ATTUALITA'
Alfredo Ronci
Gli antenati: Wilma, dammi la clava!
Vecchio,
Diranno che sei vecchio,
Con tutta quella forza che c'è in te,
Vecchio
Quando non è finita, hai ancora tanta vita,
E l'anima la grida e tu lo sai che c'è.
Renato Zero
Recentemente si assiste ad una curiosa riscossa della terza età: sulla bocca di tutti ormai le imprese 'sessuali' di arzilli vecchietti in odor di san(t)ità. Che non hanno nulla a che vedere con le alberoniane differenze tra innamoramento o amore. Macché, nei casi specifici o si stupra o si fa il guardone di fronte ad affascinanti infermiere con il coté politique.
Peccato però che si sorvoli sulle potenzialità di questa umana 'categoria': noi personalmente vedremmo con piacere storie ed accadimenti sulla sacrosanta pruriginosità del nonno (o della nonna) non disgiunta però da una tenzone sentimentale, fuori però dai dettami di una spettacolarizzazione senile della passione e del 'rimorchio' (vedi Maria De Filippi e i suoi 'veci' insopportabili).
Insomma chi ha il coraggio di scrivere di sane scopate tra i nostri anziani?
In passato ci siamo confrontati con scrittori con evidenti problemi di comparazione: Siti, per quanto ancor relativamente giovine, e la sbobba del culturista a cui si contrappone la propria 'svasatura' addominale e un altro professore, Romano Luperini che, proprio ne L'età estrema, paventava ormai il depauperamento se non il coma dello sventra papere, come direbbe Benigni.
Non c'è dunque da star allegri: o si piange uno stato pietoso generale, nonostante l'industria farmaceutica offra parziali riscosse, o si devia per altri lidi, meno sessualmente stimolanti, ma assai più preziosi ed utili da un punto di vista sociologico.
Mi vengono in aiuto due pubblicazioni (per la precisione, due romanzi): la prima riguarda il nuovo libro di quello che non esito a definire uno dei più grandi scrittori svizzeri del nostro tempo (qualcuno obietterà: e dai, ma quanti ce ne vorranno essere, son quattro gatti... anzi quattro cantoni): Markus Werner. Casagrande da alle stampe Enrico l'egiziano.
Storia curiosa ed aggraziata, dove protagonista è tale Heinrich Bluntschili, bisnonno dell'autore e sorta di Zelig ante litteram: spesso ubiquo e poi, vox populi vox dei, addirittura uno dei responsabili della costruzione del canale di Suez.
Scrive a metà libro Werner: Forse la leggenda della partecipazione determinante di Heinrich alla costruzione del canale di Suez si deve a una sorta di inversione prospettica. E' certo, infatti, che fu il canale di Suez ad avere un ruolo determinante per la carriera egiziana di Heinrich.
Cioè a dire: ben presto le notizie e le informazioni relative al bisnonno 'celebre' sono talmente imperfette, lacunose e contraddittorie che la verità può rivelarsi improvvisamente opposta alla tentazione di attribuire l'eternità all'avo.
Col suo solito stile che noi orchi, in precedenza, avevamo definito con la stessa potenzialità di una foglia di ortica, che ti sfiora appena, ma lascia subito dopo un prurito insopportabile, Werner fa i conti col proprio passato: ne esce fuori un ritratto del bisnonno, d'humour nerissimo, lontano da qualsiasi tentativo di glorificazione o pacchiana memoria.
Operazione che crediamo vada fatta anche nel caso in cui l'avo avesse ben donde d'aver giustizia e fama imperitura.
Ahimé non sempre è così, prendi la seconda proposta: Se la fortuna è nostra di Aurelio Picca.
Confessiamo che dell'autore velletrano avevamo perso un po' i contatti, nonostante abbia ricevuto, in un passato anche abbastanza recente, accoglienze positive e stime. Ma il suo ultimo libro ci è quasi insopportabile, distinguendo stile e sostanza.
