RACCONTI
Alessandro Pedretti
Fermo sopra un filo
Addio lettore, da che parte te ne stai andando? Io sono sempre altrove, diceva il Fantasma della Liberta', addio citta', addio tramonti: non ho un posto dove stare, aggiungeva. Poi si e' fermato a casa mia un mattino di dicembre che pioveva come la mandasse Giove, o forse era sua moglie, azzurra e verde in una vestaglia di nuvole che gliela invidio ancora! S'e' fermato perche' pioveva, non per altro. Non che a casa mia ci fosse la sua liberta', il suo passato, il suo corpo consunto, i suoi segni sul lenzuolo. Niente di tutto cio', solo che pioveva. E me ne stavo fermo sopra un filo.
Equilibrista per passione, taglio per il giardino quando sono di fretta e devo raggiungere la fermata del tram senza avere il tempo di girare, come si dice? L'isolato. L'isolotto per me che sono un pesce fuor d'acqua in questa asciutta citta' di lago. Taglio sopra i fili del bucato. E il Fantasma della Liberta', come aria calda senza odore, mi si e' impigliato all'orologio da taschino e mi ha fatto cadere, cadere nell'erba alta e l'ho schiacciata. Andare a lavorare? Di tanto in tanto eviterei certe scocciature, pero' ci andavo. Mia figlia ha sette mesi, la mia ragazza ventisette, anni come io ne ho trentatre che pero' non ho compiuto, come mio figlio nove. Perche' venirlo a dire? Cosi' sapete meglio e meglio mi avvicinerete per la strada se mai scopriste chi saro'. Se mai imparero' a parlare...
Vi invito a quella festa. Lancia in resta e muso duro non sono valsi a molto: il Fantasma della Liberta' mi ha tirato giu' lo stesso, e ho creduto di non essere piu' in grado di stare fermo sopra un filo! Poi mi ha spiegato tutto, da un barattolo di vetro o da una scatola di latta e che ne so! Parlava come una calcolatrice e invece diceva cose ch'erano musica. Mi ha detto che un fascista buono e' quello morto. Ma ha sbagliato decennio. Mi ha detto che il sesso e' una tra le vie per ogni dio maschio o femmina che sia. Ma ha sbagliato ancora. Mi ha detto: e' quasi sempre ora e poi e' gia' passata. E forse ha indovinato giorno. E quando ha smesso di piovere forte ha voluto ripartire, ma noi l'abbiam seguito, io alla testa della carovana agganciato saldamente al mio orologio da taschino, e non sono piu' restato fermo sopra un filo.
Dietro il primo angolo di strada, dio che miseria che ho veduto! E ci vivevo a un passo! Ma non si vede mai al di la' del proprio naso. Si fa presto a giudicare, vero?
E non si vive mai al di la' del proprio peso. Vorrebbe dire sapere come si vola e a noi piacciono piu' le canzoni che ne parlano (impavidi!), per la strizza che ci prende di muovere i piedi senza muoversi d'un piede. Il cantico dei morti di fame proprio li' a due passi; ed io che mi credevo di stare in un Paese! Abitavo nel solito Stato di Cose. Si prendono il nome e credono di essere sostanza: governo ladro pure quando fa sereno. Ma il Fantasma della Liberta' me l'ha subito messo in luce il dietro l'angolo e ci abbiamo tutti quanti fatto un giro. Mio figlio non era preoccupato, ha trovato subito un amico, dopo averlo un minimo sfamato per giocare, ma quello non sapeva come si facesse e mio figlio gli ha spiegato il gioco di nascondersi ma non l'abbiamo piu' trovato. La piccola Annamaria ha gli occhi blu, un classico, spero siano quelli definitivi, mi sembra di guardare il mare a fissarla un istante, un cliche'. La mia ragazza e' un fiore di loto, splendido e impacciato e non sa nuotare, e' quasi irraggiungibile nei suoi corsi d'acqua dolce, nelle anse che disegna. Occorre perdere il senno, dimenticare i senno', e farsi trasportare, evitando di essere ordinati. Ha gli occhi verdi ed io le ho scritto la mia canzone piu' bella. E lei e' la ragazza piu' bella. Camminammo alcuni giorni nel quartiere dei disperati. Gli uomini morivano lungo le strade, aggrappati ad un ricordo, al palo di una luce, ad un raggio di luna ch'era poi l'insegna della Missione: impossibile. Gli animali se li portavano via coi denti, li dividevano tra rivali e figli, smembrando e digrignando con grevi note baritonali. Concerto, la morte suonava e la vita stava a darle il la se si perdeva un istante. Avevo lo stomaco come uno zerbino di negozio ai saldi e non ha retto la ressa furiosa di immagini odori e suoni della Fine, che come donne indiavolate ne vogliono un pezzo a tutti i costi. Ho vomitato sulla terra scura di catrame, mio figlio mi ha retto e consolato e poi ha sorriso rendendomi tutta la salute. E' la persona migliore che io conosca.
