CLASSICI
Alfredo Ronci
I froci ancien régime di Gian Piero Bona: 'I pantaloni d'oro'.
S'intuisce già qualcosa dell'autore quando in esergo al romanzo scrive: L'amico Mario Soldati mi dice sempre che finalmente ha trovato uno scrittore 'non italiano' (infatti ho pattinato molto sui ghiacci mittel-europei con pastori metodisti), ed è per questo che non sono amato dalle Ade Negri in minigonna e dai Giovanni Pascoli capelloni di cui pullula la nostra cara domestica crociana realistico-papale porno-familiare letteratura.
Dove con un linguaggio mordacemente 'rivistaiolo' aggrega concetti che perdurano e che s'estrinsecano ancor oggi in sudditanza clericale, catto-reazionaria e nell'ipocrisia di una letteratura dai toni pastello adatta ad un pubblico per nulla eteroclita.
Deriva da questi essenzialmente la nebbia scesa dagl'irti colli su uno scrittore possente e scomodo: chi potrebbe in fondo legittimarlo se negli anni sessanta investiva, è il caso di dirlo, la nostra narrativa di campioni dell'omosessualità mercificata? Che era l'unica, di etera necessità, a poter essere vissuta in un contesto di castrazione politica, per non dire, fuori luogo, legislativa?
I pantaloni d'oro, del 1969, mostra un carosello parziale di infiltrati della vita: aristocratici, disperati, ladri squattrinati, preti, soldati (un leit motiv questi ultimi di Bona: chi ricorda i militari de Il soldato nudo?) quasi tutti impegnati nell'arte della prostituzione maschile, se non del travestitismo.
Per esempio Giacinto: Era un "dio burino" dalla vita bassa, i pollici infilati nella cintura, la sigaretta pendula dal labbro carnoso e sensuale, il profilo romano sprezzante e freddo, i muscoli delle braccia disegnati sotto le maniche troppo strette, un bullo svogliato e disinvolto fino alla più completa disponibilità di se stesso.
Giacinto dunque, il coatto militare di Roma, che si prostituisce con l'aristocratico Alessandro Erbiani e nello stesso tempo tenta la carta della relazione etero con Barbara del Carro, nobildonna, ma che per provare l'illusione dell'amore vero finisce in una rissa sfogando la propria repressione esistenziale: Ogni bastonata che sferrava veniva data a un compagno d'infanzia, a una puttana, a una sirena, a un ladro, a un maresciallo, a sua madre, a suo padre. Attraverso il velo del sangue egli colpiva se stesso, il suo fantasma (è sufficiente questo passo come spiegazione sociologica dei delitti contro gli omosessuali?).
Ma ne I pantaloni d'oro, come si è detto già, vi è un esercito di irrealizzati: c'è Ugo, guardia del Milite Ignoto che si fa uccidere durante una manifestazione contro il governo Tambroni, per difendere Carlo Santoro, la sua 'insana' passione, figlio di un ex senatore e barone di Pralato (sì perché Carlo apparteneva alla categoria di persone che il genio aveva toccato perifericamente, piuttosto nella sensibilità percettiva che nella volontà edificatrice, e cioè in lui vi era una enorme sproporzione tra la visione e l'espressione); c'è Califfa, travestito stroncato da giovane da un infarto il cui funerale sembra davvero aver ispirato il cinema di Almodovar e in particolare Tutto su mia madre.
E poi luoghi, eventi, non solo personaggi: come l'orgia dell'isola delle sirene (era un'isola famosa, un ameno lembo di sabbia che il fiume Ticino scopriva durante l'estate. Di lontano emergeva come un teatro di salici piangenti in mezzo alla corrente. Un assistente universitario, di nome Petrovna, vi organizzava spettacoli di varietà per i campeggi militari), dove soldati e 'sirene' di ogni estrazione sociale (per lo più l'aristocrazia più irriverente) s'incontravano in amplessi animaleschi accompagnandosi a frasi rituali strappate all'avanspettacolo più spinto: Me lo metti lunedi, oppure Godo-non godo-sì-godo-sì-sì.
I pantaloni d'oro nella sua disperazione è romanzo alto e straziante. La morte aleggia in continuazione fino a far vittime a fasci; Ugo, Giacinto (nella rissa non muore, ma gli infliggono una pena di trent'anni) e lo stesso aristocratico Alessandro Erbiani, che dopo una serata a catturare uccelli nei bagni pubblici, si avvia a teatro (nel palco alla destra della loggia reale, proprietà della sua famiglia nel 1870) e durante l'esecuzione del 'Tristano' si uccide con la pistola.
Protagonista del romanzo dunque una generazione di 'irrisolti' come definiti in precedenza, dove, purtroppo, la morte restituisce una legittimità che in vita non avevano avuto il coraggio, per un motivo o per un altro, di 'esternare'.
Poche parole, per chiudere, sull'autore: Gian Piero Bona è ancora ahinoi scrittore di nicchia, anche se perso negli ultimi anni dietro istanze mistiche e magie occultiste. Tre libri vanno assolutamente letti: questo, Il soldato nudo (1960, già citato) e l'oggetto di culto Il piccolo caos (1963), raccolta di racconti. A conferma di una necessaria rilettura della nostra storia culturale che ha spesso escluso personaggi 'limite', la cui emarginazione è stata sempre dettata da improvvide considerazioni moraliste. Cioè: dalla cara domestica crociana realistico-papale porno-familiare letteratura.
