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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Francesca Bernard

Il cavatappi

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Estraggo i cubetti di ghiaccio dal frigorifero. Con eleganza li lascio scivolare nei drink. Aggiungo ancora due gocce di gin facendo attenzione che non colino oltre il bordo. Poso i bicchieri uno ad uno diligentemente sul vassoio. Lo sollevo con entrambe le mani ben salde e mi avvio verso la sala.

Dalla soglia della cucina scorgo le spalle di lei, leggermente curve, protese in avanti. Deve avere le mani appoggiate sulle ginocchia. La tipica postura di chi, a disagio, non sa come stare. Mi affretto a raggiungerla, ma mi blocco sull'uscio. Ho dimenticato gli stuzzichini. Torno in cucina. Dalla sala proviene una lunga risata di Roberto, fastidiosa. Avrà fatto una di quelle battute insulse che divertono solo lui. Lei sarà ancora più a disagio adesso. Avrà riso? Forse avrà sorriso. Senza volerlo sul suo volto si sarà disegnata un'ombra di compatimento. Roberto non l'avrà colta, ma Stefania certamente sì. Lei se ne sarà resa conto ed ora sarà ancora più goffa, più curva sulle sue ginocchia. Apro lo scaffale sopra i fornelli, ma gli stuzzichini non ci sono. Eppure ricordo con precisione di averli appoggiati lì. Ricontrollo incredulo, ma proprio non ci sono. Cerco nel frigo senza successo. Scopro nello scomparto dei biscotti della colazione alcuni salatini e pane da tartine ancora nelle loro confezioni. Riapro il frigo e ci scopro cipolline, acciughe, pomodorini, salsine, tonno. Ogni ingrediente è lì, intatto. Eppure ero sicuro di aver preparato tutto proprio stamattina. Una nuova risata mi investe in pieno. Stavolta mi sembra di sentire anche la voce di lei, ma non capisco cosa dice. Immediatamente altre parole si sovrappongono alle sue. Di cosa staranno chiacchierando? Quando sono arrivati, lei era estremamente in imbarazzo. Ha porto loro la mano con timidezza e Roberto l'ha stretta decisamente troppo forte. Devo fare in fretta. Ma odio le cose poco curate. Rompo la plastica della busta del pane da tartine ed estraggo le fette. Preparo sul pianale i vasetti presi dal frigorifero ed inizio a spalmare le salsine distribuendole equamente sui pezzi. Apro le scatolette del tonno e lascio che un po' d'olio scoli nel lavandino poi, con un cucchiaino, inizio a condire il pane. Sistemare acciughe e cipolline richiede concentrazione. Dispongo l'acciuga in modo da modellare una esse e nelle due curve formate dalla consonante poso le cipolline. Un lavoro perfetto.

Sono tutto preso dall'estetica delle tartine, quando un'esclamazione più forte delle altre attira la mia attenzione: "Giacomo! Che fine hai fatto? Sta finendo il vino!". È Roberto.

"Arrivo!", urlo distrattamente e torno al mio lavoro. Mentre sto ultimando la disposizione degli stuzzichini sul vassoio penso a lei, sempre così imbarazzata nelle situazioni nuove, e vado a dare una sbirciata in soggiorno. Ha le gambe accavallate. Lo intuisco dall'angolazione non del tutto lineare della schiena. Le sue braccia sono distese sulla spalliera del divano. Sembra rilassata. Bene, forse è un po' più a suo agio. Roberto le versa da bere. Lei raccoglie il bicchiere e lo porta alla bocca. Beve quasi d'un fiato e lo ripone sul tavolino di cristallo. Io torno alle mie tartine. Le sistemo sul vassoio e mi appresto ad uscire finalmente dalla cucina. Qualcosa però mi frena. Un'altra voce mi solletica l'orecchio, non distinguo le parole, ma è lei a parlare. Strano. Ho la sensazione di aver dimenticato qualcosa. In soggiorno la conversazione sembra ingranare. Non c'è più un momento di silenzio. A intervalli regolari tutti e tre interloquiscono. L'imbarazzo iniziale pare svanito. Esco dalla cucina sostenendo il vassoio con entrambe le mani. Roberto gira un momento la testa verso di me, mi vede poi riprende a parlare senza guardarmi. È il suo turno. Lei lo ascolta immobile e non mi bada. Sono stato in cucina troppo tempo. Sarà furibonda. Stefania fa un cenno per indicarmi la bottiglia. Ho dimenticato il vino. Torno in cucina a prenderlo. Spalanco lo sportello della dispensa di fianco al frigo. È lì che teniamo il bere. Il vino bianco però va servito fresco. Non sono un intenditore, anzi, non so proprio nulla di vini, ma ci tengo a fare bella figura. Schiudo per l'ennesima volta il frigo. Ci trovo due bottiglie di bianco: un Pinot e un Reisling. Non so quale scegliere. Resto dubbioso alcuni secondi grattandomi il mento. A lei piace il Pinot. Lo prendo e cerco il cavatappi. Stringo la bottiglia per il collo e mi accorgo che non è abbastanza fredda. Sono incerto. Opto per l'altro e rendo al frigo il Pinot. Il suo preferito lo berremo dopo. Ora devo stappare il Reisling. Apro il cassetto delle posate per prendere il cavatappi, ma non c'è. Guardo nel secondo cassetto, dove conserviamo gli aggeggi che usiamo di rado, come il pestacarne o la mezzaluna. Non è neanche lì. Di là si staranno chiedendo perchè ci metto tutto questo tempo. Mi affaccio sulla porta verso il soggiorno. Innalzo la mia voce su quella del terzetto per chiedere a lei se sa dov'è. Non mi sente. Ripeto la richiesta. Ecco, si volta un momento: "Cosa hai detto, tesoro?". Le domando nuovamente se ha visto il cavatappi. "Non è lì?", risponde sbadatamente e riprende la conversazione interrotta. Torno in cucina senza aver risolto l'arcano. Rovisto tra tutti i cassetti e gli sportelli della credenza con frenesia. Di cavatappi neanche l'ombra. Nell'altra stanza lei e i miei amici non danno tregua alle parole. Le lanciano e rimbalzano da una bocca all'altra ritmicamente. Hanno creato un equilibrio perfetto e nessuno è più a disagio. Forse ormai farei meglio a non tornare in soggiorno. Lei potrebbe sentirsi in imbarazzo nella nuova situazione. Lei, sempre così timida e sensibile, ed ora protetta da dinamiche note e rassicuranti. Non cerco più il cavatappi. Mi siedo in terra con le spalle al muro e il vassoio delle tartine sulle ginocchia. Scelgo quella con l'acciuga sistemata ad arte e cipolline. La addento con eleganza e ne gusto il sapore acre, mentre il Reisling mi osserva inutile dalla credenza.





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