E tu lettore sei quella meno bella. D'accordo, come faccio a dirlo?! E come fanno i bambini a morire di fame senza che nessuno di noi pianga acqua e sale tutti i giorni per Rigenerare? Basta anche bagnare una pagina per ritornare bellissimi come una volta. Fai pure lettore, senza fretta, mettiti solo e lascia uscire. Il seguito puo' aspettare e non e' di nessuna importanza. E le persone bellissime fanno un posto dove i bambini non moriranno di fame mai.
Acume, nostalgia e curiosita', per fare un buon giocatore di golf e per scrivere un buon libro. Vorrei tornare ai miei tre anni e arrivare agli undici e poi tornare ai miei tre anni e arrivare agli undici, ma non allora, non il corpo e la mente, semplicemente ricordare l'anima com'e', e avere il coraggio adesso di essere cosi' puri e liberi. Desolation Road, ma il Fantasma della Liberta' non si e' trovato neppure in quel quartiere e dopo essersi disfatto del mio orologio da taschino ha proseguito oltre e noi sulle sue tracce di nebbia e disordine apparente, di vento sulle foglie e di sole sui tetti roventi delle automobili, non l'abbiamo perduto un solo giorno di cammino. Infine ha sfatto armi e bagagli in un posto chiamato Sensazione. Forse qui, pensava, ci trovo proprio quel che di me fu. In questa perpetua presenza, in questa strettoia spazio-temporale dove ci sta poco piu' che un brivido alla volta. In fila indiana allora, ma che ho veduto che non riesco a ricordare nulla? Posa la carrozzella e costruisci una tenda, un letto di foglie e vestiti, un tetto di rami e foglie. Avevamo tutti gli occhi grandi nel Paese di Sensazione, la pelle sempre sveglia, le unghie affilate e il respiro sottile. Ci passano tutti, chi piu' chi meno al giorno, e nessuno che si ferma come abbiamo fatto noi. Vedemmo le ombre della gente correre come Spettri della Gioia dentro la strettoia e scomparire; i piu' sono bambini con la pelle d'oca e i capelli lucenti: ridono, tremano di paura o di freddo, piangono per lo sconforto, si arrabbiano, ridono. Le sensazioni della nostra vita. Quante sono? Milioni? La nostra vita e' una sensazione, la nostra minuscola utopia di completezza non credo che lo sia. Chi vuole ogni cosa al posto assegnato, chi vuole un'anima tutta pulita, chi la cucina mai vuota, chi la finestra sul cortile e un bambino e un cane a ruzzoloni e pantaloni sporchi d'erba e chi invece erba soltanto. Ma le sensazioni? E dove le lasciamo?! Come la', nel Paese di Sensazione, c'era pieno di uomini e donne di tutte le eta', ma chi vi si fermava piu' di un istante, piu' di un minuto, erano soprattutto animali, predatori e prede in lunghi assedi, fughe e sconfitte, soldati e meditatori, santi e assassini con le loro vittime terrorizzate. E chi faceva buon sesso di tanto in tanto. Ma per il Fantasma della Liberta' quello era un unghia di quel che cercava e non si sarebbe certo mai accontentato ne' arreso. Passammo un mese comunque, vivemmo intensamente, dormimmo intensamente, bevemmo intensamente te' e sudammo intensamente al sole; parlammo intensamente e respirammo intensamente. Intensamente provammo paura e gioia e facemmo l'amore intensamente io e la mia intensa ragazza sensazionale. I figli giocarono e crebbero intensamente, e sognai cosi' intensamente che per qualche ora alleviai la solitudine del Fantasma della Liberta'.
