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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Elisabetta Bordieri

Dietro l'angolo

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All'epoca non riuscivo nemmeno a vedere l'ombra di uno spiraglio di luce.

Si, insomma uno di quei periodi in cui la mattina ti svegli, o meglio, sei costretta a farlo, ti siedi sul letto, le gambe penzoloni, la testa che ti scoppia, gli occhi appiccicosi, la bocca in un tentativo di sbadiglio, le braccia che si alzano per stiracchiarsi un po' e, prima di alzarti e di andare sotto una doccia rigeneratrice, ti poni quelle domande vagamente esistenzial-adolescianziali del tipo: chi sono, dove vado, cosa faccio, e soprattutto perché, e poi perché e ancora perchè?

Si, ecco, stavo vivendo esattamente uno di questi momenti, solo che ero all'alba dei miei quarant'anni!

Così una mattina come tante...

- beh, non proprio una mattina come tante!

...dopo aver dato il giusto spazio ai miei riti quotidiani, decisi che non ne potevo più. Si, proprio non ne potevo più, ma non pensai nulla in merito al da farsi.

Intanto avevo deciso qualcosa.

E già mi sembrava abbastanza per quella mattina.

Cosa fare? Cosa fare ora che avevo deciso che qualcosa doveva cambiare? Come riuscire a farlo quand'anche avessi trovato questo qualcosa?

No, non potevo continuare ad aggiungere domande su domande.

Trovai la forza di uscire ed uscii.

Una gelida brezza accarezzò la mia pelle.

Non avevo messo né crema, né trucco.

Mi sentivo tremendamente da buttare via già così che un po' di colore non avrebbe certo cambiato le cose.

Ma quella brezza troppo mattutina, oltre a seccare la mia pelle, mi fece venire una fame pazzesca.

Dove trovare un bar aperto a quest'ora?

- I bar sono sempre aperti a quest'ora!

Ringraziai la mia tempestiva coscienza e, come nei migliori film, proprio dietro l'angolo, ecco un bar!

Chissà poi perché sono sempre dietro l'angolo.

Entrai.

Madonna! Era pieno di gente! E che gente!

Ma soprattutto ero l'unica persona di sesso femminile.

Poi mi ricordai che erano le 5 del mattino.

Dove stavo andando a quell'ora di mattina?

E che cosa ci facevo lì?

In un bar di soli uomini?

No, no, le mie domande tornavano a farsi vive, no!

Qualche risposta subito!

Si, ecco, ero lì perché avevo deciso che non ne potevo più.

Già. Tornai in me e alla mia fame.

- Fame? Alle 5 del mattino? Come una camionista?

Si, fame, alle 5 del mattino. Come una camionista!

"'giorno, un cappuccino ed un cornetto. Con la crema se ancora ce l'ha"

- Certo che l'ha. E' l'alba. Come fa ad averli finiti?

Uffa, ho solo detto una cosa così, tanto per essere gentile.

"Cappuccino e cornetto pronti"

Mi strafogai come se non mangiassi da anni, assaporando quella crema in ogni sua più recondita parte.

Dio che delizia!

Mentre mi leccavo i baffi, che non avevo per fortuna, almeno quelli no!, mi accorsi che nessuno era venuto a darmi noia.

Anzi praticamente nessuno si accorse nemmeno di me.

Per un attimo provai una sorta di piacere nel poter smentire quelle dicerie sugli uomini che, in virtù del fatto di essere uomini, devono necessariamente infastidire una donna sola in un locale.

Poi realizzai.

E mi resi conto che forse io, quella mattina, non avevo nemmeno lontanamente la parvenza di una donna.

La cosa, invece che deprimermi ancora di più, mi tranquillizzò.

Ero in mezzo al mondo senza farne parte.

Ero una donna senza sembrarlo.

Ero io senza doverlo ammettere.

Svogliatamente pagai la mia colazione.

Stavo lì lì per uscire quando........

Mio dio!

Si!

Ecco!

Avevo trovato!

O santi numi, che idea assurdamente illogica stava prendendo piede nella mia malsana testa!

Così, in un attimo, mi si era placidamente svelato quel qualcosa che andavo cercando.

No, non poteva essere.

Era un'idea troppo astrusa e impraticabile.

- Ma che ti frega, tanto a chi devi rendere conto?

Si ho capito ma non è semplice! Come faccio con le tutte le mie cose?

- Ma quali cose e cose!

Le mie cose. Ecco quali cose!

- Ma tu vuoi o no cambiare 'sto qualcosa? E ora che l'hai trovato?

