ATTUALITA'
Alfredo Ronci
Come Montale 'offuscò' Penna. Riflessioni sulla scure censoria del poeta di 'Ossi di seppia'.
Chissà, forse per farlo accettare meglio in questi tempi di oscurantismo e di terrorismo psico-sessuale, Sandro Penna avrebbe bisogno di un peana di Roberto Benigni, magari davanti alla platea 'sterminata' del palco dell'Ariston di Sanremo.
Ai suoi tempi, pur avendo spesso l'appoggio dell'intellettualismo più blasonato (Saba, che in una lettera del novembre del '32 gli scriveva... le tue poesie sono così caste, così piene di pudore (è uno dei motivi per i quali mi sono tanto piaciute) che non credo possa derivarti nulla di male, Pasolini con cui condivise nel '57 il premio Viareggio,Ungaretti che s'impegnò personalmente per quel riconoscimento nonostante molte resistenze, ostilità e scandali e pure Gadda) il poeta incontrò opposizioni 'mascherate': dove l'interessamento nasceva, nonostante tutto, dall'incontro con una lirica che qualcuno, giustamente, ha definito tra le più alte (se non la più alta, mi espongo io) del Novecento non solo italiano.
Scriveva anni fa Elio Pecora, suo biografo, a proposito dei primi passi della poetica penniana: E' Montale a interessarsene da Firenze con Carocci, per le Edizioni di Solaria: ordina le poesie, precisa la spesa. Presto però sopravvengono timori della censura; si fanno lampanti e incomprensibili quei divieti che fino ad allora Penna ha ignorati. Lo stupisce e lo addolora il sospetto di oscenità per i versi della poesia che inizia "Nel fresco orinatoio della stazione", per quelli del giovinetto che attende la giovane lattaia, o per quelli del fanciullo dalle 'piume leggere'. Non capisce le ragioni della censura perché non gli riesce di rinnegare una parte della vita che ritiene bella e necessaria. Ma non si ribella né si difende, rinuncia.
Ma il rapporto con Montale – rapporto che negli anni trenta fu addirittura una sorta di sodalizio culturale rispetto a quello più strettamente amicale con Saba - , ahinoi, è spesso 'turbato' dalle obiezioni censorie del poeta di Ossi di seppia.
In questo l'uomo fu recidivo. Già all'apparizione dell'opera prima di Mario Soldati, la raccolta di racconti sotto il titolo di Salmace, scriveva: Il libro del Soldati offre il destro a non poche considerazioni moralistiche e comunque strettamente riflettenti il contenuto; e a queste si sono fermati vari critici, riconoscendo al giovane scrittore notevoli qualità tecniche, "di mestiere", ma negandogli in sostanza la presenza di quel certo ineffabile senza di che non è possibile parlare di un'arte anche in piccola parte realizzata (...). Perché i personaggi creati dal Soldati sono tutti adulteri e invertiti, prostitute e bancarottieri e i loro casi sarebbero narrati dallo scrittore con una ostentata indifferenza morale, la quale troverebbe poi la sua origine nei manufatti corrotti e squisiti di Rue de Grenelle...
Erano i tempi in cui i 'supremi' intellettuali del nostro paese etichettavano i froci ancora come invertiti e parlare di un autore che ne trattasse l'ordito si rischiava di etichettarlo pure.
Nonostante l'affetto che univa i due, Montale non fu davvero tenero con Penna. Nel libro Le parole nascoste, le carte ritrovate di Sandro Penna (1) Roberto Deidier, uno dei massimi conoscitori del poeta, oltre a tentare una riclassificazione del suo materiale sparso, affronta con garbata e convincente analisi i rapporti che intercorsero, come abbiamo già detto soprattutto negli anni trenta, quindi in pieno fascismo, tra il poeta perugino e il futuro premio Nobel.
Scrive a pag. 103: La violenza più antica Penna l'ha subìta dalla censura, e non nel suo aspetto ufficiale, burocratico: il primo censore, ancor prima che le poesie degli anni Trenta assumessero la configurazione di una raccolta, è stato lo stesso Montale. Le 'Poesie' del 1939 pertanto, non sono state liberamente congedate, poiché la censura preventiva sulle bozze era stata invasiva...
Sappiamo infatti che la prima opera penniana uscì fortemente limitata ed una sua ricostruzione parziale l'ottenne soltanto alla fine degli anni cinquanta, in occasione dell'uscita del volume di liriche che poi ottenne, come abbiamo già detto, il premio Viareggio ex equo con quello di Pasolini (ma era sempre parziale, perché mancavano all'appello una manciate di poesie che furono aggiunte in una nuova edizione degli anni settanta).
