CLASSICI
Alfredo Ronci
Un maestro: Carlo Emilio Gadda. “L’Adalgisa”.

Scriveva Gianfranco Contini tempo fa in occasione della pubblicazione dell’opera omnia di Gadda realizzata da Garzanti: Fu dunque ben legittimo che al cuore dei primi festeggiamenti milanesi per Gadda, nel 1983, fosse la bella mostra che andò a chiudere ospitalità proprio nella casa del Manzoni. Fu allora che noi vecchi fanatici di Gadda, noi “venticinque (ma forse molto meno) lettori”, fans del Gadda milanese, dell’Adalgisa prima che fosse Adalgisa, persuasi di coltivare una passione per happy few, comprendemmo che la dirompente gloria del nostro amico era dovuta meno, oggettivamente, al subentrare di una nuova generazione, al mutamento del pubblico. Non arrivano solo critici più giovani, sui quali autorevoli anziani aggiustavano il tiro (più vistosa l’adesione di Cecchi), ma lettori per così dire anonimi. I promotori delle prime celebrazioni si chiamavano Andrea Comotti e Roberto Brunelli; ne è rimasta, firmata dal primo, una pregevolissima ‘Antologia gaddiana di pagine milanesi’ intitolata (un po’ bizzarramente nell’aggettivo La Milano disparsa di C.E.Gadda (Garzanti 1983), dove ogni pagina è illustrata da impagabili immagini retrospettive. E’la visualizzazione del ‘nostro’ Gadda, anche se aggiornata da dilatazioni di là e (per il recupero scritti più antichi) di qua dalle frontiere dell’Adalgisa e narrazioni congeneri.
Dunque, da questo omaggio (io la definirei una vera e propria lode, o innamoramento) di Contini si possono dedurre alcune cose. Essenzialmente due. Che Gadda, ai suoi tempi (intorno agli anni venti e trenta), non era assolutamente ben voluto (intellettualmente) e che negli anni ottanta, cioè gli anni della manifestazione gaddiana cui partecipa Contini, le cose migliorarono appena un mozzico. E che L’Adalgisa costituì, nella lunga carriera narrativa di Gadda, un assoluto punto di riferimento, non solo dal punto di vista dell’appartenenza milanese.
Sulla non “comprensione” di Gadda, soprattutto negli anni iniziali del novecento, una spiegazione potrebbe essere quella di una difficoltà intrinseca dei suoi scritti. Un profluvio di lemmi e dialetti che fino ad allora non si era mai visto e che in qualche modo metteva a dura prova chi, forse, nell’arte del racconto, s’aspettava qualcosa di diverso. Addirittura un altro fan (ma quasi contemporaneo) di Gadda, e cioè Walter Pedullà, in un suo saggio sull’autore ebbe a scrivere: Il racconto L’Adalgisa non è solo il più celebre della raccolta ma anche quello unanimemente giudicato il migliore.
In questo giudizio non vorrei contraddire il giudizio ferreo e preciso del Pedullà, ma nella sua analisi io credo che in qualche modo abbia voluto dire che L’Adalgisa non solo fosse il più bello e il più riuscito ma, non prendetemi come un bestemmiatore, il più “comprensibile (al di là di certe ambientazioni milanesi). Anche perché, sempre parlando dell’opera, aggiunge (anzi anticipa): Molto locale è anche la lingua, nella quale il tasso dialettale è elevatissimo: il milanese assurge a ruolo di protagonista dell’Adalgisa.
Adalgisa, nonostante gli inizi di varietà (era una buona cantante, in grado, forse, di assicurarsi un futuro) è una donna forte e risoluta che ad un certo punto della sua vita s’innamora di un uomo bello, con formidabili baffi neri e un’assoluta inclinazione alle imprese scientifiche: Ed oltre che appassionato filatelico era un dilettante mineralogista: parlava di cassiterite e di orneblenda, di schisti e di faglie: di stato crioscopico, di allotropia, di rocce peridotiche-serpentinose…
E’ chiaro che di fronte a simile sapienza l’Adalgisa, nonostante l’amore per l’uomo, subisca però anche una certa problematicità. Ma quando Carlo, lo sposo, muore prematuramente, la donna, anche con due figli da mantenere, passa al contrattacco: non ha più tempo per pensare all’arte, al punto che quando le tocca di accennare alla poesia, ne pronuncia il nome come se parlasse di feci: “Voglio dire sta’ allegra, non essere triste. E’ tutta poesia, nient’altro che poesia, credi a me…” Disse “poesia” come avrebbe detto le feci o altri materiali putrescenti”.
