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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Frank Iodice, scrittore sfortunato

Il bambino sputa latte.

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Nell'aprile del 1938 nacque un bambino che non riuscirono mai a battezzare perché ogni volta che sua madre lo portava in chiesa per la cerimonia, lui iniziava a sputare latte e il parroco del paese non tollerava che gli si sporcasse il pavimento della sacrestia.

Nel frattempo la città nella quale nacque il bambino sputalatte stava passando alla storia perché durante la guerra fu rasa al suolo. I morti furono centinaia di migliaia. La chiesa fu distrutta, anche sua madre fu ammazzata. Soltanto lui uscì indenne dall'ultimo attacco nemico, il 18 marzo del 1945. Aveva appena sette anni, un paio di calzoni neri, bruciati, che gli arrivavano alle caviglie e una testa piena di carbone quando aguzzò le antenne e decise di volare da qualche parte per cercare di farsi battezzare.

"Per favore padre, ho bisogno di essere battezzato, sono le ultime volontà di quella povera donna di mia madre." "Va' via piccolo sputalatte. Nella sacra bibbia non ho mai letto di battesimi a trovatelli come te." Il parroco del paese più vicino aveva avuto notizie prima ancora che il bambino sputalatte gli apparisse davanti. Stentò a credere che fosse sopravvissuto alla guerra e che avesse imparato a camminare, parlare, pregare, addirittura sorridere come un adulto. Quel maledetto sputalatte senza nome aveva qualcosa di demoniaco, qualcosa che non andava proprio bene. Bisognava parlarne con la polizia e farlo rinchiudere da qualche parte.

Fu così che, a dicembre di quello stesso anno, a soli sette anni, il piccolo sputalatte fu portato nel manicomio del paese, sulla vallata lontana, quella che sua madre gli mostrava quando aveva pochi mesi per farlo addormentare. Era molto tempo che in quel paese non si vedeva un bambino così strano; l'ultimo era stato il figlio del fioraio, che mangiava ciclamini crudi e gridava strane filastrocche lungo il fiume. Quando il nostro bambino vide aprirsi la porta del manicomio, un mondo nuovo apparve davanti ai suoi occhi, si sentì finalmente a casa sua perché appena raccontò quello che gli era successo nessuno lo insultò.

Nel giardino del manicomio c'erano un sacco di donne che assomigliavano alla sua mamma, le aveva guardate per bene appena entrato, aveva scelto la più bella e si era avvicinato. La vecchia prescelta era rinchiusa nel parco da sette anni, più o meno da quando era nato lui. Lo guardò con degli occhi malsani, come se fosse l'incarnificazione degli anni di prigionia e cercò di mangiarlo vivo per riaverli indietro. Iniziò dalle gambe.

"Correte, presto!" urlò un uomo blu che passava la lingua piena di peli sull'erba accanto a loro, "stanno mangiando vivo il bambino appena arrivato."

Ma, dimenandosi con tutte le sue forze, il nostro bambino riuscì a liberarsi e a scappare dall'altra parte del giardino. Non rivide mai più la vecchia che assomigliava a sua madre, forse la portarono da qualche altra parte.

Dopo un tempo indefinito, che passò veloce come un giorno e lento come un anno, il nostro bambino si guardò per la prima volta in vita sua allo specchio. Era bello, alto, biondo, aveva gli occhi azzurri e la pelle vellutata, e stava sorridendo. Cercò di nuovo qualcuno per chiedergli come mai fosse stato rinchiuso nel manicomio visto che non aveva fatto altro che sputare un po' di latte nella sacrestia della parrocchia. Trovò un omino di legno che cantava le canzoni della guerra e mangiava la corteccia degli alberi. E gli chiese: "Tu sai perché mi hanno rinchiuso qui dentro?"

"No. E se lo sapessi, mio caro sputalatte, lo terrei per me."

Dopo un tempo ancora più indefinito, il nostro bambino si rese conto che c'era soltanto una persona alla quale avrebbe potuto chiederlo. Allora si mise le scarpe al contrario e si guardò di nuovo allo specchio per accertarsi di essere dritto, si avvicinò al cancello di entrata e urlò: "C'è qualcuno che ha mai visto un omino di legno parlare e camminare? Se qualcuno di voi lo ha visto, gli darò le chiavi del manicomio."

Tra i prigionieri, tutti vestiti uguali, si sparse un vociare che divenne un ronzio di api, il giardino era diventato un alveare, il nostro bambino aveva fatto risvegliare in loro la frustrante sensazione di essere liberi.

"lo so io, sputalatte!" Si fece avanti un'altra donna di trecentosedici anni, con i capelli biondi e sei denti nella bocca. Era incredibilmente bella, lo guardò come se fosse sua madre e volesse farsi perdonare per essere morta sotto i bombardamenti. "Se mi dai un bacio te lo dico."

Il nostro bambino, a sette anni, era già abbastanza intelligente da capire che per darle la chiave doveva prima averla, così le si avvicinò e le disse all'orecchio, in modo che nessuno lo sentisse: "Ascolta, bellissima straniera. Se io ti do un bacio, tu promettimi che dirai alla guardia che mi hai visto nella chiesa del mio paese mentre mi battezzavano. E digli anche che io piangevo. Ma non sputavo una sola goccia di latte. Se farai questo per me, io ti darò la chiave e sarai libera." La baciò e la vecchia ubbidì.

Quando si avvicinò alla guardia, un omino di trecentosedici chili e un sorriso sdentato proprio come lei, la vecchia con i capelli biondi sollevò una mano e tutti i prigionieri si misero a gridare: "Chi ha mai visto un omino di legno che parla e mangia la corteccia degli alberi? Chi ha mai visto un omino di legno che parla e mangia la corteccia degli alberi? Chi ha mai visto un omino di legno che parla e man..."

La guardia era terrorizzata perché, se un solo prigioniero faceva una pazzia, era normale. Ma se la facevano tutti, allora il pazzo doveva essere lui. Così iniziò a urlare: "Vi prego, non mi rinchiudete nella cella di isolamento. Io non sono pazzo, ve lo giuro. Farò tutto quello che volete!"

Allora il nostro bambino sputalatte gli disse: "Dammi la chiave del cancello, vado a comprare altra legna così mangerai ancora e ingrasserai per una buona ragione."

La guardia si mise a piangere e gli diede la chiave dicendo: "Vai, vai bambino e torna con tanta legna. Io ti aspetto qui, ci sono tutte queste persone normali che veglieranno su di me."

Il nostro bambino aprì il cancello fischiettando, si avviò lungo il viale che portava in centro. Da lontano si scorgevano le rovine del suo paese natale, una lacrima di latte venne fuori contro la sua volontà. Poi gettò la chiave del manicomio nel pozzo della piazza e si fece il bagno nell'acqua benedetta della chiesa. "Non si sa mai", si disse, "là fuori è pieno di matti..."











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