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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Francesco Consiglio

Babbaluci (o mangi chiocciole, o lumache senza guscio)

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Crich, cricche, cricchete, croch... il suono impronunciabile del guscio che s'incrina, della chiocciola che muore sotto i denti, scravazzata con la ca-sa, con tutta la conchiglia, e mai che la Palmina mi abbia detto perché mai, perché le divorava tutte intere, mai che si levò questo gran peso, oblio di gio-vinezza, venefico, nascosto, cucito nella testa per tutti i quindici anni che in-segnò a Mazara, e non ci fu natale, né festa comandata, né coda o capo d'anno, che la vide rinunciare al suo cri...i...i...ch, al suo cricche, al suo cricchete, al suo croch di babbaluci, piccole e rigate, cotte al sugo e mangiate avidamente, da selvaggia.
L'abbuffata inoculava nei suoi sensi il sacro fuoco della pia benevolen-za. Colpita da una sorta di estasi caritatevole, l'eccentrica e riservata maestri-na si cangiava in un modello di porcella, una femmina mandracchia disposta a dar servizi di labbra e mammellette. In tal guisa, travagliandomi di fino e ac-cettando certi succhi da fare gargarismi, mi toglieva l'intenzione di chiederle il perché di quelle vastasate da paria della cucina.
L'enimma fu risolto da una lettera che Palmina mi spedì un mese dopo il suo trasferimento a Montichiari, a mille e più chilometri dalle rapaci nostalgie del mio paperagiàn. Con un'imprevedibile zoppia grammaticale, dovuta forse all'emozione del racconto, la mia ghiotta fellatrice mi confessava che a quasi sedici anni, un suo picciotto, incaniato dai troppi tradimenti, l'aveva possedu-ta sopra un letto di chiocciole, prendendola alle spalle e condannandola a go-dere con la bocca spalancata su quel popolo di bestie cornute. D'allora, nono-stante un gran firriare di dottori, il suo cervello era rimasto un cricchi e croc-chi, e ogni volta che pensava a quella stramba umiliazione, piuttosto che schi-farsi si bagnava fino all'osso.
Così, per soddisfare o per fregare il proprio pelo, ancora misurava due opposte soluzioni: incollarsi al primo ciccio, o muover masticando sulle stronze babbaluci. La seconda, spesso non bastava.

LA RICETTA: BABBALUCI A PICCHIPACCHI, SENZA SPURGO E CON ATTI POCO SESSUALI MA DECISAMENTE PERVERSI (Affinché le più potenti maestà sottane possano ricondurre questa ricetta entro i confini della buona gastronomia sessuale, si danno gli ingredienti per 4 chiavatine in-tervallate da 3 pasti)

Dovete essere crudeli, buttare in acqua 60 babbaluci, tuffarle vive in una pentola che bolle (cos'è il mondo: una barbarie...), e quando le vedrete di-stendersi dal guscio, supplici e morenti, dovete essere crudeli, un'altra volta, e farle cuocere per 15 minuti.
Intanto, nella terracotta, avrete fatto appassire d'olio un trito di cipolla, e con l'aggiunta di 400 grammi di pomodori sbucciati e passati al setaccio, sarete pronti a salare, pepare e cuocere per 10 minuti.
Quando la salsa è pronta, versatela sulle salme delle poverette e, mesco-lando a fuoco lento, contate gli ultimi 5 minuti.
Mangiando babbaluci s'imparano più arti: in primis, a succhiare, che prepara a certi lavoretti fuori casa. Poi, non trascurabile, a ingerire tutto: dol-ci e catameni, liquidi e spruzzaglia, anche la merda.
Ah, dimenticavo! Consiglio per le giovani fanciulle: se l'occhio di un papà bigotto v'impedisce di produrvi in forti sucatine, usate stecchini di pla-stica o d'avorio. Non rovinate la vostra immaginetta: non fatevi tentare dagli spilli.


Francesco Consiglio

Nato a Realmonte, a pochi chilometri da Porto Empedocle Vigata, il paese reso celebre dai romanzi di Andrea Camilleri. Si interessa di teatro, alcune sue composizioni sono state portate in scena, e di letteratura in genere. Ha pubblicato una favola illustrata e una biografia per immagini di un'importante azienda familiare abruzzese.



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