ATTUALITA'
Adriano Angelini Sut
Houellebecq e la Francia sotto l'Islam 'moderato'
Vorrei subito mettere in chiaro una cosa: Sottomissione, il nuovo romanzo di Michel Houellebecq uscito anche in Italia in questi giorni per Bompiani, è uno dei testi più belli degli ultimi anni. Probabilmente di questo scorcio di secolo. Che l’autore francese fosse uno dei maggiori scrittori europei era già chiaro da Le particelle elementari. Parlo da un punto di vista della scrittura. Una summa di virtuosismo e lirismo come davvero pochi (Forse Cunningham, Roth ed Ellroy sono fra i pochi riusciti a trovare e a imporre, come Houellebecq, un loro stile subito riconoscibile e difficilmente emulabile). Sottomissione ha in più il pregio di essere un libro sinistramente profetico. Alla luce degli accadimenti francesi del 7 gennaio, con il massacro jihadista alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo e al supermercato Kasher, è evidente che due sono le cose: o l’autore ha avuto una sorta di intuizione magica, quelle che capitano poche volte nella vita di un artista; oppure ha avuto accesso (come del resto Francois, il personaggio del suo romanzo) a dati riservati da parte di fonti di qualche tipo.
C’è una guerra in atto in Europa, forse nel mondo, lo vediamo tutti i giorni sulla nostra pelle. Non è una guerra fra fazioni ben riconoscibili e distinte che si fronteggiano su due territori ugualmente individuabili. La guerra è fra porzioni di una stessa parte, che occupano lo stesso spazio e coabitano (in maniera impossibile e forzosa) un lieu che non hanno scelto. In Francia questa guerra strisciante è fra identitari, coloro che vorrebbero tornare alla grandeur nazionalista e si riconoscono in Le Pen, e tutti gli altri. Va avanti da decenni ormai. Da quando Parigi è diventata più una capitale Eurabica che europea. E, a quanto pare, questa guerra è arrivata alla resa dei conti. Houellebecq la immagina nel 2022. Le presidenziali francesi non lasciano dubbi: vincerà Marine Le Pen che ha la maggioranza schiacciante fra gli elettori. Per evitare quella che l’altra fazione considera una catastrofe, la sinistra decide di sacrificare la laicità del paese che aveva contribuito a ottenere con secoli di lotte ad appannaggio dell’altro incubo che scuote il vivere civile; l’Islam. Con una manovra degna dei peggiori dorotei democristiani, Houellebecq inventa un patto scellerato fra i socialisti e i moderati di centro da un lato e Ben Abbas dall'altro, il leader della Fratellanza Musulmana che nel frattempo in Francia avrebbe raggiunto più del 20% dei consensi. Marine Le Pen viene sconfitta, Ben Abbas diventa il nuovo presidente islamico della repubblica di Francia.
Il romanzo, con la sua lingua ricchissima di schizofreniche trovate e la sua fluidità magmatica, gioca a mettere in parallelo la vita del protagonista (una sorta di Woody Allen francese; professore universitario alla Sorbona e donnaiolo bruttino e sfigato) con gli avvenimenti che scuotono la nazione transalpina. Esperto di Huysman, reazionario e misantropo, Francois verrà lasciato dall’unica donna che lo amava, la giovane Myriam, ebrea costretta a rifugiarsi in Israele per via dell’ascesa dei musulmani. La sua vita tipica di uomo occidentale, alla ricerca di un senso al vuoto che il consumismo e il sesso non riescono a colmare, arriva al punto di non ritorno esattamente quando la Francia è sull’orlo del grande cambiamento. Consigliato da un suo amico dei servizi segreti, lascia Parigi proprio in prossimità dei giorni delle elezioni, caratterizzati da disordini che fanno da sfondo alla narrazione e volontariamente ignorati dai media. Si rifugia simbolicamente a Martel, uno dei luoghi in cui Carlo Martello, nell’840 dopo Cristo sconfisse non senza difficoltà l’avanzata dei musulmani. Rende poi omaggio alle Vergine nera di Rocamadour, in quelle che a mio avviso costituiscono le pagine più intense della vicenda.
Ma al ritorno a Parigi, nella nuova capitale del presidente Ben Abbas, nulla è più come prima.
Houellebecq è stato abile a descrivere il pericolo islamico (parlo appositamente di pericolo e me ne assumo la responsabilità, nonostante il libro non sia affatto anti-islamico) non già nel suo aspetto più truce, quello legato ai terroristi sgozzagole disseminati fra il Medio Oriente e le capitali occidentali. L’Islam di Houellebecq sottomette la Francia grazie alla sua forza di persuasione lenta, di infiltrazione silenziosa, una geisha che ti spoglia di ogni avere con l’apparente dolcezza della seduzione. Non ci sono terroristi incappucciati, non si sparano missili, non si sgozzano gli infedeli in questo romanzo. La sinistra regala la Francia agli islamici su un piatto d’argento. Le donne della gauche colta, radical-chic e pretestuosamente no global si spogliano della loro femminilità, delle lotte sessantottine per il possesso della vagina e indossano volontariamente il burqa della sconfitta.
E’ tuttavia il finale che lascia di stucco. Non si può non rivelarlo. Licenziato dalla Sorbona (acquistata dai sauditi) perché ateo e apparentemente irriducibile, e ricompensato con una pensione di più di tremila euro al mese, Francois si ritroverà a vagare in un non senso ancora più profondo, alla ricerca di una spiritualità che colmi un vuoto che a quel punto nessuna orgia con le escort mediorientali più porche (una costante nel romanzo) sarà in grado di fare. Forse la molla gli scatta quando parla con Steve, uno dei suoi colleghi docenti di letteratura francese, da lui considerato un inetto; esperto di Rimbaud. Rimbaud? Permettono di insegnare Rimbaud. La risposta del collega è illuminante. Certo, dando per scontata la sua conversione all’Islam dopo la sua fuga in Africa (una trovata geniale). E così anche Francois, per non suicidarsi definitivamente, si converte e inizia a lavorare.