Montale, si diceva, non fu mai tenero con Penna, nonostante quest'ultimo vedesse in lui una sorta di mentore ufficiale ancor più di Saba. In una sua lettera del marzo 1935 scriveva: Amo molto le tue afrodisiache poesie. Non offenderti dell'aggettivo che non rende l'idea. Amo anche il loro autore e spero di rivederlo qualche volta.
Afrodisiache, non era, come giustamente fa notare nel libro Roberto Deidier, termine montaliano, ma col senno di poi e con le valutazioni successive assume precise connotazioni moralistiche. Non fu l'unico giudizio acido del futuro premio Nobel. All'indomani della morte di Penna, in occasione di un intervista rilasciata a Enrico Filippini de La Repubblica, Montale si espresse con termini che non esitiamo a definire melliflui: Direi che Penna fosse una sorta di Kavafis, se si vuole, in sedicesimo. Lei capisce a cosa illudo. Da quella situazione non poteva, né voleva uscire, assolutamente (...) Saba fece moltissimo per farlo conoscere. Se lei ha letto Ernesto di Saba capisce cosa intendo. Erano legati da un'amicizia molto sabiana, ma non m'intenda male: si trattava di un'atmosfera, di un'atmosfera molto particolare.
Di fronte ad espressioni di questo genere non abbiamo motivo di dubitare come l'azione preventiva del Montale sulle liriche del Penna fu, in effetti, pesantemente censoria.
E Roberto Deidier nel suo volume lo rimarca più volte.
Fa addirittura male rendersene conto, nonostante si vivessero anni politicamente bui e di regime (ricordiamolo ancora: la prima silloge penniana è del 1937, costituita da una quarantina di liriche). Diceva lo stesso poeta: Non avrei mai cercato di pubblicare, non per modestia (falsa modestia), ma solo perché sentivo in parte un clima ostile fra i letterati e in parte ero sicuro, anche, della loro impopolarità.
Delle trentasette poesie che compongono il libro intitolato Appunti, stampato in 750 esemplari dalle Edizioni della Meridiana nel marzo 1950, quella più famosa e che apriva il volume (che in quarta di copertina ritraeva Penna disegnato da Orfeo Tamburi) diceva: Felice chi è diverso/ essendo egli diverso./ Ma guai a chi è diverso/essendo egli comune.
Ci piace pensare che nonostante gli ultimi anni bui del poeta, egli sia stato, nelle sue dinamiche affettive ed amorose, felice di essere 'diverso'. Commossi noi che abbiamo raccolto e conserviamo con gelosa attenzione i suoi versi così dolorosamente gioiosi. Nonostante Montale.
(19 Roberto Deidier - Le parole nascoste, le carte ritrovate di Sandro Penna – (Sellerio) 2008
Ai suoi tempi, pur avendo spesso l'appoggio dell'intellettualismo più blasonato (Saba, che in una lettera del novembre del '32 gli scriveva... le tue poesie sono così caste, così piene di pudore (è uno dei motivi per i quali mi sono tanto piaciute) che non credo possa derivarti nulla di male, Pasolini con cui condivise nel '57 il premio Viareggio,Ungaretti che s'impegnò personalmente per quel riconoscimento nonostante molte resistenze, ostilità e scandali e pure Gadda) il poeta incontrò opposizioni 'mascherate': dove l'interessamento nasceva, nonostante tutto, dall'incontro con una lirica che qualcuno, giustamente, ha definito tra le più alte (se non la più alta, mi espongo io) del Novecento non solo italiano.
Scriveva anni fa Elio Pecora, suo biografo, a proposito dei primi passi della poetica penniana: E' Montale a interessarsene da Firenze con Carocci, per le Edizioni di Solaria: ordina le poesie, precisa la spesa. Presto però sopravvengono timori della censura; si fanno lampanti e incomprensibili quei divieti che fino ad allora Penna ha ignorati. Lo stupisce e lo addolora il sospetto di oscenità per i versi della poesia che inizia "Nel fresco orinatoio della stazione", per quelli del giovinetto che attende la giovane lattaia, o per quelli del fanciullo dalle 'piume leggere'. Non capisce le ragioni della censura perché non gli riesce di rinnegare una parte della vita che ritiene bella e necessaria. Ma non si ribella né si difende, rinuncia.
Ma il rapporto con Montale – rapporto che negli anni trenta fu addirittura una sorta di sodalizio culturale rispetto a quello più strettamente amicale con Saba - , ahinoi, è spesso 'turbato' dalle obiezioni censorie del poeta di Ossi di seppia.