Va oltre: quando si reca al cimitero, di fronte ad un immenso Nettuno, che mostra i suoi organi sessuali, prende una spugna e si mette a pulirli. Come già Pedullà ha detto: L’Adalgisa è una donna normale, ma nessun gesto umano è innocente. Ha qualche problema sessuale la buona madre di famiglia?
In verità non lo sappiamo, certo è che di fronte all’avanzare dell’Arte, alla Adalgisa non rimane che contrapporre una normalità vincente.
L’Adalgisa, con i suoi dialettismi milanesi, è un romanzo che, alla fine, lo si fa editare nel 1944. Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, col suo romanaccio ben formulato è del 1957. Ma lì è tutta un’altra storia.
L’edizione da noi considerata è:
Carlo Emilio Gadda
L’Adalgisa
Garzanti - Elefanti
Dunque, da questo omaggio (io la definirei una vera e propria lode, o innamoramento) di Contini si possono dedurre alcune cose. Essenzialmente due. Che Gadda, ai suoi tempi (intorno agli anni venti e trenta), non era assolutamente ben voluto (intellettualmente) e che negli anni ottanta, cioè gli anni della manifestazione gaddiana cui partecipa Contini, le cose migliorarono appena un mozzico. E che L’Adalgisa costituì, nella lunga carriera narrativa di Gadda, un assoluto punto di riferimento, non solo dal punto di vista dell’appartenenza milanese.
Sulla non “comprensione” di Gadda, soprattutto negli anni iniziali del novecento, una spiegazione potrebbe essere quella di una difficoltà intrinseca dei suoi scritti. Un profluvio di lemmi e dialetti che fino ad allora non si era mai visto e che in qualche modo metteva a dura prova chi, forse, nell’arte del racconto, s’aspettava qualcosa di diverso. Addirittura un altro fan (ma quasi contemporaneo) di Gadda, e cioè Walter Pedullà, in un suo saggio sull’autore ebbe a scrivere: Il racconto L’Adalgisa non è solo il più celebre della raccolta ma anche quello unanimemente giudicato il migliore.
In questo giudizio non vorrei contraddire il giudizio ferreo e preciso del Pedullà, ma nella sua analisi io credo che in qualche modo abbia voluto dire che L’Adalgisa non solo fosse il più bello e il più riuscito ma, non prendetemi come un bestemmiatore, il più “comprensibile (al di là di certe ambientazioni milanesi). Anche perché, sempre parlando dell’opera, aggiunge (anzi anticipa): Molto locale è anche la lingua, nella quale il tasso dialettale è elevatissimo: il milanese assurge a ruolo di protagonista dell’Adalgisa.
Adalgisa, nonostante gli inizi di varietà (era una buona cantante, in grado, forse, di assicurarsi un futuro) è una donna forte e risoluta che ad un certo punto della sua vita s’innamora di un uomo bello, con formidabili baffi neri e un’assoluta inclinazione alle imprese scientifiche: Ed oltre che appassionato filatelico era un dilettante mineralogista: parlava di cassiterite e di orneblenda, di schisti e di faglie: di stato crioscopico, di allotropia, di rocce peridotiche-serpentinose…
E’ chiaro che di fronte a simile sapienza l’Adalgisa, nonostante l’amore per l’uomo, subisca però anche una certa problematicità. Ma quando Carlo, lo sposo, muore prematuramente, la donna, anche con due figli da mantenere, passa al contrattacco: non ha più tempo per pensare all’arte, al punto che quando le tocca di accennare alla poesia, ne pronuncia il nome come se parlasse di feci: “Voglio dire sta’ allegra, non essere triste. E’ tutta poesia, nient’altro che poesia, credi a me…” Disse “poesia” come avrebbe detto le feci o altri materiali putrescenti”.
Va oltre: quando si reca al cimitero, di fronte ad un immenso Nettuno, che mostra i suoi organi sessuali, prende una spugna e si mette a pulirli. Come già Pedullà ha detto: L’Adalgisa è una donna normale, ma nessun gesto umano è innocente. Ha qualche problema sessuale la buona madre di famiglia?
In verità non lo sappiamo, certo è che di fronte all’avanzare dell’Arte, alla Adalgisa non rimane che contrapporre una normalità vincente.
L’Adalgisa, con i suoi dialettismi milanesi, è un romanzo che, alla fine, lo si fa editare nel 1944. Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, col suo romanaccio ben formulato è del 1957. Ma lì è tutta un’altra storia.
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