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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Luigi Rocca

Dissolvenza

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Maria si ritrovò sveglia nel letto e ne fu quasi sorpresa. Accanto a lei si alzava un ansare profondo e continuo che non aveva mai sentito. Aveva appena sognato di essere chiusa in un ascensore che continuava a scendere senza fermarsi. Non c'era angoscia in tutto questo, forse soltanto l'inquietudine di non sapere dove stesse andando. Ricordava di avere avuto per tutto il tempo la tentazione di battere il palmo della mano contro la parete dell'ascensore per farlo fermare, ma aveva troppa paura di rimanere chiusa lì dentro senza poter aprire la porta e preferiva continuare a farlo scendere. Si svegliò ancora indecisa su cosa fosse meglio fare.



Maria aprì gli occhi nel buio. Un filo sottilissimo di luce attraversava il soffitto. Ebbe la sensazione di non essere mai stata in quella stanza. Fu una sensazione acuta, ma durò solo un istante. Richiuse subito gli occhi sperando che il sonno la riprendesse così come l'aveva lasciata. Trattenne anche il respiro. Per tutta la stanza rimbombava quell'ansare pesante che le nasceva accanto. Sentì il bisogno di bere. Ne provò proprio il bisogno più che il desiderio, come se non ne potesse assolutamente fare a meno, nonostante dal suo corpo non provenisse nessun impulso a muoversi. Si sentì nuovamente chiusa nell'ascensore che scendeva. Solo quando capì che non si sarebbe più addormentata si sollevò lentamente a sedere. L'ansare non sembrò turbato dal suo movimento. Appoggiò i piedi sul pavimento e sentì il freddo salirle su per le gambe. Si alzò.



Ora Maria era immobile nel buio accanto al letto, nella stessa posizione in cui si trovava nel sogno. Girò lo sguardo intorno, cercando la porta. Fece un passo, il pavimento di legno scricchiolò. Si fermò di nuovo. Non ricordava di avere mai avuto un pavimento di legno in camera. Fece un altro passo, un altro ancora, finché con la punta delle dita toccò il muro, poi le lasciò scivolare verso sinistra con il ruvido della carta da parati contro i polpastrelli. Arrivò alla porta. Fu sorpresa di trovarla aperta. Uscì e la richiuse senza rumore dietro all'ansare indisturbato. Dentro di lei cominciava a farsi spazio una sensazione di inquietudine che non poteva provenirle né dalla sete né dal sogno, tutti e due tanto lontani adesso da non sembrare neanche appartenere a quella notte. Sino ad un momento prima aveva pensato che potesse venirle da quell'ansare invadente, dalla sua regolarità e dal timore di interromperlo, ma anche adesso che il respiro era sparito la sensazione rimaneva. Dalle piante dei piedi le saliva un freddo sempre più intenso, le gambe le facevano male.



Nell'oscurità Maria cercò con la mano l'interruttore. Rimase accecata quando la luce riempì il corridoio e la rispense subito. Sempre sfiorando il muro con la punta delle dita camminò sino alla porta della cucina. Prima di riaccendere la luce si mise una mano davanti agli occhi. La stanza era piccola. Maria guardò la credenza color legno e le mensole bianche. Al centro del tavolo la fruttiera era quasi vuota. Spostò una sedia e si sedette. L'inquietudine non la lasciava ancora: Si ricordò di aver sete solo quando il suo sguardo si fermò sul rubinetto. Le parve sciocco essersi alzata per questo e provò il desiderio di tornare a letto. Mezzo nascosto da una tendina, vide il proprio viso riflesso sul vetro della finestra. Spostò la testa per vederlo completamente e rimase a fissarsi per qualche secondo senza riconoscersi. Il bisogno di bere tornò a farsi sentire più impellente di prima. Ebbe paura di non riuscire più ad alzarsi, tanto si sentiva stanca.



Maria appoggiò le mani sul tavolo per aiutarsi a tornare in piedi. Le guardò. Trovò strano che quelle fossero le sue mani. Troppe rughe, troppe macchie scure. Troppo vecchie, pensò. Provò ad aprirle e chiuderle per vedere se davvero rispondessero agli ordini del suo cervello. Prese una mela dalla fruttiera, la rimise a posto. Aveva sempre ritenuto di conoscere bene del proprio corpo soltanto le mani e ora anche queste le sembravano estranee. Guardò nuovamente il proprio riflesso contro il buio della notte. Il viso, per esempio, le era sempre apparso lontano, poco familiare, e ora non si stupiva di non riconoscerlo. Si osservava nell'atto di restituirsi lo sguardo come un'interlocutrice muta di se stessa. Guardò meglio, cercò di separare i particolari dall'insieme. Con la punta delle dita sfiorò le rughe delle guance, le seguì lungo il collo. Come poteva essere diventata improvvisamente così rugosa, così macchiata. Così vecchia. Aveva sonno, adesso. Si sentiva stanca come ricordava di non essere mai stata. Si ritrovava in una stanza che non aveva mai visto, con un viso che non riconosceva e due mani che non erano le sue mani. "Che cosa mi sta succedendo?" pensò.Senza accorgersene Maria si ritrovò in piedi. Pensò di andare a chiudersi in bagno: era l'unico posto in cui le sembrava che nessuno potesse raggiungerla. Invece arrivò solo fino al rubinetto e lo aprì. Rimase a guardare l'acqua che scorreva senza che le tornasse il desiderio di bere. L'acqua spariva in fondo all'acquaio con un piccolo mulinello e questo le ricordava qualcosa. Richiuse l'acqua, spense la luce della cucina e si ritrovò nel buio del corridoio. Ma chi l'aveva portata in quella casa?



Maria fece due passi, poi si fermò di nuovo. L'inquietudine ora le saliva su per le gambe insieme al freddo, fondendosi in una strana sensazione che arrivava sino alla testa. Le parve di non riconoscere nemmeno il buio. "Cosa mi sta succedendo?" ripeté. Aveva l'impressione che la mente non riuscisse più a seguire i propri pensieri. Doveva fare qualcosa prima che questo avvenisse davvero.



Maria si avvicinò alla porta della camera e la spalancò. L'ansare continuava a riempire la stanza, pesante e indisturbato. Era un respiro gonfio, quasi animale. La sua inquietudine non poteva nascere che da lì, da quel respiro. Accese la luce. L'ansare si interruppe lasciando posto ad un rumore di sillabe senza senso, mentre qualcosa si muoveva tra le lenzuola. Maria rimase immobile e silenziosa con la mano ancora sull'interruttore. Finalmente da dietro le coperte venne fuori un viso anziano con gli occhi ancora chiusi dal sonno.



"Maria" disse quando riuscì a vederla. "Cosa fai lì in piedi?"



Maria. Quell'uomo l'aveva chiamata per nome, l'aveva riconosciuta. In quel momento non le importò più che quel viso anziano non le ricordasse nulla, così come quella casa o le proprie mani. Si sentì più tranquilla. I postumi dei sogni possono giocare strani scherzi, pensò. E, senza rispondere, spense la luce e tornò a dormire.





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