Si certo che lo voglio...

- E allora dai no! Che aspetti?

Oh, ma lo sai che è la prima volta che non fai la parte della coscienza?

Insomma per farla breve decisi.

Sarei diventata un uomo.

Pazzesco quanto realizzabile.

Mi avviai verso casa.

Presi la cosa come un gioco.

E come tale doveva prendere corpo.

Pochi giorni, si sarebbe trattato in definitiva solo di pochi giorni.

Avrei certamente dato un bello scossone a questa vita che da troppo tempo brancolava nel buio più pesto. Magari sarei riuscita a tornare ad essere la donna di prima con qualche sicurezza in più, quella che mi sarebbe bastata per dire a tutti: ci sono anch'io!

- Allora ti decidi?

E madonna! si, aspetta! dammi tempo! Cosa devo fare per prima cosa? Cosa devo cambiare? Che mi devo mettere?

Eh no, stavolta no!

Le domande logorroiche proprio no!

Stavo per diventare un uomo, ed un uomo non si fa mai domande! Fondamentalmente perchè non sa dove andare a sbattere per trovare le risposte!

Ecco già una cosa positiva della trasformazione che andavo a inventarmi: niente più domande!

Quindi tu vedi di non stare lì a stressarmi e cerca di darmi una mano piuttosto a trovare il modo di venirne fuori.

- Ok. Raccolto e ricevuto.

Bene.

Ero così eccitata all'idea di diventare un uomo che volli uscire subito.

Non ci misi troppo tempo a scegliere come vestirmi. Rovistai nell'armadio alla ricerca di quanto più maschile avessi. Così optai per un paio di jeans un po' vecchiotti a vita alta, praticamente appoggiati in un angolo, di quelli da buttare via, un maglioncino largo, un giaccone invernale piuttosto insulso e comunissime scarpe da ginnastica.

- Certo che hai una bella considerazione degli uomini!

Ho capito, ma non devo essere un bel fico, solo un uomo!

Ora però dovevo pensare alla cosa più difficile: il viso!

Come poterlo camuffare? Come riuscire a...?

- Ehilà: niente domande.

Già è vero.

Così provai a truccarmi da uomo.

Con il kajal, la matita nera insomma, mi infoltii un po' le sopracciglia.

Mi feci un paio di nei sulle guance.

- Ma perché, gli uomini c'hanno i nei?

Non lo so, ma mi sento un uomo con i nei.

E poi mi feci un po' di ombra con l'ombretto intorno alla zona del naso.

Non lo so, ma mi venne così.

E mi venne bene.

Ora rimaneva il dilemma più grosso.

I capelli.

Non li avrei tagliati per nessuna ragione.

Li raccolsi sulla nuca stile ballerina e poi cercai e trovai un cappello con le falde un po' larghe, genere texano. Avevo solo quello. Non avevo scelta.

Una sciarpa avvolta bene intorno al collo ed un paio di guanti avrebbero concluso la trasformazione.

- Eh, sai che trasformazione!

Vedrai, cara la mia coscienza!

Si erano fatte le 7.

Ero un uomo.

E non so per quanto tempo lo sarei stato.

Uscìì di casa.

E ora?

Ah si niente domande.

Mi diressi dritta verso il bar di prima.

Entrai. Il bar era ancora pieno ma, a malincuore, dovetti constatare che ora era gremito da un sacco di ragazzi e ragazze.

- No, le donne non ci volevano! Quelle ti beccheranno!

Grazie per il supporto morale!

Ma dovetti riconoscere che stavolta la mia coscienza aveva maledettamente ragione.

-La coscienza ha sempre ragione!

Si, vabbeh!

Le donne proprio non ci volevano.

Potevo andare via e tentare il giorno dopo, magari in un altro bar. Come si sa, dietro l'angolo è sempre pieno di bar.

Ma non potevo rinunciare al mio primo giorno da uomo.

Sarebbe andata come doveva andare!

Mi avvicinai al bancone e cercando di camuffare un po' la voce:

"'giorno, un cappuccino ed un cornetto. Con la crema se ancora ce l'ha"

-Ma sei scema! Quello lì ti riconosce e chiama la neuro!

Zitta!

"Cappuccino e cornetto pronti"

Tiè! Hai visto, coscienza di poca fede?

Mentre mi rimpinzavo con fare da uomo, non mi accorsi che poco più in là c'era lui.

Beh, io non sapevo ancora che fosse lui. Lo avrei saputo solo più tardi. Non molto più tardi.