Ma al mio risveglio era tutto un'altra cosa.
Che grigio scuro quella mattina! Che nuvole compatte, che aria fredda. Che stagione stiamo sorvolando? Pensai. Ma piu' che sorvolando c'eravamo proprio dentro. L'autunno delle Esistenze lo chiameremo noi quattro una volta passato, ma nell'entrarvi non avevamo nome, avevamo freddo e acqua nelle ossa. Annamaria cosi' perfettamente indifesa apriva le braccia pallide, imbacuccata di lana e cotone sorrideva e aveva voglia di partire. Ebbene, dove andiamo? Il Fantasma della Liberta' ci ha lasciati ed io non so piu' che piede prendere per primo. Domandiamo a un pellicano! Ma quello sembrava nemmeno notasse la nostra presenza e battendo ali e coda si sollevava per posarsi su rami migliori e piu' alti. Ricurvi come vecchi per non inumidirci le schiene nelle radenti nubi, cominciammo un sentiero largo come un prato, costeggiato da lunghi filari verde scuro, di alberi e cespugli. Un cervo, d'incanto in canto, bucava il fondotinta grigio del nostro orizzonte e severo ci osservava progredire e apprendere la strada. Una leggera pioggerella poi scese silenziosa e continuo' per giorni e notti inducendoci ad inventare nuovi ripari deambulanti e a sferzare il nostro animo perche' imparasse a tenere su il morale e a ridere nelle avversita'. Fummo forti. Lo divenimmo in fretta e senza furia. Sbancammo la sfortuna su quella tavolata verde e fango e rinvigoriti nei muscoli e nella tempra smettemmo d'aver paura. L'autunno divento' da inospitale, romantico ed evanescente, ma dietro a noi l'immenso nero si mangiava tutto il trascorso. Come ne La Storia Infinita! Disse la mia Compagna di Viaggio, e tutti alzammo occhi al cielo ad intuire tra gli aghi d'acqua un drago bianco che abbaiava.
La luna e' una cupola chiara, un cuore di tufo, una palla da golf fatta a mano.
La terra una stanca nenia di mare, una grossa verita', un occhio acquoso e saggio.
L'autunno le scolora. Coraggio coraggio miei prodi! L'inverno e' vicino e la neve dara' tutta la luce ed il fuoco tutta la forza. Avanti famiglia! Le esistenze cadono dai rami ma la nostra capanna oramai e' a un tiro di biglia.
E proprio quando cademmo nel fango, con le gambe sepolte, i polmoni schiacciati (con le braccia mio figlio teneva sollevata la piccola fradicia) con i denti sporchi di terra e sorrisi non ne avevamo piu' da alcune ore (pensavo a che brutta serata avrei passato!) una mandria di cervi ci avvicino', in testa proprio lui che ci osservava, piegarono le gambe a farci montare e ci portarono via dall'Autunno delle Esistenze: ora saremmo stati pronti al nostro futuro di esseri umani.
Nella capanna il Fantasma della Liberta' congedo' cervi e nuvole e ci diede un ridente benvenuto in casa nostra e un inconfondibile buon odore ne usci', riscaldandoci stomaci e cervelli. Fagioli in tegame e pane tostato, ne mangiammo fino a scoppiare.
