CLASSICI
Alfredo Ronci
E dove lo mettiamo lui?: “Il velocifero” di Luigi Santucci.
Questo libro uscì nel 1963 e riscontrò anche un certo interesse, tanto che solo in Italia riuscì a vendere quasi centomila copie. Già 1963, quando la letteratura italiana “tremò” perché si era affacciata un’orda di contestatori che avrebbe indicato vie nuove al nostro modo di vedersi e soprattutto di vedere il mondo.
E chi erano questi contestatori? I neoavanguardisti, tipo Sanguineti, che diceva che l’avanguardia… si costituisce alle radici, nella forma della contestazione, nell’atto stesso in cui si genera sul terreno estetico, mette in causa, immediatamente, la struttura stessa dei rapporti sociali.
In più quelli che dicevano che si desiderava l’uguaglianza sociale e la più illuminata libertà. L’avanguardia vorrebbe essere raggiunta da tutti: nel senso che il testo non sarà comprensibile per nessuno. I valori nuovi debbono essere consapevoli della loro precarietà. La struttura è la stessa: dissacrazione sia della vita che del mondo.
Lo stesso Walter Pedullà scriveva: Tornando al metodo, l’accusa all’ideologia è di “imprigionare” e “non seguire le cose”. Sotto il profilo filosofico il compito nuovo consiste nello “spostare un asse assai metafisico, tanto caro ai vecchi come ai nuovi realisti postbellici, da una definizione del mondo reale dato anteriormente ad ogni esperienza verso una nozione del “mondo reale”.
Della serie: fulmini e saette. E chi non si riconosceva in questo “bailamme terroristico”? E’ chiaro che vittime ce ne furono, anche personaggi che fino ad allora avevano in qualche modo tenute le redini della nostra letteratura: Cassola, per esempio, e anche e soprattutto Bassani. E Santucci, che nel 1963 vendeva centomila copie del suo libro, dove si collocava?
Sentiamo cosa ci dice l’introduzione alla prima edizione degli Oscar Mondadori: la vita di Santucci è, come si diceva, prevalentemente chiusa nella cerchia della sua città e del suo lavoro, e si scandisce e si configura – più che in episodi di rilievo – nei libri, negli studi e nei vagabondaggi della fantasia sulla pagina. (…) Santucci è comunque uno scrittore la cui biografia – scarsa come si diceva di eventi e di spostamenti esteriori – va cercata e ricostruita in controluce dai suoi libri che in prevalenza esprimono, se non proprio i fatti della sua vita, gli ambienti, gl’interessi e gl’incontri che hanno alimentato il suo tempo umano.
In parole povere ci troviamo di fronte ad un uomo, anzi, ad uno scrittore, che vive senza grandi traumi e senza grandi traumi riversa sui fogli questa sua visione. Eppure, nel corso della sua attività letteraria, aveva tentato anche qualche altro passo. Per esempio, negli ultimi tempi, esattamente nel 1967, tentò la carta della fantascienza col romanzo Orfeo in Paradiso (che tra l’altro ottenne proprio nel 1967 il premio Campiello). Per carità, definire così un romanzo di Santucci può essere considerato quasi una sfida. Comunque c’erano delle affinità con qualche altro romanzo di genere fantastico. E’ la storia di un figlio che, attraverso una sorta di patto faustiano, ottiene di far girare indietro la macchina degli anni, così da colmare la sua disperazione per la morte della madre. E andando indietro negli anni ri-vive la nascita della madre e tutto il suo percorso esistenziale e anche storico, visto che si fa cenno alla rivoluzione del ’98 a Milano e al dramma di Caporetto.
Al di là degli esempi che si possono fare sulle storie di Santucci, anche Orfeo in Paradiso soffre di quella funzione romantica alla base del suo scrivere. Quindi anche gli affetti più intimi e anche le tragedie che spesso possono colpire i nuclei familiari.
Il velocifero, del 1963 (voglio metterlo ancora una volta in evidenza) lo è ancora di più: narra la vicenda di una grossa e pittoresca famiglia nella Milano della belle époque e soprattutto dei protagonisti Renzo e Silvia Bellaviti. In questa storia l’autore s’impegna a toccare con mano tutta la gamma dei valori e dei sentimenti.
Tanto per darvi un’idea, sentite cosa scrive il Santucci a proposito dell’affetto della donna di casa nei confronti del piccolo Renzo: Per quel mezzo uomo cresciutole fra le sottane, Marietta provava ben più della benigna tolleranza accordata al nonno e a Panfilo. Gli voleva un bene sanguigno e cieco, geloso e indiscreto che le guastava l’umore ogni volta che il suo pupillo, come in quei giorni, era fuori di casa.