Il bar continuava ad essere gremito in maggioranza da studenti ma nel giro di poco tempo...

- Quanto tempo?

Ma che ne so! Un po' di tempo!

...si svuotò, tanto da permettermi di tranquillizzarmi appena quel poco che basta per pensare "sta andando bene".

Ero ancora seduta al tavolo, si perché stavolta mi ero concessa una vera colazione, quando lui si avvicinò.

"Ciao, posso?"

Oh madonna! Posso cosa?

Accennai un sorrisino.

Voleva essere un sorrisino di circostanza che stava per un no! ma lui lo prese per un si!

E si sedette.

Lì davanti a me.

A me che ero un uomo.

Ricordai che non dovevo pormi domande.

Non avevo previsto una conversazione con nessuno anche perché la mia voce era sempre una voce da donna.

Aspettai la sua mossa.

Che arrivò tempestiva.

"Certo che fanno proprio un bel casino tutti 'sti ragazzi qui. Non credi?"

"Già"

"Mi hanno detto che la mattina presto è ancora peggio, pieno di camionisti e di gente mattiniera, che non si riesce nemmeno ad ordinare un caffè!"

"Si, lo so"

"Lo sai? Sei capitato qui all'alba?"

- Eh brava, adesso non sarò io a toglierti dai guai!

Ma lo sai che mi dai ai nervi? Sono qui per vedere se posso cambiare la mia vita, sono qui per capire che accidenti devo farci con la mia vita, sono qui per tentare di giocare con la mia vita e non mi farò fermare da te ora! Ti ho chiesto solo di giocare con me! O con me o senza di me! Lo vedi questo che mi si è seduto di fronte? Lo vedi quanto è maledettamente intrigante e bello? Si, maledettamente bello! Sai quante volte ho desiderato una cosa simile? Incontrare per caso uno, così, come nei film, e per caso iniziare a parlarci, e per caso vedere che la cosa ti piace e che magari piace pure a lui, e sempre per caso poi dirsi ciao ci rivediamo domani qui? E ora che mi succede sono un uomo! Lo capisci? Un uomo!

- No, non sei un uomo. Sei mascherata da uomo. E comunque io sono con te.

Si, si, certo, ma non si direbbe.

"Ehi, qualche problema? ti vedo un po' assente. Vuoi un caffè? Magari ti tira un po' su"

"Si, grazie"

Si alzò per andare ad ordinarmi un caffè e, mentre si avviava al bancone, lo seguii passo passo con gli occhi. Madonna com'era bello! E com'era bella la situazione! Per un attimo pensai di rivelarmi per quello che realmente ero, ma l'idea di dover intavolare una battagliera discussione con la mia coscienza mi fece tempestivamente cambiare rotta.

Ritornò con il caffè.

"Grazie"

"Non ci siamo ancora presentati. Ciao io sono Paolo"

Continuando a sorseggiare il mio caffè non risposi.

"Scusa forse ti sto disturbando" e fece per alzarsi ma riuscii a bloccarlo.

Gli posi una mano sulla spalla e con un fare poco maschio gli abbozzai un sorriso.

"Scusami tu" replicai io.

Ma servì a ben poco. Si alzò, mi contraccambiò il sorriso e senza dire una parola imboccò l'uscita.

Accidenti! Se ne era andato. Via. Per sempre.

Rimasi lì seduta intontita con l'ultimo sorso di caffè ancora da bere.

Incredibile.

Non stavo rovistando nei cestini del mio cervello per cercare una soluzione.

Non stavo cercando di congetturare niente.

Non stavo ponendomi nemmeno una domanda.

Mi stavo comportando da vero uomo.

"Si vede che doveva andare così" fu l'unico brillante pensiero che la mia mente perversa riuscì a formulare.

- filosofia spicciola...

Si, ma pratica.

Uscii dal bar, feci ancora quattro passi per il quartiere e poi stanca me ne tornai a casa.

Tiraii le somme di quella giornata e ne conclusi che potevo ritenermi soddisfatta.

La mia vita nei panni di uomo non durò poi così poco come avevo previsto. Ormai mi sentivo a mio agio e, soprattutto, la cosa mi faceva stare bene.

La mia trasformazione avveniva quasi sempre la mattina presto e poi la sera sul tardi, quando potevo inscatolare l'interazione con il mio mondo.

Non passai più nemmeno per una volta al bar dietro l'angolo, non fosse altro per mantenere fede alla mia impassibilità di uomo duro. E poi Paolo, del resto, si era rivelato per quello che era. Uno qualsiasi. Da dimenticare. Ed in fretta.

