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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Renzo Favaron

Il luddista

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Spengo il PC e vado alla biblioteca comunale.
     Cosa spero di trovare? Non so, ma ho la sensazione che la clandestinità di papà si spieghi solo in parte con la guerra partigiana e l'attentato a Palmiro Togliatti.   
  Meglio comunque se sfoglio qualche libro di storia locale, piuttosto che rifletterci troppo. Dopotutto, non posso negare che più leggo, più ho paura di non trovare niente di interessante, il che mi costringerebbe a rivedere la logica delle mie congetture, o tutt'al più ad accontentarmi di esse.
    Invece, trovo una tesi di laurea che ha per oggetto: «Le lotte bracciantili nella zona veneta del delta padano (1946/1954)».
     E, a un certo punto, leggo:
     «...nel novembre del 1947 la Confederazione degli agricoltori non vuole riconoscere il diritto di rivendicare il nuovo contratto...
     È a questo punto che i braccianti prendono l'iniziativa in modo da mobilitare l'intero paese...
    E poiché l'unico punto di forza in questa stagione è la stalla, attorno a essa si concentra l'iniziativa degli scioperanti...
     …dal 21 dicembre... le stalle vengono assediate... fino a quando il bestiame cominciò a morire».
     Più procedo nella lettura, più mi convinco che papà era tra coloro che diedero vita e animarono le lotte bracciantili di allora. In fondo, non era come se attraverso di esse si ritrovasse a fare le stesse cose di quando combatteva i tedeschi e i fascisti?.
   «Poco o nulla era cambiato per il bracciante, soprattutto se era comunista» così ha detto l'albergatore. «Al primo problema i proprietari della terre ti mettevano l'etichetta e si passavano la parola». Lui ricordava che non era concesso a chi faceva il sindacalista di avvicinarsi ai braccianti che lavoravano nei campi. «Se li scopriva il caporale erano guai per tutti», così ha detto. «Nessuna umanità, anzi. I padroni sapevano tutto di tutti, c'erano spie in tutto il paese. E poi, anche se non ne avevano bisogno, c'era chi interpretava la loro voce. Il parroco, per esempio», così lui, «che la rafforzava nelle prediche in chiesa facendole seguire dall'elenco dei nomi e cognomi, snocciolato a mo' di rosario, di quelli che non andavano nei campi a lavorare la terra».
     Avevo la testa ancora piena dei resoconti di cui ero venuto a conoscenza e non avevo dubbi circa la risposta, ciononostante non ho potuto fare a meno di domandare: «Faceva il salariato?». L'albergatore sapeva perfettamente a chi mi riferivo e forse sapeva anche che io sapevo la risposta, tanto che tutta la sua faccia ha sorriso: «Non era da lui».
     Sì, non è mai stato un grande lavoratore e il presidente della Confederterra di quegli anni, così ho letto, nominava papà tra i più accesi sostenitori di una lotta di tipo «luddista».
    Ricordo che una volta, chiamato dalla scuola per una nota che mi era stata affibbiata, disse al preside che ci sono cavalli da soma e cavalli selvaggi. Disse proprio «cavalli selvaggi», e all'albergatore ho detto che era come questi. Lui ha ribattuto, ripensando a papà, che a volte pensava che fosse pazzo, altre volte che non lo fosse.
      Si è alzato dalla tavola, ha preso la caraffa ed è andato a riempirla.
     «E ora» ha proseguito quando è tornato «immagina: tutti gli agrari hanno ritirato la disdetta dei contratti, tranne uno. Alcuni braccianti vanno a bloccare il ponte, altri vanno all'ingresso della casa: la facciata bianca e pulita, il rintocco del battente di ottone contro la porta di noce, la grande finestra incorniciata da una balaustra di colonnine in pietra, dicono che qui la legge è apprezzata e rispettata. Nell'aia, davanti alla casa, c'è una Mercedes rossa, la ciliegina sulla torta. In fondo, quasi nascosti, ci sono tre casoni, dove i braccianti alloggiano stipati come sardine.
    «Il caporale è stato chiaro: “O magnè sta minestra, o ve mando”. Poi esce e si avvicina ai cancelli. È un omone, due spalle più larghe di quelle di tuo papà, ha la faccia scura ed è vestito alla cacciatora; ha due mani bianche come neve ed una doppietta a tracolla.
      «”Sito 'ncora cuà?” dice a tuo papà.
      «”Ncora cuà”.
      «”Cuei cofà ti no' li voemo”.
      «E tuo papà gli dice: “E cuei cofà ti ancuò li soteremo”.
      «”Mi no' sarìa cussì sicuro”.
      «”Parché te gh'è la sc-iopa?”.
      «Il caporale si succhia le guance: “Da chi on fià sarà cuà i carabinieri”, dice.
      «”Ghe xe de le regole e cueste vale par ti e pa'l to paron”, ribatte tuo papà. “O voialtri sio i pì bei?”.
      «”Ognun xe paron a casa soa”.
      «“La tera xe de tuti. Ghe xe de le regole e cueste xe da la nostra parte”.
      «”Ancuò se lavora”, dice il caporale, alzando la voce. “Meteteo in testa”.
      «Tuo papà ghigna: “No. Punto e basta”.
      «”Cossa gheto in-te chea crapa?”.
      «”De sicuro no' gò spironà de loame”.
    «A questo punto Corrado, il fratello di tuo papà, inizia a suonare il violino», ha detto l'albergatore. «Allora il caporale afferra la doppietta, spara due colpi in aria e la punta dritto in faccia a tuo padre.
    «Si guardano negli occhi in silenzio e Corrado va a mattersi tra l'uno e l'altro, a barriera, a protezione.
      «Continua a suonare e tuo padre gli dice: “Avanti”.
    «Il caporale leva il pugno, minacciando di sparare a Corrado se non la smette. “'Ndemo a tirare fòra i salariati inciavà nei casoni”, dice tuo papà, e quelli dietro a lui gridano: “Sito mato, Nane?”. Lui si gira, li guarda a uno a uno, poi ripete: “Avanti”.
      «Corrado supera il caporale e arriva ai casoni. Intanto il caporale ha abbassato la doppietta.
   «I braccianti escono: Corrado li precede, inclinando ritmicamente il busto e suonando Rosamunda. I braccianti che lo seguono e quelli dietro a tuo papà, la cantano. Hanno tutti le mani screpolate e, mentre cantano, arrivano tre carabinieri con il fiato grosso, e con le divise sporche di palta: hanno attraversato fossi e canali, perché il blocco sul ponte non li ha fatti passare. «Abbiamo sentito degli spari», dice uno di loro.
    «Nessuno risponde. I due gruppi di braccianti s'incontrano, si abbracciano e, continuando a cantare, si lasciano alle spalle i carabinieri e il caporale».
      











  




  

     Avevo la gola secca, come se fossi stato io a raccontare. Mi sono bevuto mezzo bicchiere di vino e passato la lingua sulle labbra.
      «Quando c'è stata la perquisizione domiciliare?», ho chiesto all'albergatore.
       «Due giorni dopo lo sciopero».
      Ho scosso la testa, sospirando: «Coincidenza?».
      «No», ha fatto lui. «Qualcuno si era lasciato comprare».
      Tuto ciaro: «Qualcuno si era lasciato comprare» e papà si era fatto sei anni oltre cortina per aver posseduto munizioni e un fucile mitragliatore che forse non aveva mai usato neanche da partigiano.




Glossarietto:

Cofà = come.
Ancuò = oggi.
Sc-iopa  = doppietta, fucile da caccia.
Spironà de loame = forchettata di letame.
Inciavà = chiusi



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