CLASSICI
Alfredo Ronci
L’impegno di una donna: “Le quattro ragazze Wieselberger” di Fausta Cialente.
Ormai lo sapete, Fausta Cialente è una delle nostre scrittrici preferite. Una delle poche. Non è tanto, e solo, per il suo modo intelligente di scrivere (qualcuno in passato ha detto qualche cosa di strano sulle sue qualità letterarie, ma non credo valga la pena nominarlo) e non credo nemmeno sul suo modo di esternare le proprie idee politiche. No, Fausta Cialente è (è stata, ma rimarrà) semplicemente una donna che ha saputo conquistarsi uno spazio conclusivo nella vita, al di là dei suoi meriti narrativi e organizzativi.
Non è facile parlare de Le quattro ragazze Wieselberger perché ancora, personalmente, ritengo che il titolo da lei indicato e poi pubblicato non sia giusto. Ovviamente non mi metto in una situazione d contesa con la scrittrice, ci mancherebbe altro (considerando poi che lei non c’è più e io non ho nessuna intenzione di apparire in una veste che non mi compete). Al contrario, l’appunto che in qualche modo indico potrebbe essere una condizione in più per trasformare un testo che potrebbe essere una specie di diario in una vera e propria denuncia sociale.
La prima parte è dedicata appunto alle quattro sorelle Wieselberger (per la scrittrice, tre zie e una mamma) e ai genitori di queste. In un incantevole Trieste fine Ottocento, si muovono aggraziare queste quattro sorelle e i loro pareti. Appartengono ad una famiglia benestante, della buona società: la madre è una tranquilla signora che si divide tra la casa di città e la grande casa che ha in campagna, ma che si guarda spesso intorno e altrettanto spesso non si trova in accordo col marito, ma preferisce stare zitta. Il marito è invece uno stimato musicista e dirige in casa un’orchestra che ha chiamato amichevolmente “dilettanti filarmonici”.
Narrando la loro storia, cioè quella della sua imprevedibile e ramificata famiglia, la Cialente racconta mezzo secolo di storia italiana (nel senso che poi verranno altri avvenimenti a cominciare dalla nascita della stessa scrittrice, della morte di una delle sorelle, la più bella, e le molte tragedie della prima e della seconda guerra mondiale), dai liberalmassoni di destra all’irredentismo triestino che liquidavano in termini razzisti la questione slovena, fino alla “evoluzione” della borghesia italiana responsabile, più di tutti, dell’avvento del fascismo.
E a proposito di questa, da metà romanzo in poi, quando apparentemente le questioni familiari sembrano sparire rispetto alle grandi questioni europee la Cialente scrive:… la guerra del ’15 non era stata affatto una continuazione del Risorgimento (oh, le frasi romantiche e patetiche che come zucchero caramellato filavano nell’aria scintillante del giardino di via dell’Istria!) bensì la grossa manovra d’una borghesia paurosa e irritata che voleva sopra tutto ostacolare l’avanzata del socialismo. Anche i reazionari triestini irredentisti avevano dimostrato, al tempo loro, come il Venezian, un congenito disprezzo per i lavoratori, “date il superfluo ai poveri”, e un loro miope, livido antisocialismo.
Ma Cialente non è soddisfatta, insiste: Gli sfuggiva invece l’insofferenza dei combattenti che si faceva sempre più evidente e non ci si accorgeva che la borghesia interventista, insospettita e irritata, cominciava a mostrare la sua vera faccia e mutava di tono: la massa dei combattenti non era più formata dagli “eroici soldati che si sacrificavano per l’onore e la grandezza della Patria” ma da ignobili simulatori che fingevano di combattere e invece se la squagliavano appena potevano, preoccupati soltanto di riportare “la pancia a casa, la pancia per i fichi”. C’era, insomma, già in aria la puzza di Caporetto.
Poi arriva il fascismo, e le accuse sono lo stesso pesanti. Ma in questo particolare frangente arriva anche la notizia della morte, prima di suo cugino e poi dell’uccisione di suo fratello Renato – che fu grande, geniale attore.
Il romanzo, nella sua analisi di disfacimento della famiglia e soprattutto della società nazionale, supera sia la letteratura della memora sia lo stesso scontro tra mondo triestino e mondo italiano. La Cialente racchiude in sé una prospettiva ideologicamente europea e quello che inizialmente era partito come un romanzo appunto di memorie, alla fine ha la statura di un vero e proprio atto d’accusa contro i nostri, e non solo nostri, governanti.
