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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Gruppo Sparta

Dar cinese. (Letteratura e delinquenza parte prima)

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"Che posso parlare italiano?". Manco avevo fatto in tempo a inforcare le bacchette da cinese che ti sento uno che dice: "che posso parlare italiano?". E ho pensato, mannaggia che brutti tempi ci tocca di vivere. Ricordo che stavamo a un cinese vicino a Porta Maggiore. Uno dei primi cinesi di Roma, ai tempi. Una sciccheria. Che poteva essere? Il Settanta, Settantuno? No. La data non la ricordo, però era senza meno l'anno che Zigoni giocava alla Roma: la magica, con rispetto parlando. Lo ricordo perché si può dire che io e Zigoni eravamo pappa e ciccia. Un grande uomo Zigoni. Ve la ricordate la pelliccia? Beh, a Roma ce l'avevamo io e lui. Il Murena e Zigoni. "Mure'", mi disse una volta, "tu c'hai la faccia da cinema, da Times". Chissà... se la mia vita non fosse stata l'odissea che è stata... ad ogni modo nel ristorante cinese ti entra questo ragazzo e chiede a due camerieri cinesi se può parlare in italiano che, cristo, penso, stai in Italia, e che cacchio di lingua vuoi da parlare? Ma mi sto zitto. Non intervengo. Capisco. Io ho sempre capito un attimo prima: ecco perché sto qui ancora in piedi a parlare. Guardo in faccia Gesucristo, il Marconi Sandro, chiamato così per via che portava i capelli lunghi in quanto si diceva comunista extraparlamentare. "Ma in che senso extraparlamentare?" gli ho chiesto una volta. " Nel senso extra, che è grande!". Poveraccio che fine Gesucristo! Comunque, come che sia sia, quando sento il ragazzo che chiede se può parlare italiano, alzo la testa e vedo la faccia di Gesucristo che se la ride. Io la conosco quella faccia da bastardo. Gesucristo era il tipo che gli piaceva mettere l'acidi di nascosto nelle bibite alle feste per ammorbidire le ragazze, diceva. L'abbiamo fatte tutti le cacchiate, però dico: datti pace! Ci aveva lo sguardo avvelenato, il Gesucristo. Mi guardo attorno: a parte un tre o quattro ragazze che, non per fare il superbo, ma manco mi ricordo più, c'erano Franco Er Matto, del Mandrione, il Mazza e, ovvio, Mario Gotti. Era ancora un ragazzino. Magro da mettere paura, ma paura, che manco si poteva vedere con il binocolo pei cavallucci marini. Era uscito fresco fresco di gabbio per una cosetta, furto o rapina impropria, ma tutti dicevano che si era comportato da bravo, che aveva protetto non so chi giù dell'Alessandrino, il quale era uno che contava e il quale diceva ora di volergli bene. Faceva il vanoso, sapete come fanno i pischelli per farsi notare! Diceva che per non parlare non era andato in infermeria neanche quando gli erano venute le creste di gallo al coso e che se le era bruciate da solo con la sigaretta. E poi diceva cose tipo che ora conosceva tutti; che dentro lo tenevano in palmo di mano. Faceva l'uomo di mondo: "a Rebibbia se mangia bene ma a Regina ci stanno gli amici", diceva. "Ma quali amici che sei un ragazzo", gli diceva il Mazza. "Un ragazzino", rideva Er Matto. E io ho capito che Gotti entro qualche minuto avrebbe smesso di essere un ragazzo. Non mi piacciono certe scene. Conosco la regole. È una debolezza mia, ma non mi piacciono certe scene. Mi tocco in tasca la scatoletta d'argento. Ce l'avevamo solo io e Zigoni. O forse era lui, sì era lui, che me l'aveva regalata una sera che, non vi dico come stavamo ridotti, c'eravamo messi a sparare ai lampioni e poi lui mi ha detto, "a Murena pensa che sarebbe bello morire adesso" e poi mi ha regalato la scatola d'argento, tutta piena di roba di prima qualità, e si è messo a vomitare. Comunque, come che sia sia, mi tocco, dentro la tasca, la scatola e faccio a una ragazza: "seguimi al bagno che ti presento un amico".



