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CLASSICI

Alfredo Ronci

Il mondo piccolo borghese di Lucio D'Ambra; 'Fantasia di mandorli in fiore'.

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In un articolo di un po' di anni fa lo storico Lucio Villari si chiedeva, dopo una lettura attenta e riflessiva del diario di Lucio D'Ambra, cosa si dovesse pensare di quel gruppo sostanzioso di intellettuali e personalità di spicco che, durante il fascismo, attuarono una sorta di attesa formale degli eventi (tanto per fare qualche nome: Pirandello, Cecchi, Fermi).

La questione può essere posta nel modo più semplice possibile. Si deve procedere ad una decisa condanna di una certa Italia culturale perché troppo affine al modello fascista o è necessaria una riqualificazione di alcune individualità perché portatrici di ideali ereditati da precedenti esperienze ed epoche?

Il caso D'Ambra è eloquente: a più di settant'anni dalla morte non c'è antologia critica della nostra letteratura che ne riporti traccia, eppure fu uno scrittore e drammaturgo tra i più famosi dell'Italia del primo trentennio del Novecento (autore prolificissimo, soprattutto di trilogie), vagamente disposto al progresso sociale, ma abbastanza refrattario ad ogni scossa che mettesse in discussione i valori costitutivi dell'Arte. Era anche 'dotato' pur sempre di capacità quasi divinatorie, nonostante la sua tenacia conservatrice, come quando tre mesi prima della sua morte, avvenuta il 31 dicembre del 1939, a proposito dei venti di guerra scrisse sul suo diario: Dio risparmi all'Europa pazza il finimondo.

Il silenzio caduto sulla sua arte e sull'intera e sconfinata produzione letteraria lo accumuna ad altri scrittori e personalità dell'epoca ed è da ricercare nell'ingiustificato atteggiamento di chi, portatore di valori più chiari ed identificabili, lo ha relegato nel limbo della cultura 'prona'.

D'Ambra, come altri come lui, cercava soltanto di resistere dignitosamente all'ideologia in orbace montante, cercando di trasmettere un intero sistema ereditato dall'ultimo Ottocento, ma fin troppo realista per non cedere all'obbedienza, all'Autorità e quindi al regime.

Ne aveva anche lui però contro il fascio, come quando si rifiutò, come intellettuale, di presenziare all'arrivo di Hitler a Roma e 'giustificandosi' per l'avvenuta morte del grecista Ettore Romagnoli, suo amico.

Fantasia di mandorli in fiore fa parte di una delle innumerevoli trilogie, la 'romantica' per la precisione (a questa seguiranno La Sosta sul ponte e Conversazioni di mezzanotte) la cui trama è esplicitata dall'autore nella prefazione dedicata al suo amico Romero: Io ho solo voluto, in queste pagine, tentare la psicologia così particolare dell'adolescenza, mutevole e contraddittoria, deliziosa e terribile, tutta serenità e bufere, fulmini improvvisi ed inaspettati arcobaleni, pari a quelle giornate di marzo – primavera è e non è – in cui esci con l'ombrello e spunta il sole, lasci l'ombrello a casa e per dispetto il cielo s'apre. Fermare queste psicologie d'ombre e penombre che passano, di continui squilibri meteorologici, è difficile impresa per ogni bussola letteraria che cerchi d'orizzontarsi e prevedere il tempo.

Sisto, colto nella fase adolescenziale, è circondato da una famiglia adorante (il rapporto con la madre è decisamente proustiano) e da un ambiente ovattato (il mandorleto) che lo preserva da qualsiasi bruttura esistenziale. Ha un carattere emotivo e tenace (E' il temperamento di sua madre ... Una sensibilità allo scoperto ed un potere d'immaginazione per cui ogni realtà è moltiplicata), e questa tenacia lo porterà ad innamorarsi di una sua coetanea, Elsa, che purtroppo non può contraccambiarlo perché innamorata dell'amico Alessandro. Questa sorta di sfortunato 'triangolo' sentimentale (lo è a tutti gli effetti, perché Elsa e Alessandro nutrono per Sisto una considerazione illimitata) finirà tragicamente perché i tre, convinti dell'impossibilità di vivere una situazione 'normale', decideranno di suicidarsi. Morirà soltanto la ragazza, affogata nel lago vicino al mandorleto.

Sisto diventerà poi un musicista di valore internazionale, sposerà una donna da cui avrà prole, ma non dimenticherà mai il dolore per la perdita della sua adorata Elsa.

Da queste poche righe s'intuisce il substrato culturale dell'opera in questione (e in toto) di Lucio D'Ambra: un piccolo mondo antico e borghese, immobile nella sua apparente concretezza sociologica, qua e là intaccato dall'inevitabile trascorrere del tempo, dove i valori tradizionali (senso della famiglia, soprattutto dell'amore materno – quanto sa di madeleines proustiane quel rifugiarsi di Sisto tra le sottane della madre! – senso dell'onore con forti accenti 'militaristi' e quindi dell'autorità, senso proverbialmente aristocratico della malinconia dell'esistere) sono insiti nell'animo umano.

Nello struggimento della tragedia che colpisce Sisto vi è una forte componente appendicista, fatta di sospiri e reticente, sussurri e poche grida, esagerate introspezioni.

Insomma un mondo quasi perfetto che poi, per mano di altri autori, andrà in frantumi. Ma è il segno tangibile di una distanza di D'Ambra dall'azionismo scellerato del fascismo montante ed intellettuale. Nonostante Bottai, già nel 1924, dichiarasse che quest'ultimo fosse una rivoluzione di intellettuali e Massimo Bontempelli 'controfirmasse' così: Il secolo XIX finisce col 1915. Il XX comincia col 1922.





L'edizione da noi considerata è:



Lucio D'Ambra

Fantasie di mandorli in fiore

Mondadori - 1937





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