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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Alessandro Busi

Esproprio proletario natalizio

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Minchia che freddo...e per un gioco, poi...

Era attaccato alla ringhiera con una mano, nell'attesa che tutti se ne andassero.

Ma d'altra parte...se lui mi ha chiesto quello, devo cercare di averlo...

Sentiva l'aria che gli congelava le nocche delle dita, mentre la testa andava al figlio, Luca, che non aveva ancora l'età per capire, ma soprattutto per conoscere, il mondo di merda nel quale era nato.

Mario era appeso per una mano e con l'altra teneva il sacco di iuta riempito di polistirolo. Stava così da quasi due ore e si sentiva i crampi nello stomaco. Guardava il cenone natalizio della famiglia Roversi.

Dai che è fatta...manca venti a mezzanotte...

Dalle finestre all'inglese vedeva la nonna che si metteva il cappotto aiutata dal nipote Andrea che, ad occhio e croce, aveva la stessa età del suo Luca. Antonio e Laura, mamma e papà del bambino e, rispettivamente figlio e nuora della nonna, stavano iniziando a sparecchiare la tavola imbandita.

Che cosa aspettate?!...

Come se avessero sentito i suoi pensieri, i Roversi, tutti pronti e agghindati al meglio, abbandonarono i propri compiti ed uscirono veloci e sorridenti, come atmosfera natalizia impone, per la messa di mezzanotte.

Mario vide il suv di Antonio allontanarsi lasciando dietro di sé la condensa dei gas di scarico.

2

"Mario, ma che hai?"

Giovanna era sua collega ormai da due anni, ovvero da quando era andato a lavorare nel call center Telecom della sua città. Entrambi si occupavano di questioni di carattere economico e lavoravano nelle due postazioni adiacenti.

"Ma niente...è che mi è arrivata la lettera per Babbo Natale da Luca..."

Deglutì amaro e sentì un sapore che nessuno gli aveva preannunciato quando gli raccontavano come sarebbe stato bello fare il padre. Nessuno gli aveva detto cosa poteva significare sentirsi un fallito, perché non si poteva permettere di fare un regalo al figlio. Nessuno gli aveva descritto le notti insonni, a rigirarsi il cervello su come potesse racimolare quei dannati duecento euro per prendere la Play Station a Luca.

"E vabbè...che sarà mai!...se ti serve qualcosa lo sai che puoi chiedere a me..."

Lui la guardò e la ringraziò con gli occhi, ma non disse nulla. Sapeva benissimo che anche lei faceva fatica ad arrivare a fine mese tra stipendio da fame, affitto e spese varie. La ringraziò con gli occhi, ma non disse nulla, perché non c'era nulla da dire e le parole non avrebbero fatto altro che aumentare la sua amarezza: un conto è pensarle le cose e un conto è dirle. Insomma, se lui avesse pronunciato una frase tipo Grazie Giovanna, ma spero di riuscire ad accontentare Luca con le mie forze, sarebbe stato come materializzare, con la potenza della voce, le paure che gli affollavano le notti.

Respirò profondamente, prese la cornetta e ripartì.

"Telecom buongiorno, sono Mario!"

3

Aspettò che, dell'auto, non si sentisse più nemmeno il rumore prima di staccarsi e saltare sul balcone di casa Roversi.

In primis, svuotò il sacco dal polistirolo lasciandolo volare via col vento: sembrava che nevicasse, come nei film di Natale, ma, come nei film, il tutto era assolutamente finto. Poi, come un vero Mc Giver, tirò fuori dalla tasca una forcina rubata ad Angela, la sua ragazza e, senza troppa fatica, aprì la portafinestra.

Ma che cazzo sto facendo?...

Mentre si accingeva a scassinare la serratura, il vetro scuro gli permise di specchiarsi a figura intera e di vedere uno spettacolo che lo fece rabbrividire: un uomo di trentacinque anni, cicciotello, con barba e costume da Babbo Natale, che si stava introducendo in una casa non sua per rubare un giocattolo ad un bambino.

Ma dove cazzo sono arrivato?...a che punto sono arrivato?...

La figura che vedeva nel vetro scuro, ad ogni pensiero che gli bruciava in testa, si ingobbiva visibilmente, come schiacciata da un senso di amarezza generalizzato e dalla consapevolezza istantanea di aver buttato la sua vita nel cesso e di aver tirato pure la catena.

Ormai è tardi per i ripensamenti...

Aprì la portafinestra ed entrò.

La casa era calda ed accogliente. Sul grande tavolo, coperto da una tovaglia natalizia con dei pini e dei babbi natale disegnati, c'erano le tazzine con i fondi di caffé ed i bicchierini che puzzavano di limoncello. Nell'angolo più lontano della stanza, l'albero di Natale con gli aghi ed il tronco di plastica, si accendeva ad intermittenza e sotto, nell'attesa di un'imminente apertura, stazionavano i pacchetti regalo.

Mario pensò che Angela e Luca erano a casa senza cenone, senza albero e senza di lui. Pensò anche che il Natale era solo una merda per ricchi e che gli faceva schifo, e che era giusto che lui fosse lì a rubare la Play Station di quel bambinetto viziato, perché era solo un acconto che lui si riprendeva rispetto alle ingiustizie subite: esproprio proletario natalizio.

