RACCONTI
Sandro Veronesi
Ballando nella luce (omaggio a Fred Astaire)
Perché non saprei dire come è fatta Ginger Rogers? Perché non mi ricordo che faccia aveva? Greta Garbo, Rita Hayworth, Lana Turner, Jane Mansfield, Judy Garland. Mirna Loy, Barbara Stanwick, Shirley Temple, Bette Davis, Jane Russell, Mae West, Elizabeth Taylor, Shelley Winters, Audrey Hepburn, Leslie Caron, Grace Kelly, Debby Reynolds: nessuna di loro è così fuori fuoco nella mia memoria, di ognuna di loro conservo un'immagine nitida (un sorriso, uno sguardo, un gesto), o almeno un particolare (il petto, gli occhi, le labbra) che naviga nei miei ricordi per conto suo. Per Ginger Rogers niente da fare: nebbia.
La ragione è semplice, a pensarci. C'è sempre un abbaglio che la sfuoca, quando bisognerebbe guardarla e memorizzarla, e questo abbaglio si chiama Fred Astaire. Perché è umanamente impossibile, mentre volteggia nei duetti con il suo storico compagno, guardare lei. Non c'è ragione per farlo, e non ce n'è il tempo: in ogni fotogramma che fissa il suo sodalizio con Fred astaire, è lui che descrive tutto lo spazio, e padroneggia tutto il tempo, lei è solo un attrezzo molto ben manipolato, uno svolazzo, un movimento in più. E' stato troppo tempo accanto a Fred Astaire, poverina, e questa esposizione prolungata ne ha bruciato i lineamenti.
Fred Astaire. Il secolo passato è semplicemente impensabile senza di lui. Perché non è stato solo un ballerino, un attore, un coreografo, è stato una scoperta: la scoperta che lo spazio e il tempo sono un tutt'uno, e sono elastici. Mentre lui ballava, questa scoperta veniva faticosamente imbrigliata dall'equazione di Einstein, e l'universo cambiava irreversibilmente: nella sua versione scientifica, questa scoperta ha assunto la forma ostica della matematica astratta e noi possiamo solo crederci, ma nella versione di Fred Astaire appare semplice, e tutti la capiamo. La forza di gravità così sideralmente superata, la scomposizione delle leggi del movimento in uno spettro di stalli infinitesimi e folgoranti accelerazioni, la sconfinata complessità delle coreografie - alle quali sembrava che la musica fosse stata aggiunta dopo, come composta su misura – sono stati tutti modi di dire la stessa cosa che nessuno aveva mai detto prima: Lo spazio e il tempo sono un tutt'uno, e sono elastici.
Tutti possono capire tutto, quando balla Fred Astaire, ecco la scoperta. E come tutte le scoperte vere, può essere replicata in qualsiasi momento da chiunque. Occorre solo essere alti un metro e settantacinque, pesare sessantadue chili, essere nati a Omaha, Nebraska, nel 1899, essere figli di un immigrato austriaco, e avere cominciato a calcare i palcoscenici a cinque anni; ci vuole anche la capacità polmonare di Eddy Merckx, la resistenza di Abebe Bikila e la fotogenia di Frank Sinatra; inoltre è necessario possedere la fantasia di Charlie Chaplin, la velocità di un cartone animato, la naturalezza di Van Basten e l'umanità di Stanlio e Ollio; e la precisione di un computer della N.A.S.A. E grazia, occorre la grazia di una piuma. E un sorriso indimenticabile. Ma, a parte questo, chiunque può mettersi sotto un occhio di bue e rifare quel che ha fatto Fred Astaire, perché quella non è arte, è legge. E' la legge che tiene insieme l'universo, che disegna le orbite dei pianeti (sono miliardi e non cozzano mai), che fa raffreddare il caffè nella tazzina, che ci fa sussultare nel sonno mentre sognamo di cadere nel vuoto anche se siamo sdraiati nel nostro letto. E' la stessa legge che ci permette di essere lì a guardare mentre lui balla, da solo o in coppia – e se balla in coppia (con attaccapanni, sigarette, petardi, ombre, specchi, Ginger Rogers), la coppia è lui. Ed è anche la legge che fa volare le mosche, anche quella che si posa sullo schermo – solo sul nostro – mentre riguardiamo, di notte, Il cappello a cilindro, e che immediatamente risucchia anche lei nella danza che imperversa sotto le sue inconsapevoli zampette, facendoci dire, pieni di stupore, perché non ci era mai successo prima di vedere una cosa del genere:"Incredibile: una mosca che va a tempo".