Mentre quello scrocchiazeppi se ne annava con una ragazza nel cesso, e "un amico da presentare", mi ritrovavo a chiacchierare dei più e dei meno co' er Mazza e Mario. 'Nsomma, gira che terigira, sembrava che dovessi sporcarmi le mano io per l'ennesima volta con la faccia mpiastricciata delle mignotte della salaria. Avevo iniziato un piccolo giro da quelle parti e speravo de lancià, na moda... boh che ve devo dì, na tradizione. Ma sogni apparte, adesso stavamo là perché ce piaceva incontrà gli angeli de carne e de aria tutti assieme.

Oltre al piacere della nevicata comune, c'era anche da parlà di affari grossi, dei più e dei meno appunto, perché le mignotte guadagneno, ma poi invecchiano e non è che le trovi tutte pè la via...le sostitute. (Certe volte me faccio morì). Quindi! Se doveva decide un nuovo affare, e visto il mio passato da militare e da mezzo legionario ho detto "Ahò! Facciamo er botto allora!". Le faccia scialaquate la dicevano lunga: "Ner senso: aaarmi! Traffichiamo armi e esplosivi. Anzi quarcosetta l'ho pure portata"..." "Posso parlare italiano?". Aridaje. "Ahhh coso giallo! A limone colla bocca... ma co che cazzo del lingua voi parlà? In mandarino? (Certe volte me faccio morì)"

Quello me guarda storto. Io m'alzo e lo guardo in cagnaccio... "Ah stronzo!" Je faccio capì.

Se ne va e gli amici se la ridono sotto le mano. Me metto na sorsata de quella roba che nun sa ne de te ne de me, che chiameno "grappa" (mah!). La butto giù a scaldamme la voce e...arriva il primo colpo che me pija na coscia.

"Mortacci!" famo tutt'insieme, manco un coro de capuccini de Trisulti! Chi se butta a destra chi a sinistra e stamo già col ferro in mano.

Me metto a strillà "Daje a sti stronzi! Spremiamoli" (Certe volte me faccio morì).

Quer fregno giallo è rientrato con altri 7 amici, le pischelle so le prime a pijasse un colpo n testa, tanto voto pe' voto almeno mo ce passa l'aria, quindi un pensiero in meno.

Ma me passa de pensà "Ma Er Murena...ndò cazzo sta!?"



