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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Charles Simic

Club Midnight

Adelphi, Pag. 181 Euro 14,00
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Come la pittura è la poesia (più o meno): ecco, chi volesse penetrare l'arcano di questa formula mistica dovrebbe procurare di godersi il Simic.

E ghiotta occasione, quindi, sarebbe la pubblicazione di questo Club Midnight, ultima raccolta del poeta laureato americano (e come fare a non immaginarsi, infatti, Simic andarsene in giro, vestito da americano, ma con foglie di alloro che avvolgono il fez turco che suo padre, da slavo, già prima di lui aveva indossato?).

Dirà qualcuno: come la pittura è la poesia? Per forza parlando del Simic, che l'arte l'ama e la capisce e ha scritto le parole più belle e acute che si potessero scrivere d'arte in questo ultimo secolo: Il cacciatore di immagini, una monografia monologante monotonamente poetica su Joseph Cornell, il vecchio pazzo maniaco con vita infortunata e vari gravami a carico che, appassionato di attricette e pellicole hollywoodiane e altri oggetti di scarto quotidiano (quell'effimero che Omero attribuiva pure agli dei), andava in giro a raccogliere per poi riunirlo (magia dell'estetico), ricomporlo nelle famose (nelle deliziose) boîtes che il surrealismo ha avuto il merito di consacrare a bene culturale (ne fece pure il giovane poeta anarchico Leo Malet prima di diventare un vecchio giallista fascista).

E Simic è sicuramente riuscito ad estorcere a Cornell, riconoscendovi se stesso, un metodo più che una poetica: un metodo sacerdotale, remotissimo (Osiride fatto a pezzi dal fratello e ricomposto, dopo attenta ricerca, pezzetto per pezzetto dalla sorella e sposa Iside): quello grazie al quale il creato si può salvare sempre non si sa bene se grazie o dalla sua dissoluzione.

Questa, appunto, per Simic non è una poetica (e nemmeno una religione), ma una pratica: la pratica di mettere insieme i gatti di polvere che si formano sotto il letto, farli rimare con l'improvvisa ed esuberante invenzione di fabbricanti di parrucche fatte di ragnatele e, così, graffiare la concupiscente apparenza del mondo per scoprirvi il meraviglioso che l'orla (Melville dixit); e qui, scoprire il meraviglioso, non è il fine: fa parte del mezzo: anzi del modo.

E infatti, Simic, come Baudelaire, che stava certo più attento a come diceva una cosa che a quello che diceva (non era un timido); che, e lo nota Benjamin buttando lì qualcosa che potrebbe salvare il mondo, schifa sia il mezzo che il fine in nome del modo; Simic è tutto in questa arte di raccogliere attimi mentali e fisici; paesaggi; paesaggi ma veduti in sogno; oggetti; nomi di oggetti; cose spaesate, ma anche rimpatriate; luoghi che non sono luoghi; o luoghi memorabili, o che sono memorabili solo in quell'effimero hollywoodiano di cui sopra; o memorabili perché di un ambiguo effimero eterno (giardini, deserti e polvere in bilico tra un biblico cenere sei e cenerei tornerai e un presocratico apeiron); ambiguo perché notturno (the sun doesn't care for ambiguities: il giorno non ama le ambiguità, dice Simic, ma io sì) e, pazientemente, trovare il modo di accostarli, riunirli, sposarli, rimarli.

Come un pittore che ha composto il suo quadro; come un pittore che, toltasi la noia del soggetto, è riuscito a trovare le forme e i colori che desiderava da prima di nascere; così Simic usa tutta la cosiddetta realtà, comprese le filosofie che la riguardano, per riunire in un gruppo di estese sillabe i suoni che desiderava da prima di nascere.

Unire sillabe, e fare suoni: atto, grazie al quale, pare, il creato si può salvare sempre non si sa bene se grazie o dalla sua dissoluzione.



di Pier Paolo Di Mino


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