RACCONTI
Alex Pietrogiacomi
AmoRacconta
Dedicato a MonAm
S'illuminò di colpo la scritta Salsamenteria.
A Campo dei Fiori cominciava il tramonto. Un tramonto d'Agosto, poco dopo la notte di San Lorenzo, quando tutte le stelle vengono ricordate dai nasi all'insù e dai baracchini che accolgono le coppiette nauseate di tanto romanticismo e ingolosite dall'unto della realtà.
I bicchieri sul mio tavolo parlottavano allegramente di quello che avevano dondolato, versato, sentito fino a quel momento. Come un gruppo di amici che si confrontava sull'ultimo goal visto.
Io me ne stavo seduto a fissare il balcone con i fiori azzurro-viola, di cui non conosco il vero nome e tanto meno m'importa saperlo, visto che volevo lasciarli impressi nel ricordo come "I Fiori Azzurro- Viola".
L'acqua minerale, ordinata in un momento di mea culpa, si sentiva a disagio in mezzo a quei bicchieroni alti, tozzi e freddi di ghiaccio, gangster d'aperitivo nei loro completi a righe grosse e pantaloni con vistose pences. Era lì. L'acqua si sentiva un po' fuori luogo e al tempo stesso consapevole e tronfia dell'allure da soubrette che riusciva a trasmettere nella sua illogica presenza.
Gli zingari si rincorrevano sugli strumenti babelici costruiti, sfidando vecchie canzoni e memorie di paesi sopiti dal ricordo della povera lontananza. Sotto Giordano Bruno, suonavano non più per i centesimi dei turisti ma per il gusto dell'incontro delle disgrazie dimenticate per un attimo nei sorrisi patriottici. E la musica finalmente si sentiva, ma gli occhiali da sole Ray Ban non coglievano la differenza tra il prima e il dopo. Peccato. Per gli occhiali.
Roma, semplicemente fantastica in quell'ora in cui tutto scolora, trasuda luce e ombra, quando la realtà è ubriaca del sole che svanisce e un vento leggero porta sulle spalle i miei ricordi di strade, baci e umori tra le dita.
Mi guardavo attorno curioso e intontito, forse più intontito che curioso...diciamo curiosamente intontito. Cercavo. Ti cercavo. I piccioni, idioti quanto me, guardavano i miei movimenti lenti che ripercorrevano il nostro primo incontro, il ritmo serrato del mio cuore quando ti ho visto e tutti i sospiri che da quel momento mi hanno accompagnato.
Qualche lacrima l'ho inghiottita in silenzio, e intanto rassicuravo i quattro gangster che mi guardavano sottecchi mentre ci provavano con la soubrette, ripensando al tuo sorriso.
Acceso.
Spento.
Nato.
Spezzato.
Ritrovato.
Forse.
S'illuminò di colpo la scritta Salsamenteria.
A Campo dei Fiori cominciava il tramonto. Un tramonto d'Agosto, poco dopo la notte di San Lorenzo, quando tutte le stelle vengono ricordate dai nasi all'insù e dai baracchini che accolgono le coppiette nauseate di tanto romanticismo e ingolosite dall'unto della realtà.
I bicchieri sul mio tavolo parlottavano allegramente di quello che avevano dondolato, versato, sentito fino a quel momento. Come un gruppo di amici che si confrontava sull'ultimo goal visto.
Io me ne stavo seduto a fissare il balcone con i fiori azzurro-viola, di cui non conosco il vero nome e tanto meno m'importa saperlo, visto che volevo lasciarli impressi nel ricordo come "I Fiori Azzurro- Viola".
L'acqua minerale, ordinata in un momento di mea culpa, si sentiva a disagio in mezzo a quei bicchieroni alti, tozzi e freddi di ghiaccio, gangster d'aperitivo nei loro completi a righe grosse e pantaloni con vistose pences. Era lì. L'acqua si sentiva un po' fuori luogo e al tempo stesso consapevole e tronfia dell'allure da soubrette che riusciva a trasmettere nella sua illogica presenza.
Gli zingari si rincorrevano sugli strumenti babelici costruiti, sfidando vecchie canzoni e memorie di paesi sopiti dal ricordo della povera lontananza. Sotto Giordano Bruno, suonavano non più per i centesimi dei turisti ma per il gusto dell'incontro delle disgrazie dimenticate per un attimo nei sorrisi patriottici. E la musica finalmente si sentiva, ma gli occhiali da sole Ray Ban non coglievano la differenza tra il prima e il dopo. Peccato. Per gli occhiali.
Roma, semplicemente fantastica in quell'ora in cui tutto scolora, trasuda luce e ombra, quando la realtà è ubriaca del sole che svanisce e un vento leggero porta sulle spalle i miei ricordi di strade, baci e umori tra le dita.
Mi guardavo attorno curioso e intontito, forse più intontito che curioso...diciamo curiosamente intontito. Cercavo. Ti cercavo. I piccioni, idioti quanto me, guardavano i miei movimenti lenti che ripercorrevano il nostro primo incontro, il ritmo serrato del mio cuore quando ti ho visto e tutti i sospiri che da quel momento mi hanno accompagnato.
Qualche lacrima l'ho inghiottita in silenzio, e intanto rassicuravo i quattro gangster che mi guardavano sottecchi mentre ci provavano con la soubrette, ripensando al tuo sorriso.
Acceso.
Spento.
Nato.
Spezzato.
Ritrovato.
Forse.
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