Tipo Cuore di De Amicis. Ma piaceva tanto. E bastava così.
L’edizione da noi considerata è:
Luigi Santucci
Il velocifero
Oscar Mondadori
E chi erano questi contestatori? I neoavanguardisti, tipo Sanguineti, che diceva che l’avanguardia… si costituisce alle radici, nella forma della contestazione, nell’atto stesso in cui si genera sul terreno estetico, mette in causa, immediatamente, la struttura stessa dei rapporti sociali.
In più quelli che dicevano che si desiderava l’uguaglianza sociale e la più illuminata libertà. L’avanguardia vorrebbe essere raggiunta da tutti: nel senso che il testo non sarà comprensibile per nessuno. I valori nuovi debbono essere consapevoli della loro precarietà. La struttura è la stessa: dissacrazione sia della vita che del mondo.
Lo stesso Walter Pedullà scriveva: Tornando al metodo, l’accusa all’ideologia è di “imprigionare” e “non seguire le cose”. Sotto il profilo filosofico il compito nuovo consiste nello “spostare un asse assai metafisico, tanto caro ai vecchi come ai nuovi realisti postbellici, da una definizione del mondo reale dato anteriormente ad ogni esperienza verso una nozione del “mondo reale”.
Della serie: fulmini e saette. E chi non si riconosceva in questo “bailamme terroristico”? E’ chiaro che vittime ce ne furono, anche personaggi che fino ad allora avevano in qualche modo tenute le redini della nostra letteratura: Cassola, per esempio, e anche e soprattutto Bassani. E Santucci, che nel 1963 vendeva centomila copie del suo libro, dove si collocava?
Sentiamo cosa ci dice l’introduzione alla prima edizione degli Oscar Mondadori: la vita di Santucci è, come si diceva, prevalentemente chiusa nella cerchia della sua città e del suo lavoro, e si scandisce e si configura – più che in episodi di rilievo – nei libri, negli studi e nei vagabondaggi della fantasia sulla pagina. (…) Santucci è comunque uno scrittore la cui biografia – scarsa come si diceva di eventi e di spostamenti esteriori – va cercata e ricostruita in controluce dai suoi libri che in prevalenza esprimono, se non proprio i fatti della sua vita, gli ambienti, gl’interessi e gl’incontri che hanno alimentato il suo tempo umano.
In parole povere ci troviamo di fronte ad un uomo, anzi, ad uno scrittore, che vive senza grandi traumi e senza grandi traumi riversa sui fogli questa sua visione. Eppure, nel corso della sua attività letteraria, aveva tentato anche qualche altro passo. Per esempio, negli ultimi tempi, esattamente nel 1967, tentò la carta della fantascienza col romanzo Orfeo in Paradiso (che tra l’altro ottenne proprio nel 1967 il premio Campiello). Per carità, definire così un romanzo di Santucci può essere considerato quasi una sfida. Comunque c’erano delle affinità con qualche altro romanzo di genere fantastico. E’ la storia di un figlio che, attraverso una sorta di patto faustiano, ottiene di far girare indietro la macchina degli anni, così da colmare la sua disperazione per la morte della madre. E andando indietro negli anni ri-vive la nascita della madre e tutto il suo percorso esistenziale e anche storico, visto che si fa cenno alla rivoluzione del ’98 a Milano e al dramma di Caporetto.
Al di là degli esempi che si possono fare sulle storie di Santucci, anche Orfeo in Paradiso soffre di quella funzione romantica alla base del suo scrivere. Quindi anche gli affetti più intimi e anche le tragedie che spesso possono colpire i nuclei familiari.
Il velocifero, del 1963 (voglio metterlo ancora una volta in evidenza) lo è ancora di più: narra la vicenda di una grossa e pittoresca famiglia nella Milano della belle époque e soprattutto dei protagonisti Renzo e Silvia Bellaviti. In questa storia l’autore s’impegna a toccare con mano tutta la gamma dei valori e dei sentimenti.
Tanto per darvi un’idea, sentite cosa scrive il Santucci a proposito dell’affetto della donna di casa nei confronti del piccolo Renzo: Per quel mezzo uomo cresciutole fra le sottane, Marietta provava ben più della benigna tolleranza accordata al nonno e a Panfilo. Gli voleva un bene sanguigno e cieco, geloso e indiscreto che le guastava l’umore ogni volta che il suo pupillo, come in quei giorni, era fuori di casa.
Tipo Cuore di De Amicis. Ma piaceva tanto. E bastava così.
L’edizione da noi considerata è:
Luigi Santucci
Il velocifero
Oscar Mondadori
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