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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Dario Dellino

Alla fine arriva per tutti

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Me ne sto così, stravaccato su un divanetto vicino alla finestra chiusa. Sotto il balcone c'è il mercato del pesce. Amo ardentemente la primavera: questa frase mi sta ossessionando. Non ricordo dove l'ho letta. Deve essere qui da qualche parte, nella stanza. Intanto ho finito di leggere La storia di Costantinopoli. Ho messo i due volumi rilegati in cartone scuro insieme agli altri, in mezzo a colonne di libri che crescono come vegetazione malata in una giungla lussureggiante. Mi piace poggiarli a terra e camminarci sopra. Non mangio quasi più. E sotto c'è il mercato del pesce. Dove avrò letto quella frase? Amo ardentemente la primavera.

Alla fine sono uscito. Vi devo descrivere il palazzo dove abito. Tre piani di tufo putrido e volte alte, finestre con persiane marroni, scale buie e un portone lugubre. In casa ho messo delle tende rosso cremisi di stoffa trasparente che non apro mai: cammino nudo per casa sperando la luce purpurea mi riscaldi un po'. Non ho animali domestici con me, morirebbero subito di noia e io voglio bene agli animali. Non so se quello che ho fatto è giusto ma non riesco a farmene davvero un problema. Piuttosto, mi interesserebbe rileggere il libro che contiene quella frase.

Insomma, alla fine esci di qui, mi dico a mezza voce. Devo aggirare la bancarella del baccalà appena uscito dal portone e stare attento a non bagnarmi le scarpe. Ma il baccalà non mi verrà mai in odio. Lo friggo a pezzi grossi in una pastella lavorata con lo spumante. Si può farlo, oltre che con le eterne olive al forno, anche con una mousse di peperoni. Non ci credevo neanche io, ma bisogna provare. Bisogna attraversare il mercato ogni volta. Una fila interminabile di peperoni, patate, cipolle, pesci e pesci, tacchini appesi, formaggi, acciughe. Sono andato via prima che arrivasse il postino. Sto aspettando la risposta per un lavoro e ho paura che sia positiva. Tutto lo lascia intendere. Una ragnatela di segni nefasti. Sto per caderci dentro. Ma fino a quando non mi consegnano personalmente la lettera sono salvo. Amo ardentemente la primavera.

Pare che nel quindicesimo secolo un sultano, sospettando una schiava dell'harem l'avesse tradito con un guardiano, abbia fatto uccidere tutte e duecento le sue amanti. Affogate: chiuse in un sacco vive e gettate in mare. Il suo palazzo si affacciava proprio sul tramonto del Bosforo. Stavo pensando all'eunuco. Chissà come sarà riuscito a violentare la ragazza. Comunque, anche tutti gli eunuchi furono ammazzati. Impalati, ovviamente. La cosa potrebbe precipitare prima del previsto. Magari ancora pochi giorni e sarò al lavoro. Chissà, forse già dalla prossima settimana. E' spaventoso. Ma intanto sono libero. Non ci devo pensare. Oggi è sabato. Non possono mica trovarmi domani. Penso mi incastreranno la settimana prossima e sarà il lunedì successivo il primo giorno. Non è detta l'ultima parola, però. Intanto ho ancora qualche giorno per trovare una soluzione.

Sono andato in libreria. Faccio qualche provvista per il fine settimana. Adesso ho la fissa per i libri di storia e di religione. Sempre più rari, invece, i romanzi. Temo di non trovare altri scrittori all'altezza di quelli già letti. Ci mette del tempo questa cosa a finire: poi incontro per caso un nuovo scrittore e lo saccheggio sfrenatamente. Dai libri di storia invece non si possono avere delusioni. Neanche gioie, certo, ma una pacata tranquillità. Prendo questi: I giardini dell'Iran, Metamorfosi sacre e Come sono diventato un brigante. In coda per pagare bisogna attraversare postazioni militari di libracci da banco. Quelli montati in colonne vicino alle uscite e ai posti di snodo. Per capirci: impulso d'acquisto, roba per gente con il cuore da gionalista. Roba per cinici? No, roba per frigidi. Mi danno i brividi. Vedo una colonna di libri, li noto per la bruttezza della copertina. Mi colpisce il nome dell'autore, in relazione all'argomento trattato. Il curriculum vincente, un libraccio per disperati. L'autore si chiama Fedele Anale. Curri in culum, penso. Senza neanche accorgermene lo aggiungo agli altri.