L'edizione da noi considerata è:
Gian Piero Bona
I pantaloni d'oro
Feltrinelli - 1969
Dove con un linguaggio mordacemente 'rivistaiolo' aggrega concetti che perdurano e che s'estrinsecano ancor oggi in sudditanza clericale, catto-reazionaria e nell'ipocrisia di una letteratura dai toni pastello adatta ad un pubblico per nulla eteroclita.
Deriva da questi essenzialmente la nebbia scesa dagl'irti colli su uno scrittore possente e scomodo: chi potrebbe in fondo legittimarlo se negli anni sessanta investiva, è il caso di dirlo, la nostra narrativa di campioni dell'omosessualità mercificata? Che era l'unica, di etera necessità, a poter essere vissuta in un contesto di castrazione politica, per non dire, fuori luogo, legislativa?
I pantaloni d'oro, del 1969, mostra un carosello parziale di infiltrati della vita: aristocratici, disperati, ladri squattrinati, preti, soldati (un leit motiv questi ultimi di Bona: chi ricorda i militari de Il soldato nudo?) quasi tutti impegnati nell'arte della prostituzione maschile, se non del travestitismo.
Per esempio Giacinto: Era un "dio burino" dalla vita bassa, i pollici infilati nella cintura, la sigaretta pendula dal labbro carnoso e sensuale, il profilo romano sprezzante e freddo, i muscoli delle braccia disegnati sotto le maniche troppo strette, un bullo svogliato e disinvolto fino alla più completa disponibilità di se stesso.
Giacinto dunque, il coatto militare di Roma, che si prostituisce con l'aristocratico Alessandro Erbiani e nello stesso tempo tenta la carta della relazione etero con Barbara del Carro, nobildonna, ma che per provare l'illusione dell'amore vero finisce in una rissa sfogando la propria repressione esistenziale: Ogni bastonata che sferrava veniva data a un compagno d'infanzia, a una puttana, a una sirena, a un ladro, a un maresciallo, a sua madre, a suo padre. Attraverso il velo del sangue egli colpiva se stesso, il suo fantasma (è sufficiente questo passo come spiegazione sociologica dei delitti contro gli omosessuali?).
Ma ne I pantaloni d'oro, come si è detto già, vi è un esercito di irrealizzati: c'è Ugo, guardia del Milite Ignoto che si fa uccidere durante una manifestazione contro il governo Tambroni, per difendere Carlo Santoro, la sua 'insana' passione, figlio di un ex senatore e barone di Pralato (sì perché Carlo apparteneva alla categoria di persone che il genio aveva toccato perifericamente, piuttosto nella sensibilità percettiva che nella volontà edificatrice, e cioè in lui vi era una enorme sproporzione tra la visione e l'espressione); c'è Califfa, travestito stroncato da giovane da un infarto il cui funerale sembra davvero aver ispirato il cinema di Almodovar e in particolare Tutto su mia madre.
E poi luoghi, eventi, non solo personaggi: come l'orgia dell'isola delle sirene (era un'isola famosa, un ameno lembo di sabbia che il fiume Ticino scopriva durante l'estate. Di lontano emergeva come un teatro di salici piangenti in mezzo alla corrente. Un assistente universitario, di nome Petrovna, vi organizzava spettacoli di varietà per i campeggi militari), dove soldati e 'sirene' di ogni estrazione sociale (per lo più l'aristocrazia più irriverente) s'incontravano in amplessi animaleschi accompagnandosi a frasi rituali strappate all'avanspettacolo più spinto: Me lo metti lunedi, oppure Godo-non godo-sì-godo-sì-sì.
I pantaloni d'oro nella sua disperazione è romanzo alto e straziante. La morte aleggia in continuazione fino a far vittime a fasci; Ugo, Giacinto (nella rissa non muore, ma gli infliggono una pena di trent'anni) e lo stesso aristocratico Alessandro Erbiani, che dopo una serata a catturare uccelli nei bagni pubblici, si avvia a teatro (nel palco alla destra della loggia reale, proprietà della sua famiglia nel 1870) e durante l'esecuzione del 'Tristano' si uccide con la pistola.
Protagonista del romanzo dunque una generazione di 'irrisolti' come definiti in precedenza, dove, purtroppo, la morte restituisce una legittimità che in vita non avevano avuto il coraggio, per un motivo o per un altro, di 'esternare'.
Poche parole, per chiudere, sull'autore: Gian Piero Bona è ancora ahinoi scrittore di nicchia, anche se perso negli ultimi anni dietro istanze mistiche e magie occultiste. Tre libri vanno assolutamente letti: questo, Il soldato nudo (1960, già citato) e l'oggetto di culto Il piccolo caos (1963), raccolta di racconti. A conferma di una necessaria rilettura della nostra storia culturale che ha spesso escluso personaggi 'limite', la cui emarginazione è stata sempre dettata da improvvide considerazioni moraliste. Cioè: dalla cara domestica crociana realistico-papale porno-familiare letteratura.
L'edizione da noi considerata è:
Gian Piero Bona
I pantaloni d'oro
Feltrinelli - 1969
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