I crucci erano quelli di sempre: fare legna, inverdire il presepe vivente di noi, conservare la carne, scuoiare gli animali, farne pellicce e coperte, spalare la neve, chiedersi a quando, dormire quanto basta. V'era una luce all'alba che non si scordera', dei colori del mare, delle onde, del vento che solleva la spuma, degli scogli battuti. Durava per una mezz'ora alle volte un'ora, veniva da lontano e noi ci si chiedeva a quando. Lasciamo che cresca la piccola, lasciamo che parli e cammina, dicevamo. E fu. Mi era cresciuta una barba folta e i figli ci giocavano stando accoccolati al fuoco quando fuori bufere o lupi d'intorno andavano e venivano famelici e infreddoliti come povere streghe scomunicate. Uno di essi, intravidi una notte, aveva al collo il mio orologio da taschino. Rendimelo!!! Gli intimai. Sulla soglia di casa col vento alla mia sinistra e un lungo robusto bastone. Il lupo si fermo' senza ringhiare. Col bastone provai a sfilarglielo ma quello capi' e corse via come un fiocco nero tirato altrove dal vento. Erano le undici di sera, non vedevo l'ora dell'uomo civile da chissa' quanto tempo.
E allora rincasai. Che odore di zuppa fatta a cena! Ce ne andiamo!!! Vorrei andare in citta', disse mio figlio, dicono sia divertente. La donna sorrideva dolce dolce, un segno che io e pochi altri vi avrebbero riconosciuto, soltanto sfuocava la sua serenita'. Forse era solo che sapeva guardare meglio ma reagiva peggio. Ci addormentammo beati e i bambini fecero gli stessi sogni di altre volte, forse rimasti impigliati all'orlo delle lenzuola.
Da dove vengono i sogni. Si chiedeva un girovago solitario del Mar Morto. Ehi, certe volte visito luoghi impensabili, mai nemmeno immaginati. Com'e' che posso vederli in sogno senza averli mai veduti desto? Ma forse vivo solamente due sonni, l'uno il sogno dell'altro reciprocamente. Girovago solitario e meditabondo, con un Fantasma della Liberta' piccolo piccolo nel taschino della giacca.
Alessandro Pedretti
Nato a Brescia il 26 luglio del '77, sono sempre vissuto in provincia, in Val Trompia. Madre insegnante, padre sindacalista, "alle spalle un'infanzia igienicamente perfetta", ho lasciato incompiuta senza rimpianti l'università degli studi di Venezia, Lettere indirizzo archeologico, per inattesa paternità all'età di 24 anni. Scrivo da che ne ho sedici, sfogo di un'incredibile timidezza adolescenziale perduta qualche anno dopo con un po' d'innocenza.
Nel 2008 ho pubblicato con Lupo Editore un romanzo dal titolo Di Pondredì; da questo romanzo ho tratto un testo teatrale rappresentato e musicato con pezzi originali nel teatro locale da una compagnia teatrale di cui faccio parte e per cui tanto mi adopero ultimamente.
Equilibrista per passione, taglio per il giardino quando sono di fretta e devo raggiungere la fermata del tram senza avere il tempo di girare, come si dice? L'isolato. L'isolotto per me che sono un pesce fuor d'acqua in questa asciutta citta' di lago. Taglio sopra i fili del bucato. E il Fantasma della Liberta', come aria calda senza odore, mi si e' impigliato all'orologio da taschino e mi ha fatto cadere, cadere nell'erba alta e l'ho schiacciata. Andare a lavorare? Di tanto in tanto eviterei certe scocciature, pero' ci andavo. Mia figlia ha sette mesi, la mia ragazza ventisette, anni come io ne ho trentatre che pero' non ho compiuto, come mio figlio nove. Perche' venirlo a dire? Cosi' sapete meglio e meglio mi avvicinerete per la strada se mai scopriste chi saro'. Se mai imparero' a parlare...
Vi invito a quella festa. Lancia in resta e muso duro non sono valsi a molto: il Fantasma della Liberta' mi ha tirato giu' lo stesso, e ho creduto di non essere piu' in grado di stare fermo sopra un filo! Poi mi ha spiegato tutto, da un barattolo di vetro o da una scatola di latta e che ne so! Parlava come una calcolatrice e invece diceva cose ch'erano musica. Mi ha detto che un fascista buono e' quello morto. Ma ha sbagliato decennio. Mi ha detto che il sesso e' una tra le vie per ogni dio maschio o femmina che sia. Ma ha sbagliato ancora. Mi ha detto: e' quasi sempre ora e poi e' gia' passata. E forse ha indovinato giorno. E quando ha smesso di piovere forte ha voluto ripartire, ma noi l'abbiam seguito, io alla testa della carovana agganciato saldamente al mio orologio da taschino, e non sono piu' restato fermo sopra un filo.