Dai Mario...non stare a pensare alle cazzate, muoviti...

Arginate le congetture di giustizia sociale, si diresse verso l'albero.

4

"Vedrai che se glielo spieghi lui capisce...è un bambino intelligente..."

Giovanna aveva cercato di consolarlo durante la pausa caffé e gli aveva pure offerto un ciocappuccio per tirargli su il morale, ma non c'era stato modo.

"signor Ranza cosa le succede oggi?"

La voce profonda e forzatamente amichevole del capo si introdusse nel discorso.

[Corso di preparazione per futuri direttori di call center, lezione tre: cercate di creare un rapporto con i vostri dipendenti...parlate con loro nelle pause e fategli capire che gli siete vicini...fatevi volere bene!]

"Ma niente...problemi natalizi...sa com'è?"

Mario cercò di tirare la bocca verso una smorfia simile ad un sorriso, ma le labbra gli risultavano pesanti come se ci fossero state due incudini appese agli angoli.

"Oh la capisco! Pensi che il mio Andrea mi ha chiesto la Play Station nuova...ma sa che costa più di duecento euro?...e poi adesso mi è pure toccato arrivare in ritardo al lavoro per prendere a mia moglie questo Babbo Natale, grandezza naturale, da attaccare al balcone...ma d'altra parte...Natale viene una volta all'anno!"

Il capo rise con le fauci larghe ed i denti bianchi ben visibili.

Mario lo guardava fisso e non capiva se era sincero, o se lo stava prendendo per il culo, ma non disse nulla. Annuì e buttò nel cestino il bicchiere di plastica marrone.

Anche il capo buttò il bicchiere e, con un augurio natalizio, congedò i due dipendenti, che lo salutarono a loro volta.

"Auguri a lei dottor Roversi"

5

Aveva aperto praticamente tutti i pacchetti, trovando una miriade di inutilità, fra le quali spiccavano: una cravatta rossa con delle piccole stelle comete ricamate sopra ed il libro di Bruno Vespa sulle abitudini culinarie della classe politica italiana.

Ma dove cazzo è 'sta Play Station!

Era rimasto un solo pacchetto. Lo aprì ed eccola comparire in tutta la bellezza della sua confezione di cartone: la consolle più amata da grandi e piccini.

In uno slancio di affetto consumista, se la strinse al petto come se avesse avuto fra le braccia un bambino.

Finalmente...è fatta...

Fu proprio il sorriso di soddisfazione ad essere illuminato dalla luce azzurra che sembrava venire dal cielo.

Furono proprio i suoi occhi felici ad essere accecati da quel bagliore improvviso.

Furono proprio i suoi denti storti a cambiare colore e divenire, dal bianco gialliccio naturale, al blu polizia.

Cazzo la polizia!

Mario chinò il capo e si guardò dal collo in giù. Vide una specie di flaccido Buddha vestito come un buffone, che teneva in mano il dono natalizio di un bambino.

Si sentì una merda.

La porta di sotto fu abbattuta dai calci degli anfibi di Stato.

Non riusciva nemmeno ad immaginare come avrebbe fatto a spiegarsi in questura: sì, ho finto di essere Babbo Natale e poi mi sono introdotto per rubare un giocattolo per mio figlio...Nessuno gli avrebbe creduto. E cosa avrebbe detto ad Angela? E a Luca?

Gli scarponi che correvano su per le scale erano un rumore fortissimo e ripetitivo.

I poliziotti lo presero senza che lui opponesse alcuna resistenza. Aveva il capo chino in segno di resa: resa alla polizia e resa alla vita.

Non c'era più nulla da fare.

Non c'era mai stato nulla da fare: tutto questo era stato solo uno stupido gioco, un niente costruito dalla sua fantasia disperata, nel tentativo di mantenere una certa dignità davanti ai suoi familiari, ma non era possibile.

Quando uscì dalla porta, ammanettato e tenuto stretto per il braccio destro, c'era la famiglia Roversi al completo, Antonio compreso, che lo guardò e scosse il capo.

Mario non ebbe la forza di incrociare lo sguardo del suo datore di lavoro, ma, seguitando a fissarsi i piedi, salì sulla volante e fu portato via.





Alessandro Busi



Sono Alessandro Busi, un tentativo di scrittore nato a Brescia il 27/11/1984, poco prima della grande nevicata dell'inverno '85.

A livello Letterio, dopo un po' di prove tecniche, pubblicherò il mio primo romanzo Io il mal di pancia non l'ho mai avuto, con Giraldi editore; mentre sono stati pubblicati da Giulio Perrone editore i miei racconti "Una partita non dura una vita" (all'interno dell'antologia Vite sportive) e "14/02/07 (all'interno dell'antologia Matrimoni scoppiati). Inoltre, collaboro con le webzine musicali "Rockshock", "Indie-zone" e "Musicletter". Telematicamente esisto su: www.myspace.com/la_gente_sta_male







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