Non nego che mi ritrovai a pensare a lui spesso, a ricordare quell'incontro fortuito, a immaginare di poterlo rivivere di nuovo ma, come si sa, le cose non succedono mai quando le desideri veramente, ma sempre quando meno te le aspetti, quando cioè ormai non te ne frega più niente. E visto che odio i proverbi, che ritengo non siano la saggezza dei popoli bensì un insieme di parole messe lì, apparentemente non a caso, per ovviare alla sfiga, decisi di continuare la mia vita anche senza l'idea di Paolo.

- di chi?

Spiritosa.

E devo dire che ci riuscii discretamente.

Poi, un giorno, lo rividi.

Erano trascorsi diversi mesi e la mia vita procedeva come si sa, nella sua monotona routine, intervallata però da quei picchi di vita che mi permettevano di vedere la vita con gli occhi di un uomo.

Era un venerdì, un venerdì qualsiasi.

Però guarda caso era venerdì. Il mio giorno preferito.

Saranno state circa le sette di sera e avevo deciso di passare in un negozio a comprarmi un maglione nuovo per il mio cambiamento notturno prima che chiudesse. Ormai non compravo più niente da donna da quando l'uomo che era in me aveva preso il sopravvento.

Optai per un negozietto dall'altra parte della città, lo avevo notato pochi giorni prima e mi era sembrato adatto al caso mio, piuttosto fatiscente, insignificante e poco frequentato.

Lasciai la macchina in una via adiacente, tanto il negozio si trovava proprio dietro l'angolo.

Entrai senza accorgermene.

Si, senza accorgermi che lui, lui Paolo, era lì.

Dentro a quel negozio.

"Posso aiutarla?" fece uno scostante omino.

Ma io ero paralizzata.

L'inutile omino mi lasciò perdere da subito.

Era lì. Proprio lì.

Paolo.

E ora?

Ora che ero una donna cosa dovevo fare?

Non avevo la mia forte corazza da uomo ad aiutarmi.

Mi sarei fatta tutte le domande del mondo probabilmente senza nemmeno un briciolo di risposta.

Il tempo di realizzare tutto questo che lui uscì.

Ed io senza rendermene conto uscii con lui.

Non so come, ma decisi di pedinarlo.

Questa volta non poteva sfuggirmi di nuovo.

E prima che potesse consigliarmi qualcosa, tappai la bocca alla mia coscienza.

Per fortuna si avviò a piedi come speravo.

Il cuore mi martellava forte da farmi male.

Mi sembrò di seguirlo da un tempo senza fine ed invece solo pochi isolati dopo entrò in un portone che si chiuse dietro di sé.

Superfluo dire che si trovava esattamente dietro l'angolo.

E alla cosa non diedi alcuna importanza.

Solo dopo capii l'arcano concetto di "dietro l'angolo".

Tutto ciò che vi si trovava avrebbe dovuto farmi riflettere.

Prima il bar, poi il negozio ed ora il portone.

Avrei dovuto imparare ad evitare ogni cosa dietro l'angolo.

E per una volta ancora sbagliai.

- o forse no.

Già, o forse no.

Mi bloccai impalata davanti a quel portone chiuso a guardarlo come si guarda l'ultimo gabbiano andare via verso lo sconfinato azzurro di un cielo senza orizzonte.

"Perché mi stavi seguendo?"

No, no era il portone a parlare per il solo fatto che davanti ai miei occhi non c'erano più barre di ottone intarsiate con piccoli steccati di legno a formare l'uscio di quella palazzina, e per il solo fatto che un portone non parla.

Come detective ero stata davvero una frana.

Se fossi stata un uomo sono certa che avrei saputo cosa fare.

E non c'era nemmeno la mia coscienza a darmi una mano!

"Sto dicendo a te. Allora?"

"Guarda che ti sbagli. Io..."

"Non mi sbaglio affatto. Ti ho vista prima nel negozio sai, cosa credi?!?"

Mi ha vista prima nel negozio!

Ha visto me nel negozio!!!

- non credo che volesse dire quello che stai pensando tu!

Non importa quello che voleva dire, importa quello che è successo, e cioè che si è accorto di me.

Forse avrei dovuto rivelargli la verità, forse avrei potuto in questo modo conquistarlo o quanto meno direzionarlo verso un qualcosa, che sarei io, che fino allora lui aveva ignorato.