Mi hanno trovato, alla fine: beccato come un principiante. Me ne andavo passeggiando tra le vetrine del centro con una maglietta firmata. Ma era roba vecchia dieci anni, fuori moda e un poco ingiallita al collo. C'era anche un buco da qualche parte. Insomma, vestito come un profugo in mezzo alla bella gente. Mi hanno fermato, chiesto i documenti e quindi il permesso di soggiorno.

«Lei non lavora? Non ha una posizione regolare, qui da noi?» hanno chiesto.

«Sono un turista» ho detto «mi piace girare il mondo»

«Lei non lavora?» hanno insistito quelli.

«Possiamo vedere cosa contiene quella busta? Libri? Ma lei ce l'ha una posizione regolare? Ci segua. Venga con noi» hanno detto prendendomi sottobraccio. Siamo andati in questura. Mi hanno messo insieme agli altri.

«Quelli come te» hanno aggiunto prima di andar via. Solo che quelli frignavano, pregavano, tramavano. Volevano un lavoro, un documento, una sistemazione. Un cazzo qualsiasi da mettersi in culo, insomma. Alla fine arriva, ho cercato di tranquillizzarli, alla fine un cazzo da ficcarsi in culo arriva per tutti. Ma quelli continuavano a frignare, lo volevano subito, non potevano aspettare. Uno dopo l'altro ci siamo addormentati sulle panche della questura.

La mattina seguente è arrivato quello che tutti aspettavano. Alcuni signori bonari, con sguardo comprensivo, ci hanno chiesto quali fossero le nostre esperienze lavorative. Non ho capito bene chi fossero. Benevoli e premurosi con tutti: soltanto alla mia risposta hanno distolto lo sguardo come se avessero scoperto un topo di fogna morto. Ho detto che non mi serviva il loro lavoro.

«Ho abbastanza denaro per vivere almeno qualche mese» ho detto loro.

Comunque li ho ringraziati per la premura. Gli altri li hanno portati via, li ho visti in coda, felici, all'ufficio documenti. A me, allo storpio e ad un altro ci hanno spedito in una casa d'accoglienza. Ci danno da mangiare e da dormire. Possiamo guardare anche la televisione e passeggiare in cortile. Le pareti però sono alte quattro metri e ci sono sbarre alle finestre.

A quanto pare, non ne sono sicuro, l'aria si sta leggermente riscaldando. Forse è primavera.





Dario Dellino



Sono nato e sono vissuto prevelantemente a Bari. Ho trascorso periodi all'estero, per studio. Ho pubblicato racconti, articoli scientifici e recensioni in qualità di giornalista a contratto. Per campare insegno lingua italiana (sei mesi l'anno in Estonia) e faccio lavori occasionali in Italia. Ho chiesto una borsa per vivere un anno in Australia come assistente linguistico. Ho lì intenzione d'accumulare materiale narrativo per il prossimo romanzo che avrà come sfondo 'l'italiano all'estero', nel bene e nel male. Ho fatto una pubblicazione in tiratura limitata del romanzo La sventurata sorella della poesia. Una tragicommedia di sapore evangelico (ma non troppo) è uscita nel 2006 in Nicolaus – rivista di teologia patristica. Altri racconti sparsi sono usciti su quotidiani e settimanali, ma - lo so che è orribile - non ricordo quando e dove.







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