CLASSICI
Alfredo Ronci
Una storia piccolo-borghese per uno scrittore moderno: 'La controfigura' di Libero Bigiaretti.
1968. Al di là della mitologia, l'anno in questione è indispensabile per capire il romanzo di Bigiaretti ed il percorso letterario, e nello stesso tempo evolutivo, dello stesso autore.
Partiamo da quest'ultima considerazione: fin dagli esordi Bigiaretti affrontò il discorso dell'incomunicabilità e comunque di una sottile analisi dei sentimenti, mai disgiunto da una salda condizione morale e politica. Forse La controfigura rappresenta un rito di passaggio nella stagione letteraria dello scrittore marchigiano: da qui in poi (ed è un 'qui' importante visti i riconoscimenti al libro, a cominciare dal premio Viareggio) alla premura della condizione degli individui sostituisce il tema della industrializzazione e della funzione dell'intellettuale nella società cambiata e tecnologica.
Ma qui si vuol parlare de La controfigura: romanzo un po' fuori dal comune e percorso da prurigine chissà se consone ai tempi.
Dunque triangolo pericolosissimo? Mi verrebbe da dire quadrangolo, per la presenza di un giovane gigante che nelle prime battute del romanzo viene rappresentato come vera e propria 'icona' dell'epoca: Fra noi lo chiamiamo Fidel Castro, e anche Dollaro d'onore, l'Eremita, il Beat, il Figlio dei fiori. Inventiamo sul momento i nomi adatti al suo aspetto e al suo modo di restarsene appartato.
In realtà l'uomo è una sorta d'indicatore dei tempi, perché poi alla luce dei fatti, chi è il vero protagonista della storia oltre ad una giovane mogliettina, ad un'eroticissima suocera e ad un io narrante trentenne combattuto nella sua voglia di accoppiamento, è un 'pizzicore amorale' che vuole essere davvero figlio dell'età.
Vi è per esempio la considerazione dell'immaturità della giovane mogliettina: Lucia è più che mai sedicenne, in pantaloni bermuda e maglietta, coi suoi piccoli seni in vista, che nel corso di tre anni, di cui uno nella illegalità, non mi è riuscito né di far maturare, né, per quanto mi ci sia accanito, di scalfire minimamente. Per non parlare della quintessenza dell'ideologia sessista del periodo: Viviamo in una società indifferenziata nel sesso e nell'età. Svégliati, Roger, cerca di capire che se anche hai una quindicina di anni meno di lei, Nora è una tua, una nostra coetanea. Chi è contemporaneo è anche coetaneo: tutti siamo reciprocamente utilizzabili ai fini sessuali.
Intendiamoci: non vorrei che il lettore guardi al romanzo come ad una sorta di vetrina 'licenziosa'. Macché, la storia si dipana, nella prima fase, nella rappresentazione tranquilla di una vacanza al mare, località Montenegro – quindi la ex Jugoslavia – dove un giovane marito trentenne, pur se 'disturbato' dal pensiero per una donna più grande di lui, si gode la sua vacanza con la 'moglie-bambina', qua e là 'distratti' dalla presenza magnetica del gigante-hippie
La seconda parte di apre con un coup de téâtre – la scoperta da parte del lettore – che la donna più grande non è altri che la suocera del protagonista che, presa una decisione improvvisa, raggiunge la coppia nella località balneare montenegrina.
Si diceva, nel titolo, della modernità del Bigiaretti: potremmo definirla tale sia da un punto di vista strettamente narrativo – pensiamo alla svolta improvvisa ed astuta della presenza della suocera che ha l'apparenza di un vero e proprio aggiustamento da narrativa gialla-psicologica – sia da un punto di vista linguistico. Ha ragione Gianfranco Franchi quando scrive del romanzo... vivo d'una scrittura caratterizzata da un periodare a volte straziato da un asmatico respiro, in una lingua a volte curiosamente letteraria e altrimenti e altrove bassamente giornalistica. Infatti proprio questa frammentazione dello stile ce lo rende contemporaneo e 'giovanile'.
La fortuna – sempre relativa – del libro credo sia dipesa, in ultima analisi, dagli elementi finora segnalati: una rappresentazione 'estiva' dove il deus ex machina della situazione non è il vissuto, ma paradossalmente il desiderato. E dove agisce di fondo un'ambiguità certosina – la si riscontra anche nelle ultime righe della storia – che è dettata sì dai tempi, ma anche da una volontà precisa di Bigiaretti di renderla censoria.
Ma censoria dal punto di vista sociologico piuttosto che moralistico.
Poi ha di nuovo ragione il Franchi: Interessante campione della narrativa minore italiana della seconda metà del Novecento, adorabile solo in questo frangente (...): "L'unica cosa insensata che riconosco in questa faccenda è la sproporzione tra causa e effetto. Uno ha il vizio di fumare se fuma, io ho il vizio di te senza averti mai avuto".
Il solo rischio però, e lo sappiamo in due, forse tre, che quel che era minore allora, sarebbe maggiore adesso... ça va sans dire.