- la verità? conquistarlo? direzionarlo? Ma sei impazzita? Cosa credi di poter ottenere? Dove speri di arrivare? Come pensi che una persona normale possa comprendere? Capisci? Una persona normale, quello che non sei tu?

Già. La normalità. Ho sempre sostenuto che la normalità ammazza ogni genere di vibrazioni che la vita possa far fiorire. Ho sempre creduto che l'essere normali non permette di cogliere l'essenza di un alito di vento. Ho sempre vissuto le cose normali di questa esistenza come passeggere e poco intrise della pienezza della vita.

E ora la mia coscienza era candidamente lì a ricordarmelo.

Lo guardai. Penetrai il suo sguardo fin dentro. E capii.

Così senza proferire nemmeno il pensiero di una risposta girai sui miei tacchi e me ne andai perché sapevo che lui mi avrebbe lasciato andare via.

Mi diressi al bar. A quel bar.

Solo per ricordare. Per ricordare un'ultima volta.

Era ora di cena ma ordinai ancora una volta cornetto con crema e cappuccino. Mi accontentai di qualcosa che aveva le parvenze di un cornetto e mi sedetti al tavolo.

Ma lui era già lì. Seduto.

"Vieni siediti"

"Sono già seduta"

"Volevo dire accomodati"

"Sono già accomodata"

La rabbia, la delusione, l'amarezza formarono un cocktail disastroso.

"Forse dobbiamo parlare" disse.

Quel suo tono pacato e dolce mi disorientava e avrei solo voluto non essere mai entrata in quel bar.

"Che ci fai qui? Perché mi hai seguito?" chiesi.

"Veramente sei tu che dovresti dirlo a me. Non credi?" quasi sorrise.

"Ascolta Paolo, mi spiace da morire ma ora proprio non è il momento"

" Paolo? Come sai che mi chiamo Paolo?" non sorrideva più.

- oh, mio dio!

Oh, mio dio!

Irruppi in un pianto silenzioso di lacrime assordanti.

Mi sfiorò la mano. Teneramente.

"Scusami. Puoi non dirmelo se vuoi. Ma ora calmati".

Chiunque avrebbe continuato giustamente a voler sapere, a voler capire. Chiunque. Lui invece mi sfiorò la mano. Senza voler sapere. Senza voler capire.

- forse anche lui non è normale. Come te.

Mi girai di scatto verso la mia coscienza. Non colsi nessun tono di sfida, né di rimprovero, né di polemica nelle sue parole. Per la prima volta la pensava come me. Per la prima volta la sentii vicino a me. Per la prima volta era me. Forse anche lei non era normale. E le sorrisi riconoscente.

"No, hai ragione tu. Devo darti qualche spiegazione" gli dissi "solo che non è semplice".

"Tutto ciò che rifulge nella sua semplicità spesso lascia dietro di sé una scia di non senso e di tristezza. Le cose semplici non fanno parte del mio bagaglio di vita e francamente le rifuggo sempre".

"Come le cose normali?"

Sorrise. "Si, come le cose normali"

Ed ora eccomi qui.

Quello che successe dopo è frutto della mia storia.

La verità?

La verità, come spesso accade, è meno scontata di quanto si possa supporre.

Da quella sera cambiarono molte cose. Prima fra tutte la mia parte di cervello ancora attaccata alla labile realtà.

Fa parte dell'essere in essere sentirsi deboli in balia della pochezza di alcuni momenti della vita stessa.

E quella maschera, quel nascondermi dietro ad una falsa immagine, quel cercare di essere qualcun altro mi aiutò a sopravvivere a quei momenti.

Non ci rinunciai più.

Ormai ero per metà donna e per metà uomo. Solo che ero sempre me stessa. Anzi ero più me stessa di quanto non lo fossi mai stata.

- ed io? e Paolo?

Già, tu e Paolo.

Tu sei qui. Ancora qui. Con me. Dentro di me. Tu sei sempre più me.

Paolo è stato il vissuto del tempo della fugacità di un attimo.

Una specie di stella cometa da seguire per farti condurre chissà dove. E in quel dove credo proprio di esserci arrivata. E ora che sono qui la stella cometa se ne è andata.

Come se avesse portato a termine la sua opera.

Come dire: si vede che il corso di questa storia doveva essere questo.

Oggi posso dire che forse doveva andare così.

Con qualche rimpianto forse, ma senza rimorsi.

Si dice però che le stelle comete periodicamente ritornano.

Beh io sono qui. Dietro l'angolo di un sogno. Ad aspettarla ancora.





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