La Cialente, ricordiamo, visse per molti decenni, in Egitto, diventando una specie di radio-Londra per gli anti-fascisti e soprattutto per i disperati. Rientrò varie volte in Italia fino alla sua rentrée definitiva molti anni dopo. Ma morì a Londra nel 1994.
L’edizione da noi considerata è:
Fausta Cialente
Le quattro ragazze Wieselberger
Mondadori
Non è facile parlare de Le quattro ragazze Wieselberger perché ancora, personalmente, ritengo che il titolo da lei indicato e poi pubblicato non sia giusto. Ovviamente non mi metto in una situazione d contesa con la scrittrice, ci mancherebbe altro (considerando poi che lei non c’è più e io non ho nessuna intenzione di apparire in una veste che non mi compete). Al contrario, l’appunto che in qualche modo indico potrebbe essere una condizione in più per trasformare un testo che potrebbe essere una specie di diario in una vera e propria denuncia sociale.
La prima parte è dedicata appunto alle quattro sorelle Wieselberger (per la scrittrice, tre zie e una mamma) e ai genitori di queste. In un incantevole Trieste fine Ottocento, si muovono aggraziare queste quattro sorelle e i loro pareti. Appartengono ad una famiglia benestante, della buona società: la madre è una tranquilla signora che si divide tra la casa di città e la grande casa che ha in campagna, ma che si guarda spesso intorno e altrettanto spesso non si trova in accordo col marito, ma preferisce stare zitta. Il marito è invece uno stimato musicista e dirige in casa un’orchestra che ha chiamato amichevolmente “dilettanti filarmonici”.
Narrando la loro storia, cioè quella della sua imprevedibile e ramificata famiglia, la Cialente racconta mezzo secolo di storia italiana (nel senso che poi verranno altri avvenimenti a cominciare dalla nascita della stessa scrittrice, della morte di una delle sorelle, la più bella, e le molte tragedie della prima e della seconda guerra mondiale), dai liberalmassoni di destra all’irredentismo triestino che liquidavano in termini razzisti la questione slovena, fino alla “evoluzione” della borghesia italiana responsabile, più di tutti, dell’avvento del fascismo.
E a proposito di questa, da metà romanzo in poi, quando apparentemente le questioni familiari sembrano sparire rispetto alle grandi questioni europee la Cialente scrive:… la guerra del ’15 non era stata affatto una continuazione del Risorgimento (oh, le frasi romantiche e patetiche che come zucchero caramellato filavano nell’aria scintillante del giardino di via dell’Istria!) bensì la grossa manovra d’una borghesia paurosa e irritata che voleva sopra tutto ostacolare l’avanzata del socialismo. Anche i reazionari triestini irredentisti avevano dimostrato, al tempo loro, come il Venezian, un congenito disprezzo per i lavoratori, “date il superfluo ai poveri”, e un loro miope, livido antisocialismo.
Ma Cialente non è soddisfatta, insiste: Gli sfuggiva invece l’insofferenza dei combattenti che si faceva sempre più evidente e non ci si accorgeva che la borghesia interventista, insospettita e irritata, cominciava a mostrare la sua vera faccia e mutava di tono: la massa dei combattenti non era più formata dagli “eroici soldati che si sacrificavano per l’onore e la grandezza della Patria” ma da ignobili simulatori che fingevano di combattere e invece se la squagliavano appena potevano, preoccupati soltanto di riportare “la pancia a casa, la pancia per i fichi”. C’era, insomma, già in aria la puzza di Caporetto.
Poi arriva il fascismo, e le accuse sono lo stesso pesanti. Ma in questo particolare frangente arriva anche la notizia della morte, prima di suo cugino e poi dell’uccisione di suo fratello Renato – che fu grande, geniale attore.
Il romanzo, nella sua analisi di disfacimento della famiglia e soprattutto della società nazionale, supera sia la letteratura della memora sia lo stesso scontro tra mondo triestino e mondo italiano. La Cialente racchiude in sé una prospettiva ideologicamente europea e quello che inizialmente era partito come un romanzo appunto di memorie, alla fine ha la statura di un vero e proprio atto d’accusa contro i nostri, e non solo nostri, governanti.
La Cialente, ricordiamo, visse per molti decenni, in Egitto, diventando una specie di radio-Londra per gli anti-fascisti e soprattutto per i disperati. Rientrò varie volte in Italia fino alla sua rentrée definitiva molti anni dopo. Ma morì a Londra nel 1994.
L’edizione da noi considerata è:
Fausta Cialente
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