Sottomissione è uno di quei libri che lascia il segno. Che, se fossi stato un cittadino francese, mi avrebbe spinto di corsa a votare per Marine Le Pen, e se fossi stato un ebreo a scappare in Israele. Davvero la Terra Promessa.
C’è una guerra in atto in Europa, forse nel mondo, lo vediamo tutti i giorni sulla nostra pelle. Non è una guerra fra fazioni ben riconoscibili e distinte che si fronteggiano su due territori ugualmente individuabili. La guerra è fra porzioni di una stessa parte, che occupano lo stesso spazio e coabitano (in maniera impossibile e forzosa) un lieu che non hanno scelto. In Francia questa guerra strisciante è fra identitari, coloro che vorrebbero tornare alla grandeur nazionalista e si riconoscono in Le Pen, e tutti gli altri. Va avanti da decenni ormai. Da quando Parigi è diventata più una capitale Eurabica che europea. E, a quanto pare, questa guerra è arrivata alla resa dei conti. Houellebecq la immagina nel 2022. Le presidenziali francesi non lasciano dubbi: vincerà Marine Le Pen che ha la maggioranza schiacciante fra gli elettori. Per evitare quella che l’altra fazione considera una catastrofe, la sinistra decide di sacrificare la laicità del paese che aveva contribuito a ottenere con secoli di lotte ad appannaggio dell’altro incubo che scuote il vivere civile; l’Islam. Con una manovra degna dei peggiori dorotei democristiani, Houellebecq inventa un patto scellerato fra i socialisti e i moderati di centro da un lato e Ben Abbas dall'altro, il leader della Fratellanza Musulmana che nel frattempo in Francia avrebbe raggiunto più del 20% dei consensi. Marine Le Pen viene sconfitta, Ben Abbas diventa il nuovo presidente islamico della repubblica di Francia.
Il romanzo, con la sua lingua ricchissima di schizofreniche trovate e la sua fluidità magmatica, gioca a mettere in parallelo la vita del protagonista (una sorta di Woody Allen francese; professore universitario alla Sorbona e donnaiolo bruttino e sfigato) con gli avvenimenti che scuotono la nazione transalpina. Esperto di Huysman, reazionario e misantropo, Francois verrà lasciato dall’unica donna che lo amava, la giovane Myriam, ebrea costretta a rifugiarsi in Israele per via dell’ascesa dei musulmani. La sua vita tipica di uomo occidentale, alla ricerca di un senso al vuoto che il consumismo e il sesso non riescono a colmare, arriva al punto di non ritorno esattamente quando la Francia è sull’orlo del grande cambiamento. Consigliato da un suo amico dei servizi segreti, lascia Parigi proprio in prossimità dei giorni delle elezioni, caratterizzati da disordini che fanno da sfondo alla narrazione e volontariamente ignorati dai media. Si rifugia simbolicamente a Martel, uno dei luoghi in cui Carlo Martello, nell’840 dopo Cristo sconfisse non senza difficoltà l’avanzata dei musulmani. Rende poi omaggio alle Vergine nera di Rocamadour, in quelle che a mio avviso costituiscono le pagine più intense della vicenda.
Ma al ritorno a Parigi, nella nuova capitale del presidente Ben Abbas, nulla è più come prima.
Houellebecq è stato abile a descrivere il pericolo islamico (parlo appositamente di pericolo e me ne assumo la responsabilità, nonostante il libro non sia affatto anti-islamico) non già nel suo aspetto più truce, quello legato ai terroristi sgozzagole disseminati fra il Medio Oriente e le capitali occidentali. L’Islam di Houellebecq sottomette la Francia grazie alla sua forza di persuasione lenta, di infiltrazione silenziosa, una geisha che ti spoglia di ogni avere con l’apparente dolcezza della seduzione. Non ci sono terroristi incappucciati, non si sparano missili, non si sgozzano gli infedeli in questo romanzo. La sinistra regala la Francia agli islamici su un piatto d’argento. Le donne della gauche colta, radical-chic e pretestuosamente no global si spogliano della loro femminilità, delle lotte sessantottine per il possesso della vagina e indossano volontariamente il burqa della sconfitta.
E’ tuttavia il finale che lascia di stucco. Non si può non rivelarlo. Licenziato dalla Sorbona (acquistata dai sauditi) perché ateo e apparentemente irriducibile, e ricompensato con una pensione di più di tremila euro al mese, Francois si ritroverà a vagare in un non senso ancora più profondo, alla ricerca di una spiritualità che colmi un vuoto che a quel punto nessuna orgia con le escort mediorientali più porche (una costante nel romanzo) sarà in grado di fare. Forse la molla gli scatta quando parla con Steve, uno dei suoi colleghi docenti di letteratura francese, da lui considerato un inetto; esperto di Rimbaud. Rimbaud? Permettono di insegnare Rimbaud. La risposta del collega è illuminante. Certo, dando per scontata la sua conversione all’Islam dopo la sua fuga in Africa (una trovata geniale). E così anche Francois, per non suicidarsi definitivamente, si converte e inizia a lavorare.
Sottomissione è uno di quei libri che lascia il segno. Che, se fossi stato un cittadino francese, mi avrebbe spinto di corsa a votare per Marine Le Pen, e se fossi stato un ebreo a scappare in Israele. Davvero la Terra Promessa.
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