In questo l'uomo fu recidivo. Già all'apparizione dell'opera prima di Mario Soldati, la raccolta di racconti sotto il titolo di Salmace, scriveva: Il libro del Soldati offre il destro a non poche considerazioni moralistiche e comunque strettamente riflettenti il contenuto; e a queste si sono fermati vari critici, riconoscendo al giovane scrittore notevoli qualità tecniche, "di mestiere", ma negandogli in sostanza la presenza di quel certo ineffabile senza di che non è possibile parlare di un'arte anche in piccola parte realizzata (...). Perché i personaggi creati dal Soldati sono tutti adulteri e invertiti, prostitute e bancarottieri e i loro casi sarebbero narrati dallo scrittore con una ostentata indifferenza morale, la quale troverebbe poi la sua origine nei manufatti corrotti e squisiti di Rue de Grenelle...
Erano i tempi in cui i 'supremi' intellettuali del nostro paese etichettavano i froci ancora come invertiti e parlare di un autore che ne trattasse l'ordito si rischiava di etichettarlo pure.
Nonostante l'affetto che univa i due, Montale non fu davvero tenero con Penna. Nel libro Le parole nascoste, le carte ritrovate di Sandro Penna (1) Roberto Deidier, uno dei massimi conoscitori del poeta, oltre a tentare una riclassificazione del suo materiale sparso, affronta con garbata e convincente analisi i rapporti che intercorsero, come abbiamo già detto soprattutto negli anni trenta, quindi in pieno fascismo, tra il poeta perugino e il futuro premio Nobel.
Scrive a pag. 103: La violenza più antica Penna l'ha subìta dalla censura, e non nel suo aspetto ufficiale, burocratico: il primo censore, ancor prima che le poesie degli anni Trenta assumessero la configurazione di una raccolta, è stato lo stesso Montale. Le 'Poesie' del 1939 pertanto, non sono state liberamente congedate, poiché la censura preventiva sulle bozze era stata invasiva...
Sappiamo infatti che la prima opera penniana uscì fortemente limitata ed una sua ricostruzione parziale l'ottenne soltanto alla fine degli anni cinquanta, in occasione dell'uscita del volume di liriche che poi ottenne, come abbiamo già detto, il premio Viareggio ex equo con quello di Pasolini (ma era sempre parziale, perché mancavano all'appello una manciate di poesie che furono aggiunte in una nuova edizione degli anni settanta).
Montale, si diceva, non fu mai tenero con Penna, nonostante quest'ultimo vedesse in lui una sorta di mentore ufficiale ancor più di Saba. In una sua lettera del marzo 1935 scriveva: Amo molto le tue afrodisiache poesie. Non offenderti dell'aggettivo che non rende l'idea. Amo anche il loro autore e spero di rivederlo qualche volta.
Afrodisiache, non era, come giustamente fa notare nel libro Roberto Deidier, termine montaliano, ma col senno di poi e con le valutazioni successive assume precise connotazioni moralistiche. Non fu l'unico giudizio acido del futuro premio Nobel. All'indomani della morte di Penna, in occasione di un intervista rilasciata a Enrico Filippini de La Repubblica, Montale si espresse con termini che non esitiamo a definire melliflui: Direi che Penna fosse una sorta di Kavafis, se si vuole, in sedicesimo. Lei capisce a cosa illudo. Da quella situazione non poteva, né voleva uscire, assolutamente (...) Saba fece moltissimo per farlo conoscere. Se lei ha letto Ernesto di Saba capisce cosa intendo. Erano legati da un'amicizia molto sabiana, ma non m'intenda male: si trattava di un'atmosfera, di un'atmosfera molto particolare.
Di fronte ad espressioni di questo genere non abbiamo motivo di dubitare come l'azione preventiva del Montale sulle liriche del Penna fu, in effetti, pesantemente censoria.
E Roberto Deidier nel suo volume lo rimarca più volte.
Fa addirittura male rendersene conto, nonostante si vivessero anni politicamente bui e di regime (ricordiamolo ancora: la prima silloge penniana è del 1937, costituita da una quarantina di liriche). Diceva lo stesso poeta: Non avrei mai cercato di pubblicare, non per modestia (falsa modestia), ma solo perché sentivo in parte un clima ostile fra i letterati e in parte ero sicuro, anche, della loro impopolarità.
Delle trentasette poesie che compongono il libro intitolato Appunti, stampato in 750 esemplari dalle Edizioni della Meridiana nel marzo 1950, quella più famosa e che apriva il volume (che in quarta di copertina ritraeva Penna disegnato da Orfeo Tamburi) diceva: Felice chi è diverso/ essendo egli diverso./ Ma guai a chi è diverso/essendo egli comune.
Ci piace pensare che nonostante gli ultimi anni bui del poeta, egli sia stato, nelle sue dinamiche affettive ed amorose, felice di essere 'diverso'. Commossi noi che abbiamo raccolto e conserviamo con gelosa attenzione i suoi versi così dolorosamente gioiosi. Nonostante Montale.
(19 Roberto Deidier - Le parole nascoste, le carte ritrovate di Sandro Penna – (Sellerio) 2008
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