatori "d'alto bordo" nell'Urbe prossima ai luoghi di potere e di rappresentanza, vuol dire che uno ingenuo c'è, o ce fa. Ma non questo interessa; piuttosto, c'illumina la struttura retorica della dichiarazione, e la fragile emotività caratteriale che v'è sottesa: Diaco sembra dire, dov'era papà, dov'era il padre, il padrone, il paranco che doveva reggermi? Dov'era il carabiniere che aveva da impedirmi di pippare, il maestro che facesse da esoscheletro alla mia psiche invertebrata? Dove il prete o il moralista a evitare la "seduzione"? (*) E cazzo, se non è dipendenza questa! E' la dipendenza che sta alla base di ogni altra assuefazione - o, almeno il suo fenomeno rivelatore nel linguaggio. Come quel cantante pop che lamentava esser stato ripetutamente violentato da ragazzino, confessando poi che ogni sabato andava ad attendere il suo "violentatore" (con tanto di cappello da cowboy e stivaloni!) alla stazione, per passare il weekend con lui. Forse pure l'artista sperava che una pattuglia della polizia li beccasse in congressu. Intanto, però, chiagnév'e fotteva.
Ebbene: chiedere ai possessori d'un'individualità siffatta quella drittura che evidentemente non hanno, è sterile e stolido. Chiedere a un consorzio che di civile ha ben poco, il cui tessuto connettivo intellettuale e morale (**) è stato resecato con chirurgica ferocia per abietti fini d'inganno e predominio, di trasmettere ai suoi ragazzi un'educazione solida, è pura illusione. Tocca allora a chi si occupa di parole - che son quelle che stanno tra gli uomini e uomini li fanno - sorvegliare che non degenerino, che i sensi loro non si confondano per violenza o errore o dòlo, affinché non lascino al debole giustificazioni per la propria insipienza, al prepotente alibi al suo prevaricare. Depurare il linguaggio, riportare il concetto alla parola, la parola alla cosa: questa sembra, per ora, l'unica via praticabile per ristrutturare la società. E, dunque, fornire ai ragazzi gli strumenti che consentano loro di veder chiaro, di comprendere che il vuoto di senso che spesso provano consiste proprio nell'incapacità di distinguere con franchezza - in quel che dicono e in quel che viene loro detto - il vieto, lo sciapo, l'insensato, il demente, o, ciò ch'è più semplice, l'inadatto a loro. Così da sconfiggere ogni tentativo di creare o rifugiarsi in una personalità falsa, artefatta, lagnosa, tutta-papà o tutta-mammà - o comunque nella prima libera a disposizione. Equivocando magari su quel "libera", che non implica indipendenza e reale veracità, ma solo che - come un cesso - non è occupata.
(*) non credo sia casuale l'impiego di questo termine, che rimanda ai bimbìni ai quali il cattivo signore offre la caramella;
(**) "l'uomo morale dà regole a sé stesso, il moralista ad altri" (P. P. Pasolini); "il mondo che vi pare di catene, tutto è intessuto di armonie profonde" (S. Penna, Moralisti); e Gioachino Belli poetava che l'uomo da niente "ce pò ave' du' fodere, ma l'omo de garbo n'ha d'ave' una sola" (cito a memoria).
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