Dietro il primo angolo di strada, dio che miseria che ho veduto! E ci vivevo a un passo! Ma non si vede mai al di la' del proprio naso. Si fa presto a giudicare, vero?
E non si vive mai al di la' del proprio peso. Vorrebbe dire sapere come si vola e a noi piacciono piu' le canzoni che ne parlano (impavidi!), per la strizza che ci prende di muovere i piedi senza muoversi d'un piede. Il cantico dei morti di fame proprio li' a due passi; ed io che mi credevo di stare in un Paese! Abitavo nel solito Stato di Cose. Si prendono il nome e credono di essere sostanza: governo ladro pure quando fa sereno. Ma il Fantasma della Liberta' me l'ha subito messo in luce il dietro l'angolo e ci abbiamo tutti quanti fatto un giro. Mio figlio non era preoccupato, ha trovato subito un amico, dopo averlo un minimo sfamato per giocare, ma quello non sapeva come si facesse e mio figlio gli ha spiegato il gioco di nascondersi ma non l'abbiamo piu' trovato. La piccola Annamaria ha gli occhi blu, un classico, spero siano quelli definitivi, mi sembra di guardare il mare a fissarla un istante, un cliche'. La mia ragazza e' un fiore di loto, splendido e impacciato e non sa nuotare, e' quasi irraggiungibile nei suoi corsi d'acqua dolce, nelle anse che disegna. Occorre perdere il senno, dimenticare i senno', e farsi trasportare, evitando di essere ordinati. Ha gli occhi verdi ed io le ho scritto la mia canzone piu' bella. E lei e' la ragazza piu' bella. Camminammo alcuni giorni nel quartiere dei disperati. Gli uomini morivano lungo le strade, aggrappati ad un ricordo, al palo di una luce, ad un raggio di luna ch'era poi l'insegna della Missione: impossibile. Gli animali se li portavano via coi denti, li dividevano tra rivali e figli, smembrando e digrignando con grevi note baritonali. Concerto, la morte suonava e la vita stava a darle il la se si perdeva un istante. Avevo lo stomaco come uno zerbino di negozio ai saldi e non ha retto la ressa furiosa di immagini odori e suoni della Fine, che come donne indiavolate ne vogliono un pezzo a tutti i costi. Ho vomitato sulla terra scura di catrame, mio figlio mi ha retto e consolato e poi ha sorriso rendendomi tutta la salute. E' la persona migliore che io conosca.
E tu lettore sei quella meno bella. D'accordo, come faccio a dirlo?! E come fanno i bambini a morire di fame senza che nessuno di noi pianga acqua e sale tutti i giorni per Rigenerare? Basta anche bagnare una pagina per ritornare bellissimi come una volta. Fai pure lettore, senza fretta, mettiti solo e lascia uscire. Il seguito puo' aspettare e non e' di nessuna importanza. E le persone bellissime fanno un posto dove i bambini non moriranno di fame mai.
