CINEMA E MUSICA
Adriano Angelini
Vince il rock nonostante tanta elettro-dance.
1 – Embryonics – Flaming Lips. Vi ho detto tutto nell'articolo uscito due settimane fa sul Paradiso, nella rubrica Telesuono. Rileggetevelo. Post Rock e invenzioni da strapparsi i capelli, e le orecchie. Ti amo Wayne!
2 – Choral – Mountains. Un inno alla gioia e al dolore. Nient'altro. Elettronica in evoluzione, difficile poterne parlare. Sentitelo e basta.
3 – In this light and on this evening – Editors. Dunque, sembrano un altro gruppo rispetto a quelli di An end has a start ma spiazzano positivamente. A parte il tormentone del singolo "Papillon" vi invito ad ascoltare la struggente "The boxer", o a godere della grandeuse della title track. Cupi, cupi indietro negli anni'80. Sì, così, reinventiamoli!
4 – The dance paradox – Red Shape. Berlinese. Altro dj spaziale. Altro suono ipnotico e catartico, dal ritmo incalzante, dalle session sfiancanti e i loop magnetici. "Seduce me" è di una bellezza triste. Mentre ballate, piangete.
5 – White bird release – Pan American. Come e oltre i Boards of Canada. Una musica ambient di grande raffinatezza, il bel progetto di Mark Nelson che va avanti da quasi 15 anni, senza fanfare o grandi esposizioni. Leggero, onirico, vi trasporta oltre. E vi ci lascia. (Forse l'album è del 2008, ma chi se ne frega!)
6 – Yes – Pet Shop Boys. Ebbene sì, i Pet Shop Boys di Neil Tennant, a distanza di anni, hanno composto un album fantastico, poppissimo, gustoso, melodico, iper retrò e non modaiolo (infatti le radio e le pubblicità stavolta li hanno snobbati). Lunga vita agli anni Ottanta! Tanto Milano non è più da bere.
7 - Kaiku – Kiki. Finlandese. DJ e ricercatore di suoni techno minimal. Un bell'impasto di dance ed elettronica. Di ritmo e percussioni synth. Vigore e armonia. Non si sta fermi un attimo. Una bella pagina per il genere che conferma lo strapotere dei nordici europei.
8 – Dying in time – Port Royal. Evviva, allelujah! Un gruppo italiano che non solo riesce a uscire dalle frontiere di provincetta, ma fa grandissima musica elettronica. Evviva, Urrà! Se ne sbatteo della lingua e di quei poveri fascio-stalinisti autarchici della canzonetta (e del cantautorato).
9 – Primary colors – The Horrors. Fanno tanto Joy Division, post-punk, dark di ritorno, molto molto più degli Editors, al limite del plagio. Ma piacciono, convince il suono e convince la sfacciataggine di rifare il verso agli immortali. "Who can say" l'ascolto obbligato.
10 – West rider pauper lunatic asylum – Kasabian. Brit-rock, molto anni '70, forse troppi rimandi ai Doors ma, a mio avviso, il miglior singolo dell'anno, "Where did all the love go", ritmo ipnotico e trascinante. Un incantesimo di bellezza. E poi "Underdog", altro trip di psichedelia fantastica à la Stone Roses.
2 – Choral – Mountains. Un inno alla gioia e al dolore. Nient'altro. Elettronica in evoluzione, difficile poterne parlare. Sentitelo e basta.
3 – In this light and on this evening – Editors. Dunque, sembrano un altro gruppo rispetto a quelli di An end has a start ma spiazzano positivamente. A parte il tormentone del singolo "Papillon" vi invito ad ascoltare la struggente "The boxer", o a godere della grandeuse della title track. Cupi, cupi indietro negli anni'80. Sì, così, reinventiamoli!
4 – The dance paradox – Red Shape. Berlinese. Altro dj spaziale. Altro suono ipnotico e catartico, dal ritmo incalzante, dalle session sfiancanti e i loop magnetici. "Seduce me" è di una bellezza triste. Mentre ballate, piangete.
5 – White bird release – Pan American. Come e oltre i Boards of Canada. Una musica ambient di grande raffinatezza, il bel progetto di Mark Nelson che va avanti da quasi 15 anni, senza fanfare o grandi esposizioni. Leggero, onirico, vi trasporta oltre. E vi ci lascia. (Forse l'album è del 2008, ma chi se ne frega!)
6 – Yes – Pet Shop Boys. Ebbene sì, i Pet Shop Boys di Neil Tennant, a distanza di anni, hanno composto un album fantastico, poppissimo, gustoso, melodico, iper retrò e non modaiolo (infatti le radio e le pubblicità stavolta li hanno snobbati). Lunga vita agli anni Ottanta! Tanto Milano non è più da bere.
7 - Kaiku – Kiki. Finlandese. DJ e ricercatore di suoni techno minimal. Un bell'impasto di dance ed elettronica. Di ritmo e percussioni synth. Vigore e armonia. Non si sta fermi un attimo. Una bella pagina per il genere che conferma lo strapotere dei nordici europei.
8 – Dying in time – Port Royal. Evviva, allelujah! Un gruppo italiano che non solo riesce a uscire dalle frontiere di provincetta, ma fa grandissima musica elettronica. Evviva, Urrà! Se ne sbatteo della lingua e di quei poveri fascio-stalinisti autarchici della canzonetta (e del cantautorato).
9 – Primary colors – The Horrors. Fanno tanto Joy Division, post-punk, dark di ritorno, molto molto più degli Editors, al limite del plagio. Ma piacciono, convince il suono e convince la sfacciataggine di rifare il verso agli immortali. "Who can say" l'ascolto obbligato.
10 – West rider pauper lunatic asylum – Kasabian. Brit-rock, molto anni '70, forse troppi rimandi ai Doors ma, a mio avviso, il miglior singolo dell'anno, "Where did all the love go", ritmo ipnotico e trascinante. Un incantesimo di bellezza. E poi "Underdog", altro trip di psichedelia fantastica à la Stone Roses.
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