Sul primo nulla da eccepire, Picca è scrittore raffinato e per certi versi austero, lontano dai miasmi contemporanei di una narrativa vissuta con uno slancio falsamente bersagliero (mio nonno, a proposito di avi, era bersagliere, ma non confondeva mai l'energia col suo inutile spreco!): si legge piacevolmente e si coglie qua e là un'eleganza che la si vuole superata solo perché la frenesia globalizzante aborre la lentezza 'kunderiana' (insopportabile misfatto di editor ed editori).
Stile dunque sì, sostanza direi velenosa: cosa vuoi c'interessi del suo bisnonno (un altro ancora!) e delle sue scelleratezze, perché di questo si tratta? Ci troviamo di fronte ad un'esaltazione dei 'crimini' (come quando l'avo riceve un ragazzo che chiede la mano della figlia e lui risponde di prendersela pure ma per corrispettivo pretende la dote fisica della madre, di eventuali sorelle e parentele indirette!) che passano sotto il silenzio di una vigilata educazione 'cattolica'. Basta citare qualche capitolo: 'Qui c'è una luce che riempie l'universo', oppure ' Trono e Sepolcro' oppure 'Gli organi dei santi e il sangue sparso della Madonna Vergine' per intuire una sublimazione della memoria che fa a cazzotti con una rivisitazione obbligatoria e politica del passato. Così davvero si rischia di fare più sociologia che letteratura.
Non vi è in questo museo dell'orrore (orrore dei misfatti, capiamoci, non della narrazione in sé) un pizzico d'ironia che possa quanto meno liberarci da un senso claustrofobico del tempo che fu. No, vi è solo una sorta di altare della funzione del ricordo che a lungo andare stanca e persino disturba.
Forse sbaglio: non mi piace la letteratura del souvenir (che è diversa da quella della memoria) e l'Italia, in questi ultimi periodi, ne è piena e anche con audaci tentativi di 'condizionarla' con un linguaggio speculare (vedi Michela Murgia e il suo Accabadora).
No: mi piacciono e preferisco i libri che indagano. Werner non solo ha indagato, ma ha fatto bene i conti e ha preferito il risvolto ironico rispetto a quello tragico. E forse il suo è, ancor meglio, un risultato perfettamente tragicomico.
Markus Werner – Enrico l'egiziano – Casagrande
Aurelio Picca – Se la fortuna è nostra - Rizzoli
Diranno che sei vecchio,
Con tutta quella forza che c'è in te,
Vecchio
Quando non è finita, hai ancora tanta vita,
E l'anima la grida e tu lo sai che c'è.
Renato Zero
Recentemente si assiste ad una curiosa riscossa della terza età: sulla bocca di tutti ormai le imprese 'sessuali' di arzilli vecchietti in odor di san(t)ità. Che non hanno nulla a che vedere con le alberoniane differenze tra innamoramento o amore. Macché, nei casi specifici o si stupra o si fa il guardone di fronte ad affascinanti infermiere con il coté politique.
Peccato però che si sorvoli sulle potenzialità di questa umana 'categoria': noi personalmente vedremmo con piacere storie ed accadimenti sulla sacrosanta pruriginosità del nonno (o della nonna) non disgiunta però da una tenzone sentimentale, fuori però dai dettami di una spettacolarizzazione senile della passione e del 'rimorchio' (vedi Maria De Filippi e i suoi 'veci' insopportabili).
Insomma chi ha il coraggio di scrivere di sane scopate tra i nostri anziani?
In passato ci siamo confrontati con scrittori con evidenti problemi di comparazione: Siti, per quanto ancor relativamente giovine, e la sbobba del culturista a cui si contrappone la propria 'svasatura' addominale e un altro professore, Romano Luperini che, proprio ne L'età estrema, paventava ormai il depauperamento se non il coma dello sventra papere, come direbbe Benigni.
Non c'è dunque da star allegri: o si piange uno stato pietoso generale, nonostante l'industria farmaceutica offra parziali riscosse, o si devia per altri lidi, meno sessualmente stimolanti, ma assai più preziosi ed utili da un punto di vista sociologico.
Mi vengono in aiuto due pubblicazioni (per la precisione, due romanzi): la prima riguarda il nuovo libro di quello che non esito a definire uno dei più grandi scrittori svizzeri del nostro tempo (qualcuno obietterà: e dai, ma quanti ce ne vorranno essere, son quattro gatti... anzi quattro cantoni): Markus Werner. Casagrande da alle stampe Enrico l'egiziano.