Acume, nostalgia e curiosita', per fare un buon giocatore di golf e per scrivere un buon libro. Vorrei tornare ai miei tre anni e arrivare agli undici e poi tornare ai miei tre anni e arrivare agli undici, ma non allora, non il corpo e la mente, semplicemente ricordare l'anima com'e', e avere il coraggio adesso di essere cosi' puri e liberi. Desolation Road, ma il Fantasma della Liberta' non si e' trovato neppure in quel quartiere e dopo essersi disfatto del mio orologio da taschino ha proseguito oltre e noi sulle sue tracce di nebbia e disordine apparente, di vento sulle foglie e di sole sui tetti roventi delle automobili, non l'abbiamo perduto un solo giorno di cammino. Infine ha sfatto armi e bagagli in un posto chiamato Sensazione. Forse qui, pensava, ci trovo proprio quel che di me fu. In questa perpetua presenza, in questa strettoia spazio-temporale dove ci sta poco piu' che un brivido alla volta. In fila indiana allora, ma che ho veduto che non riesco a ricordare nulla? Posa la carrozzella e costruisci una tenda, un letto di foglie e vestiti, un tetto di rami e foglie. Avevamo tutti gli occhi grandi nel Paese di Sensazione, la pelle sempre sveglia, le unghie affilate e il respiro sottile. Ci passano tutti, chi piu' chi meno al giorno, e nessuno che si ferma come abbiamo fatto noi. Vedemmo le ombre della gente correre come Spettri della Gioia dentro la strettoia e scomparire; i piu' sono bambini con la pelle d'oca e i capelli lucenti: ridono, tremano di paura o di freddo, piangono per lo sconforto, si arrabbiano, ridono. Le sensazioni della nostra vita. Quante sono? Milioni? La nostra vita e' una sensazione, la nostra minuscola utopia di completezza non credo che lo sia. Chi vuole ogni cosa al posto assegnato, chi vuole un'anima tutta pulita, chi la cucina mai vuota, chi la finestra sul cortile e un bambino e un cane a ruzzoloni e pantaloni sporchi d'erba e chi invece erba soltanto. Ma le sensazioni? E dove le lasciamo?! Come la', nel Paese di Sensazione, c'era pieno di uomini e donne di tutte le eta', ma chi vi si fermava piu' di un istante, piu' di un minuto, erano soprattutto animali, predatori e prede in lunghi assedi, fughe e sconfitte, soldati e meditatori, santi e assassini con le loro vittime terrorizzate. E chi faceva buon sesso di tanto in tanto. Ma per il Fantasma della Liberta' quello era un unghia di quel che cercava e non si sarebbe certo mai accontentato ne' arreso. Passammo un mese comunque, vivemmo intensamente, dormimmo intensamente, bevemmo intensamente te' e sudammo intensamente al sole; parlammo intensamente e respirammo intensamente. Intensamente provammo paura e gioia e facemmo l'amore intensamente io e la mia intensa ragazza sensazionale. I figli giocarono e crebbero intensamente, e sognai cosi' intensamente che per qualche ora alleviai la solitudine del Fantasma della Liberta'.
Ma al mio risveglio era tutto un'altra cosa.
Che grigio scuro quella mattina! Che nuvole compatte, che aria fredda. Che stagione stiamo sorvolando? Pensai. Ma piu' che sorvolando c'eravamo proprio dentro. L'autunno delle Esistenze lo chiameremo noi quattro una volta passato, ma nell'entrarvi non avevamo nome, avevamo freddo e acqua nelle ossa. Annamaria cosi' perfettamente indifesa apriva le braccia pallide, imbacuccata di lana e cotone sorrideva e aveva voglia di partire. Ebbene, dove andiamo? Il Fantasma della Liberta' ci ha lasciati ed io non so piu' che piede prendere per primo. Domandiamo a un pellicano! Ma quello sembrava nemmeno notasse la nostra presenza e battendo ali e coda si sollevava per posarsi su rami migliori e piu' alti. Ricurvi come vecchi per non inumidirci le schiene nelle radenti nubi, cominciammo un sentiero largo come un prato, costeggiato da lunghi filari verde scuro, di alberi e cespugli. Un cervo, d'incanto in canto, bucava il fondotinta grigio del nostro orizzonte e severo ci osservava progredire e apprendere la strada. Una leggera pioggerella poi scese silenziosa e continuo' per giorni e notti inducendoci ad inventare nuovi ripari deambulanti e a sferzare il nostro animo perche' imparasse a tenere su il morale e a ridere nelle avversita'. Fummo forti. Lo divenimmo in fretta e senza furia. Sbancammo la sfortuna su quella tavolata verde e fango e rinvigoriti nei muscoli e nella tempra smettemmo d'aver paura. L'autunno divento' da inospitale, romantico ed evanescente, ma dietro a noi l'immenso nero si mangiava tutto il trascorso. Come ne La Storia Infinita! Disse la mia Compagna di Viaggio, e tutti alzammo occhi al cielo ad intuire tra gli aghi d'acqua un drago bianco che abbaiava.
La luna e' una cupola chiara, un cuore di tufo, una palla da golf fatta a mano.
La terra una stanca nenia di mare, una grossa verita', un occhio acquoso e saggio.