Già. Tutto va a tempo, intorno a Fred Astaire. E se fossimo furbi, agli extraterrestri perduti nello spazio ai quali mandiamo segnali, bandierine, canzoni dei Beatles per farci conoscere, manderemmo anche una sequenza di Follie d'Inverno (1936), e precisamente quella in cui Fred Astaire, con la faccia tinta di nero e i labbroni finti, rende il suo omaggio a Bill Robinson danzando Bojangles of Harlem con tre ombre proiettate sul muro: loro la vedrebbero, ci capirebbero cose che noi non abbiamo ancora scoperto (leggi, forze, equazioni matematiche), e cesserebbero subito di covare propositi bellicosi, poiché penserebbero che chi fa quello con quella leggerezza dev'essere necessariamente molto più evoluto di loro.
La ragione è semplice, a pensarci. C'è sempre un abbaglio che la sfuoca, quando bisognerebbe guardarla e memorizzarla, e questo abbaglio si chiama Fred Astaire. Perché è umanamente impossibile, mentre volteggia nei duetti con il suo storico compagno, guardare lei. Non c'è ragione per farlo, e non ce n'è il tempo: in ogni fotogramma che fissa il suo sodalizio con Fred astaire, è lui che descrive tutto lo spazio, e padroneggia tutto il tempo, lei è solo un attrezzo molto ben manipolato, uno svolazzo, un movimento in più. E' stato troppo tempo accanto a Fred Astaire, poverina, e questa esposizione prolungata ne ha bruciato i lineamenti.
Fred Astaire. Il secolo passato è semplicemente impensabile senza di lui. Perché non è stato solo un ballerino, un attore, un coreografo, è stato una scoperta: la scoperta che lo spazio e il tempo sono un tutt'uno, e sono elastici. Mentre lui ballava, questa scoperta veniva faticosamente imbrigliata dall'equazione di Einstein, e l'universo cambiava irreversibilmente: nella sua versione scientifica, questa scoperta ha assunto la forma ostica della matematica astratta e noi possiamo solo crederci, ma nella versione di Fred Astaire appare semplice, e tutti la capiamo. La forza di gravità così sideralmente superata, la scomposizione delle leggi del movimento in uno spettro di stalli infinitesimi e folgoranti accelerazioni, la sconfinata complessità delle coreografie - alle quali sembrava che la musica fosse stata aggiunta dopo, come composta su misura – sono stati tutti modi di dire la stessa cosa che nessuno aveva mai detto prima: Lo spazio e il tempo sono un tutt'uno, e sono elastici.
Tutti possono capire tutto, quando balla Fred Astaire, ecco la scoperta. E come tutte le scoperte vere, può essere replicata in qualsiasi momento da chiunque. Occorre solo essere alti un metro e settantacinque, pesare sessantadue chili, essere nati a Omaha, Nebraska, nel 1899, essere figli di un immigrato austriaco, e avere cominciato a calcare i palcoscenici a cinque anni; ci vuole anche la capacità polmonare di Eddy Merckx, la resistenza di Abebe Bikila e la fotogenia di Frank Sinatra; inoltre è necessario possedere la fantasia di Charlie Chaplin, la velocità di un cartone animato, la naturalezza di Van Basten e l'umanità di Stanlio e Ollio; e la precisione di un computer della N.A.S.A. E grazia, occorre la grazia di una piuma. E un sorriso indimenticabile. Ma, a parte questo, chiunque può mettersi sotto un occhio di bue e rifare quel che ha fatto Fred Astaire, perché quella non è arte, è legge. E' la legge che tiene insieme l'universo, che disegna le orbite dei pianeti (sono miliardi e non cozzano mai), che fa raffreddare il caffè nella tazzina, che ci fa sussultare nel sonno mentre sognamo di cadere nel vuoto anche se siamo sdraiati nel nostro letto. E' la stessa legge che ci permette di essere lì a guardare mentre lui balla, da solo o in coppia – e se balla in coppia (con attaccapanni, sigarette, petardi, ombre, specchi, Ginger Rogers), la coppia è lui. Ed è anche la legge che fa volare le mosche, anche quella che si posa sullo schermo – solo sul nostro – mentre riguardiamo, di notte, Il cappello a cilindro, e che immediatamente risucchia anche lei nella danza che imperversa sotto le sue inconsapevoli zampette, facendoci dire, pieni di stupore, perché non ci era mai successo prima di vedere una cosa del genere:"Incredibile: una mosca che va a tempo".
Già. Tutto va a tempo, intorno a Fred Astaire. E se fossimo furbi, agli extraterrestri perduti nello spazio ai quali mandiamo segnali, bandierine, canzoni dei Beatles per farci conoscere, manderemmo anche una sequenza di Follie d'Inverno (1936), e precisamente quella in cui Fred Astaire, con la faccia tinta di nero e i labbroni finti, rende il suo omaggio a Bill Robinson danzando Bojangles of Harlem con tre ombre proiettate sul muro: loro la vedrebbero, ci capirebbero cose che noi non abbiamo ancora scoperto (leggi, forze, equazioni matematiche), e cesserebbero subito di covare propositi bellicosi, poiché penserebbero che chi fa quello con quella leggerezza dev'essere necessariamente molto più evoluto di loro.
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