Storia curiosa ed aggraziata, dove protagonista è tale Heinrich Bluntschili, bisnonno dell'autore e sorta di Zelig ante litteram: spesso ubiquo e poi, vox populi vox dei, addirittura uno dei responsabili della costruzione del canale di Suez.
Scrive a metà libro Werner: Forse la leggenda della partecipazione determinante di Heinrich alla costruzione del canale di Suez si deve a una sorta di inversione prospettica. E' certo, infatti, che fu il canale di Suez ad avere un ruolo determinante per la carriera egiziana di Heinrich.
Cioè a dire: ben presto le notizie e le informazioni relative al bisnonno 'celebre' sono talmente imperfette, lacunose e contraddittorie che la verità può rivelarsi improvvisamente opposta alla tentazione di attribuire l'eternità all'avo.
Col suo solito stile che noi orchi, in precedenza, avevamo definito con la stessa potenzialità di una foglia di ortica, che ti sfiora appena, ma lascia subito dopo un prurito insopportabile, Werner fa i conti col proprio passato: ne esce fuori un ritratto del bisnonno, d'humour nerissimo, lontano da qualsiasi tentativo di glorificazione o pacchiana memoria.
Operazione che crediamo vada fatta anche nel caso in cui l'avo avesse ben donde d'aver giustizia e fama imperitura.
Ahimé non sempre è così, prendi la seconda proposta: Se la fortuna è nostra di Aurelio Picca.
Confessiamo che dell'autore velletrano avevamo perso un po' i contatti, nonostante abbia ricevuto, in un passato anche abbastanza recente, accoglienze positive e stime. Ma il suo ultimo libro ci è quasi insopportabile, distinguendo stile e sostanza.
Sul primo nulla da eccepire, Picca è scrittore raffinato e per certi versi austero, lontano dai miasmi contemporanei di una narrativa vissuta con uno slancio falsamente bersagliero (mio nonno, a proposito di avi, era bersagliere, ma non confondeva mai l'energia col suo inutile spreco!): si legge piacevolmente e si coglie qua e là un'eleganza che la si vuole superata solo perché la frenesia globalizzante aborre la lentezza 'kunderiana' (insopportabile misfatto di editor ed editori).
Stile dunque sì, sostanza direi velenosa: cosa vuoi c'interessi del suo bisnonno (un altro ancora!) e delle sue scelleratezze, perché di questo si tratta? Ci troviamo di fronte ad un'esaltazione dei 'crimini' (come quando l'avo riceve un ragazzo che chiede la mano della figlia e lui risponde di prendersela pure ma per corrispettivo pretende la dote fisica della madre, di eventuali sorelle e parentele indirette!) che passano sotto il silenzio di una vigilata educazione 'cattolica'. Basta citare qualche capitolo: 'Qui c'è una luce che riempie l'universo', oppure ' Trono e Sepolcro' oppure 'Gli organi dei santi e il sangue sparso della Madonna Vergine' per intuire una sublimazione della memoria che fa a cazzotti con una rivisitazione obbligatoria e politica del passato. Così davvero si rischia di fare più sociologia che letteratura.
Non vi è in questo museo dell'orrore (orrore dei misfatti, capiamoci, non della narrazione in sé) un pizzico d'ironia che possa quanto meno liberarci da un senso claustrofobico del tempo che fu. No, vi è solo una sorta di altare della funzione del ricordo che a lungo andare stanca e persino disturba.
Forse sbaglio: non mi piace la letteratura del souvenir (che è diversa da quella della memoria) e l'Italia, in questi ultimi periodi, ne è piena e anche con audaci tentativi di 'condizionarla' con un linguaggio speculare (vedi Michela Murgia e il suo Accabadora).
No: mi piacciono e preferisco i libri che indagano. Werner non solo ha indagato, ma ha fatto bene i conti e ha preferito il risvolto ironico rispetto a quello tragico. E forse il suo è, ancor meglio, un risultato perfettamente tragicomico.
Markus Werner – Enrico l'egiziano – Casagrande
Aurelio Picca – Se la fortuna è nostra - Rizzoli
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