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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

Vendita galline km. 2 della Casilina. (Saviano avatar di Dio)

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Mi approprio del titolo di un torrenziale (potrebbe essere diversamente?) romanzo di Aldo Busi, dove la cazzuta Delfina Unno Pastalunghi se la prende con tutti e da tutti è invisa. E pure lesbica.

Posizione presuntuosa la mia (ma non escluderei l'omosessualità): da ciò si potrebbe arguire che essendo anch'io cazzuto (d'indole, non di membro) e incazzoso con tutti, con travaso di bile quotidiano (ma vuoi mettere pure questi piccoli editori del nulla che sbandierano sarcasmo e visceralità come se la letteratura fosse ormai ridotta solo alla putrescenza del prodotto e quindi alla sua scatologia e s'inalberano se si rifiuta a priori un loro prodotto?) debba essere preso a pesci in faccia da una moltitudine di lettori.

Non ho la presenza e il seguito del più grande scrittore vivente (vorrei però accodarmi, ma l'editoria nostrana non me lo concede, ignorando io le motivazioni, però c'è chi mi giudica un maestro. Rispondendo vorrei dire che è come se mi gratificassero del perché uso bene la forchetta a pranzo e cena), quindi l'essere bilioso e di conseguenza l'essere invitto non affascina di certo una moltitudine, semmai una striminzita fetta di seguaci affezionati.

Pur tuttavia elaboro ed espurgo (si dirà? Mah!) e latinizzo la questione: del perché la spettacolarizzazione dell'io e del suo prodotto mi fa cagare (si parlava di scatologia no?). Ovvio si parla di un io che quanto meno si mette in discussione, che quanto meno scrive o scribacchia e pensa di avere un séguito pur se seguìto da pochi.

Questo, più di qualsiasi altro luogo al mondo, è un paese di e-sordi-enti, di diversamente udenti probabili fruitori dell'immortalità letteraria, di eredi del modellismo salingeriano (oh mio dio! Ancora co' 'ste pippe masturbatorie da riti di passaggio con annessa brufolosi senza trattamento Topexan. E Salinger, che era un cialtrone, di buono ha fatto che è sparito, perché così' si coltiva il mito di uno scrittore inessenziale e perché soprattutto l'ambiente è quello che è), di inaspettate rivelazioni apocalittiche pre-2010 e si misura a centimetri chi si sottrae, e quindi come il gambero si ritrae, a questa maratona in odor di eterna santificazione e di record mondiali.

E si inventa l'evento (bisticcio voluto), la riproduzione noiosa e pedissequa del prodotto sfacciatamente esposto come merce deperibile, altro che immortalità!, con annessa presenza del pen(s)oso intellettuale di turno, già foraggiato ampiamente dalla pagina cultural-popolare del quotidiano di grido (di cosa può vivere costui se i libri non si leggono e quindi non si vendono?), preposto ad espettorare congruo giudizio (s'è visto mai che ad una presentazione il libro sia quanto meno decente? No, s'innalzano peana alla rivoluzionarità del linguaggio, alla senescenza dell'immediato precedente, all'anti-ecumenismo letterario) con congruo gettone di presenza (crediamo noi).

Ma l'evento si moltiplica, si espone 'esponenzialmente': Facebook diventa quindi il giardino di una algebrizzazione della letteratura (beh, se si esclude Perec, non sarebbe male proporre una sistemazione della narrativa e della lingua in tal senso ossimorico), di una spettacolarizzazione della cultura (se modesta o no, è tutt'altro paio di maniche).

Ma l'evento non era un avvenimento di una certa importanza (definizione presa para para dal dizionario Garzanti) ? O è forse vero, i maligni ci sono, che la composizione della parola (e-vento. E'-vento?), in questi ultimi tempi, indica un'evanescenza o l'aria fritta se non addirittura la scorreggetta?

Vero: si scorreggia a più non posso e tramortiti dal fetore dell'illusione culturale, stagna la verità. Che sarebbe quella di restituire dignità alla parola, che è mortificata, che è esangue perché strappata alla sua anatomia.

Mi ricordo un incipit formidabile (riconsegnato alla bellezza recentemente dal saggio di Giulio Ferroni

Scritture a perdere. La letteratura negli anni zero) tratto da Troppi paradisi di Walter Siti: Mi chiamo Walter Siti. Come tutti. Mi piace spezzarla qua la citazione perché era diversificata, ma la utilizzo a mio piacimento: dove finalmente la comunanza invece non può essere condivisa perché l'autore sa, con un pizzico di presunzione, di non appartenere a nessuno. (Mi si permetta lo scantonamento, ma se parliamo della bellezza di un passo, cosa c'è di meglio di questo straordinario 'Oggi ho messo la giacca dell'anno scorso, così mi riconosco ed esco'? – da 'Altrove' di Morgan. Sarà un caso che utilizzi un titolo busiano e poi riporti il cantautore? Due defenestrati dalla tv sempre meno di qualità)

Gli eventi letterari invece, come si diceva, moltiplicano la sostanza, che ci mette un secondo a diventar inconsistenza: tutti belli, tutti bravi e tutti fondamentali nella deriva del linguaggio. Tutti cloni di un super-io, come l'agghiacciante spot pubblicitario di un non-scrittore che presentava un mondo fatto ad immagine e somiglianza di sé: Roberto Saviano avatar di Dio!

Ecco: sembrerebbe giusto che siffatti scrittori appartenessero ad una sorta di Pandora culturale, dove la pacificazione dei sensi e il raggiungimento di un rousseauiano stato di natura completerebbe la loro brama di realizzazione, come i 144.000 eletti dei Testimoni di Geova che erediteranno il Regno di Dio (certo, l'eventualità che un esercito di affannosi scrittori popoli il nostro povero pianetà senza il male, ci sembra un incubo senza fine).

Ma la realtà è diversa e triste. La narrativa langue, il mercato starnazza come un pollaio e non si vede luce, nemmeno in prossimità di una probabile eternità. Di più: non si vede scrittore capace di segnare questo millennio, perso (il millennio) com'è dietro l'asmatica ricerca di un passo che lasci segno ed impronta. Non è letteratura, è ortopedia.

Io al pollaio di cui sopra preferisco il commercio all'ingrosso: vendita galline al km.2. Magari lungo la Casilina, a quattro passi da casa, perché son pigro.





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