L'autunno le scolora. Coraggio coraggio miei prodi! L'inverno e' vicino e la neve dara' tutta la luce ed il fuoco tutta la forza. Avanti famiglia! Le esistenze cadono dai rami ma la nostra capanna oramai e' a un tiro di biglia.
E proprio quando cademmo nel fango, con le gambe sepolte, i polmoni schiacciati (con le braccia mio figlio teneva sollevata la piccola fradicia) con i denti sporchi di terra e sorrisi non ne avevamo piu' da alcune ore (pensavo a che brutta serata avrei passato!) una mandria di cervi ci avvicino', in testa proprio lui che ci osservava, piegarono le gambe a farci montare e ci portarono via dall'Autunno delle Esistenze: ora saremmo stati pronti al nostro futuro di esseri umani.
Nella capanna il Fantasma della Liberta' congedo' cervi e nuvole e ci diede un ridente benvenuto in casa nostra e un inconfondibile buon odore ne usci', riscaldandoci stomaci e cervelli. Fagioli in tegame e pane tostato, ne mangiammo fino a scoppiare.
I crucci erano quelli di sempre: fare legna, inverdire il presepe vivente di noi, conservare la carne, scuoiare gli animali, farne pellicce e coperte, spalare la neve, chiedersi a quando, dormire quanto basta. V'era una luce all'alba che non si scordera', dei colori del mare, delle onde, del vento che solleva la spuma, degli scogli battuti. Durava per una mezz'ora alle volte un'ora, veniva da lontano e noi ci si chiedeva a quando. Lasciamo che cresca la piccola, lasciamo che parli e cammina, dicevamo. E fu. Mi era cresciuta una barba folta e i figli ci giocavano stando accoccolati al fuoco quando fuori bufere o lupi d'intorno andavano e venivano famelici e infreddoliti come povere streghe scomunicate. Uno di essi, intravidi una notte, aveva al collo il mio orologio da taschino. Rendimelo!!! Gli intimai. Sulla soglia di casa col vento alla mia sinistra e un lungo robusto bastone. Il lupo si fermo' senza ringhiare. Col bastone provai a sfilarglielo ma quello capi' e corse via come un fiocco nero tirato altrove dal vento. Erano le undici di sera, non vedevo l'ora dell'uomo civile da chissa' quanto tempo.
E allora rincasai. Che odore di zuppa fatta a cena! Ce ne andiamo!!! Vorrei andare in citta', disse mio figlio, dicono sia divertente. La donna sorrideva dolce dolce, un segno che io e pochi altri vi avrebbero riconosciuto, soltanto sfuocava la sua serenita'. Forse era solo che sapeva guardare meglio ma reagiva peggio. Ci addormentammo beati e i bambini fecero gli stessi sogni di altre volte, forse rimasti impigliati all'orlo delle lenzuola.
Da dove vengono i sogni. Si chiedeva un girovago solitario del Mar Morto. Ehi, certe volte visito luoghi impensabili, mai nemmeno immaginati. Com'e' che posso vederli in sogno senza averli mai veduti desto? Ma forse vivo solamente due sonni, l'uno il sogno dell'altro reciprocamente. Girovago solitario e meditabondo, con un Fantasma della Liberta' piccolo piccolo nel taschino della giacca.
Alessandro Pedretti
Nato a Brescia il 26 luglio del '77, sono sempre vissuto in provincia, in Val Trompia. Madre insegnante, padre sindacalista, "alle spalle un'infanzia igienicamente perfetta", ho lasciato incompiuta senza rimpianti l'università degli studi di Venezia, Lettere indirizzo archeologico, per inattesa paternità all'età di 24 anni. Scrivo da che ne ho sedici, sfogo di un'incredibile timidezza adolescenziale perduta qualche anno dopo con un po' d'innocenza.
Nel 2008 ho pubblicato con Lupo Editore un romanzo dal titolo Di Pondredì; da questo romanzo ho tratto un testo teatrale rappresentato e musicato con pezzi originali nel teatro locale da una compagnia teatrale di cui faccio parte e per cui tanto mi adopero ultimamente.
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