L'edizione da noi considerata è:
Libero Bigiaretti
La controfigura
Bompiani - 1968
Partiamo da quest'ultima considerazione: fin dagli esordi Bigiaretti affrontò il discorso dell'incomunicabilità e comunque di una sottile analisi dei sentimenti, mai disgiunto da una salda condizione morale e politica. Forse La controfigura rappresenta un rito di passaggio nella stagione letteraria dello scrittore marchigiano: da qui in poi (ed è un 'qui' importante visti i riconoscimenti al libro, a cominciare dal premio Viareggio) alla premura della condizione degli individui sostituisce il tema della industrializzazione e della funzione dell'intellettuale nella società cambiata e tecnologica.
Ma qui si vuol parlare de La controfigura: romanzo un po' fuori dal comune e percorso da prurigine chissà se consone ai tempi.
Dunque triangolo pericolosissimo? Mi verrebbe da dire quadrangolo, per la presenza di un giovane gigante che nelle prime battute del romanzo viene rappresentato come vera e propria 'icona' dell'epoca: Fra noi lo chiamiamo Fidel Castro, e anche Dollaro d'onore, l'Eremita, il Beat, il Figlio dei fiori. Inventiamo sul momento i nomi adatti al suo aspetto e al suo modo di restarsene appartato.
In realtà l'uomo è una sorta d'indicatore dei tempi, perché poi alla luce dei fatti, chi è il vero protagonista della storia oltre ad una giovane mogliettina, ad un'eroticissima suocera e ad un io narrante trentenne combattuto nella sua voglia di accoppiamento, è un 'pizzicore amorale' che vuole essere davvero figlio dell'età.
Vi è per esempio la considerazione dell'immaturità della giovane mogliettina: Lucia è più che mai sedicenne, in pantaloni bermuda e maglietta, coi suoi piccoli seni in vista, che nel corso di tre anni, di cui uno nella illegalità, non mi è riuscito né di far maturare, né, per quanto mi ci sia accanito, di scalfire minimamente. Per non parlare della quintessenza dell'ideologia sessista del periodo: Viviamo in una società indifferenziata nel sesso e nell'età. Svégliati, Roger, cerca di capire che se anche hai una quindicina di anni meno di lei, Nora è una tua, una nostra coetanea. Chi è contemporaneo è anche coetaneo: tutti siamo reciprocamente utilizzabili ai fini sessuali.
Intendiamoci: non vorrei che il lettore guardi al romanzo come ad una sorta di vetrina 'licenziosa'. Macché, la storia si dipana, nella prima fase, nella rappresentazione tranquilla di una vacanza al mare, località Montenegro – quindi la ex Jugoslavia – dove un giovane marito trentenne, pur se 'disturbato' dal pensiero per una donna più grande di lui, si gode la sua vacanza con la 'moglie-bambina', qua e là 'distratti' dalla presenza magnetica del gigante-hippie
La seconda parte di apre con un coup de téâtre – la scoperta da parte del lettore – che la donna più grande non è altri che la suocera del protagonista che, presa una decisione improvvisa, raggiunge la coppia nella località balneare montenegrina.
Si diceva, nel titolo, della modernità del Bigiaretti: potremmo definirla tale sia da un punto di vista strettamente narrativo – pensiamo alla svolta improvvisa ed astuta della presenza della suocera che ha l'apparenza di un vero e proprio aggiustamento da narrativa gialla-psicologica – sia da un punto di vista linguistico. Ha ragione Gianfranco Franchi quando scrive del romanzo... vivo d'una scrittura caratterizzata da un periodare a volte straziato da un asmatico respiro, in una lingua a volte curiosamente letteraria e altrimenti e altrove bassamente giornalistica. Infatti proprio questa frammentazione dello stile ce lo rende contemporaneo e 'giovanile'.
La fortuna – sempre relativa – del libro credo sia dipesa, in ultima analisi, dagli elementi finora segnalati: una rappresentazione 'estiva' dove il deus ex machina della situazione non è il vissuto, ma paradossalmente il desiderato. E dove agisce di fondo un'ambiguità certosina – la si riscontra anche nelle ultime righe della storia – che è dettata sì dai tempi, ma anche da una volontà precisa di Bigiaretti di renderla censoria.
Ma censoria dal punto di vista sociologico piuttosto che moralistico.
Poi ha di nuovo ragione il Franchi: Interessante campione della narrativa minore italiana della seconda metà del Novecento, adorabile solo in questo frangente (...): "L'unica cosa insensata che riconosco in questa faccenda è la sproporzione tra causa e effetto. Uno ha il vizio di fumare se fuma, io ho il vizio di te senza averti mai avuto".
Il solo rischio però, e lo sappiamo in due, forse tre, che quel che era minore allora, sarebbe maggiore adesso... ça va sans dire.
L'edizione da noi considerata è:
Libero Bigiaretti
La controfigura
Bompiani - 1968
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