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CINEMA E MUSICA

Adriano Angelini

La terra di Heligo è dark e lisergica. E' il ritorno dei Massive Attack.

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Dove sia Heligoland non sapevamo, pare sia un isola dell'arcipelago tedesco. Da Bristol, città natale del duo elettronico più famoso del mondo, da lì si potrebbe finire in Africa passando per i sotterranei del pianeta. Ciò che sappiamo è che dopo sette anni i Massive Attack, finalmente, hanno ridato alle stampe un loro album. Heligoland, appunto. L'attesa intorno a Del Naja e Marshall era tanta, febbrile, in realtà ci stavamo spazientendo. Il risultato è, ai primi ascolti, soddisfacente. C'è tutto quello che ci si aspettava, sicuramente c'è qualcosa in meno. Se ci sarà qualcosa in più sarà il tempo a dirlo.

Iniziamo dalle perle. Pray for rain, un mantra monocorde e un'apertura spiazzante. La voce di Tunde Adebimpe incisiva e incalzante. Geniali e sublimi le pause e le riprese. Come si rimanesse senza fiato in attesa di una nuova vibrazione, che puntualmente arriva. Poi Splitting the atom. Sontuosa. Andate sul loro sito (www.massiveattack.com), guardate il video, regia di Eduard Salier. Una delle cose più straordinarie realizzate con l'animazione digitale di questi tempi; un mondo oltre la visionarietà di Dark City del regista Alexis Proyas. Cubi e parallelepipedi, nero oltre Gotham City e Batman. Un altro mantra, stavolta lisergico e messianico. Passiamo a Flat of the blade, altro giro altra perla. Stavolta a cullare le nostre paranoie è la voce quasi unica di Guy Garvey, leader e poeta degli Elbow. Altro video da ammirare sul sito, stavolta per la regia di Ewen Spencer. Qui i suoni giggioneggiano dal trip hop alla ballata elettronica ma chi ama gli Elbow non potrà non riconoscervi il marchio indelebile, l'atmosfera melanconica che si respira nel loro ultimo album The seldom seen kid. Ultima perla (bè quattro non sono poche, su): Atlas air. Qui si passa da una tranquilla battuta di percussione elettro all'incalzare del suono magnetico e scatenato che ha caratterizzato il duo di Bristol, la voce suadente di Del Naja che pian piano conduce (in India e in Medio Oriente dal sottofondo) verso i mai sopiti richiami del corpo che chiede di muoversi, di ballare. Di reinventarsi il suo ritmo. Passiamo ai pezzi buoni. Girl I love you, ariose atmosfere, la voce collaudata di Horace Andy che tiene bene la melodia e che aiuta, come già in passato, a canticchiare e a ballare. Siamo dalle parti di Protection. Poi c'è Paradise circus, anche qui la melodia è perfettamente riuscita, il riff della tastiera ipnotico, la voce di Hope Sandoval che richiama (troppo?) le francesine à la page che ultimamente fanno dischi in inglese. Poi c'è Saturday comes slow e qui c'è da fare un breve inciso. Il fatto che i Massive abbiano coinvolto Damon Albarn in questo disco è già di per sé un evento grandioso. Il pezzo è una lenta ballata di cui al primo impatto non rimane gran che. Tuttavia il bello sta esattamente in questo. Quanto scommettiamo su questo pezzo? Uscirà alla lunga. Va fatto maturare (decantare) come il buon vino. Do you love me? chiede Damon nello struggente ritornello finale. Sì, noi ti amiamo ma un pezzo di 3 minuti 29 secondi dei Massive non si è mai sentito. Troppo poco Damon, troppo poco per la tua bellezza. Ultima venne Psyche; docile e levigata la voce di Martina Topley Bird accarezza il guizzante tappeto sonoro in un contrasto di ritmiche azzardato ma riuscito.

Chiudiamo coi pezzi così così. Babel e Rush minute. Se quest'ultima una sua dignità melodica almeno ce l'ha e prova, stentatamente, a farla uscire durante il decorso del pezzo, la prima è un riempitivo inutile. Sull'EP uscito a ottobre, oltre a Psyche, c'era un capolavoro ignorato, si chiamava Bulletproof love; facciamo finta che si siano sbagliati e che se la siano dimenticata in corsa e che qualche cattivo manager abbia voluto infilarci all'ultimo un pezzo come Babel per far loro un dispetto.

Ben tornati inventori del trip hop. Ci siete mancati.





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