È proprio vero che ci sta un momento in cui sarebbe bello morire perché così sarebbe più bella tutta la vita che hai vissuto. Non lo so se può da essere chiaro cosa sto dicendo. Forse è una cosa che posso capire solo da me, con rispetto parlando. Al massimo Zigoni. Quante volte mi sarò ritrovato in scene del genere? Quante volte avrò saputo un attimo prima che la scena in questione stava per succedere? Quante volte avrò cercato di scappare portandomi una tipa mai vista prima dentro un cesso? Il cesso di un cinese, poi. Sì, lo so che non vuol dire: un cesso è un cesso, e non c'entra niente stare a vedere se è di un cinese o di un negro. Non c'entra niente ma a me quel cesso, quel cubicolo che manco a Secondigliano, io non me lo scordo ancora oggi. Che ho fatto? Ho acchittato un paio di botte sul portasaponette e ho detto a cosa di pippare. Quella si è chinata a pippare e io le ho detto: "rimani in postura". È una manovra che mi ha sempre sfriguliato dentro un non so che e, invece, non lo so... non lo so, forse era che il cesso rimaneva piccolo e mi ricordava Secondigliano, mi dicevo. O era che è cinese, mi dicevo. O era che mi stava per capitare come a Giovannone detto il Pancia, uno preciso, forte, ben voluto, ma che a forza di fare avanti e dietro dall'India per la roba non so che gli era successo ma, un giorno, pare che ha visto Gesù Cristo o la Madonna e ha cambiato vita. Insomma non ce la facevo e, ma era come se non fossi io a parlare, ho detto alla tipa di rialzarsi e tirarsi giù la gonna,e poi le ho chiesto come si chiamava e se era felice, ma, forse, manco l'ho fatta parlare e gli ho detto che io, io, il Murena, quello che la gente abbassava l'occhi davanti a me, io, il Murena, felice non lo ero. Ma quale felicità!, dentro un cesso cinese a scappare dalle solite scene di merda e, allora, ho detto a cosa, "ora uscimo dal cesso e pure dal locale di questi cinesi, senza salutare nessuno, andiamo a casa mia e prendiamo tutti i soldi che c'ho... ce l'ho pure dentro i cassetti, perdio... e partiamo... andiamo in India... e ci sposiamo." Mi sa che dissi a cosa che l'amavo pure. E non doveva essere una bugia perché me lo ricordo come fosse ora che uscivo da quel cesso da cinese che piangevo manco un agnello a pasqua, con rispetto parlando.



E intanto sparamo, e de striscio qualche schioppettata ce la pijamo pure, però semo fatti e volemo ride co' sti mafiosi cinesi... ma chi so? Ma questi lo sanno o no che noi trattamo coi Siciliani e i Calabresi. E là so cazzi veri, no sta roba di importazione.

Ce guardamo e volemo diverticce. E quindi nun li accoppamo. Sparamo agli ginocchi. Ndò fa male. Ndò nun t'alzi più. E quanno cadono frignano. L'omo po esse der nord o der culo de sto monno, ma quanno sta a soffrì frigna allo stesso modo. Frigna c'ha paura e la paura nun conosce distinzione. A quanto pare questi stanno a fa la fine della cedrata Tassoni. Uno tira fori na specie de mitragliatetta e allora me girano i cojoni.

Apro la valigetta e pijo er cannone mio, quello americano. Quello che quanno spara strilla. Strilla più forte de tutti e vedo gli altri due amici miei che se appoggiano colla schiena ar tavolo e se tappano le recchie. E fanno bene, perché mo' Franco se mette a strillà de butto.

È un colpo. Dritto e bello dove je batte er respiro e me lo vedo volà via. A quel punto gli amici sua se ripareno ed ecco che m'arriva er Morena. Sto stronzo sta fatto come na zucchina. I cinesi lo vedono se girano pè sparaie e lui senza batte ciglio e col sorriso da deficiente e piagnenno come n'agnello a Pasqua (co rispetto parlanno), se copre co' la pischella e se mette alle spalle delle teste de cazzo a sparà.

A quel punto so cazzi loro. Noi ce guardamo. Lo guardamo. Ce famo un segno e daje coll'imboscata.

J'arrivamo dietro sparanno. Quelli se cagano sotto e tra sangue e lacrime se mettono a chiede perdono.

Cor cazzo! M'avete bucato i pantaloni novi, sporcato de sangue e salsetta la giacca e mo "perdono". Ma n'atevene a morì...

Faccio a Morena e agli altri "Legate 'sti burini alla statua der panzone va, che ve faccio vedè il nuovo bisness de cui ve volevo dì"

Li legano. Se lagneno. Tiro fuori gli attrezzi. Sistemo tutto per bene, perché so Matto ma so anche un cazzo de professionista. Uscimo fori e dico ai miei "Avete del fuoco? Io sì"

BOOOOOOOOOOOM.

In coro e divertiti me fanno "Ammazza! È un bisness cor botto Franco".

"Ve l'ho detto. Mo manco colle bacchette li raccolgono" (Certe volte me faccio morì...la maggior parte però, ve faccio morì).





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